COLPITI E AF-FONDATI - I FONDI ESTERI SONO ORMAI PRIMI O SECONDI SOCI DELLE GRANDI SOCIETA' ITALIANE. ALLE ULTIME ASSEMBLEE HANNO DIMOSTRATO CHE SE VOGLIONO POSSONO COMANDARE. COME FARE PER "TENERLI BUONI"?
Sergio Bocconi per il "Corriere della Sera"
Bocciature, ribaltoni, risultati a sorpresa. Con l’ultima stagione assembleare in Piazza Affari si è chiusa l’epoca delle assise chiamate a ratificare le decisioni dell’azionista di controllo. E ora in diverse società quotate si impone una riflessione perché, al prossimo rinnovo dei consigli, esito del voto e maggioranza non sono scontati. E un dissenso di rilievo su temi sensibili come compensi e incentivi può influire su reputazione e decisioni di investimento.
Secondo le rilevazioni dello studio legale di Dario Trevisan, che da anni nelle assemblee rappresenta per delega i fondi internazionali, gli investitori istituzionali, per la quasi totalità esteri, sono in diversi casi il primo o secondo azionista: così in Telecom, dove i fondi rappresentati hanno raggiunto il 27,8% del capitale ed è imminente lo scioglimento di Telco (22%); così in Generali, nonostante i fondi in assemblea siano più “leggeri” (15,27%); in Unicredit (fondi presenti: 32,46% del capitale), in Intesa Sanpaolo (31,56%), in Mps (22,27%). Guidano la graduatoria delle società a maggior presenza di investitori internazionali Prysmian e Azimut (oltre il 50%), mentre la chiude Salini-Impregilo con l’1,29%.
«La stessa partecipazione al voto dei fondi è oggi auspicata dalla società perché è un segno di attenzione», sottolinea Trevisan, «e l’atteggiamento dei fondi esteri è cambiato: un tempo erano in sostanza “neutrali”, allineati per default con la maggioranza. Oggi invece votano seguendo le best practice e nella maggior parte dei casi si esprimono a favore delle liste di minoranza di Assogestioni, con la quale è cresciuta la collaborazione per la presentazione dei candidati».
Policy che possono cambiare l’esito delle votazioni. Lo si è visto in Eni, Finmeccanica e Terna, dove i fondi esteri in assemblea erano presenti rispettivamente con il 28,69%, il 27,55% e il 26,87%: la modifica statutaria proposta dal Tesoro sui requisiti di onorabilità non è passata in sede straordinaria perché gli investitori istituzionali hanno votato «no», mentre è stata approvata in Enel dove la loro quota è inferiore (20,16%). Un «no» motivato dal fatto che la clausola etica prevedeva la decadenza degli amministratori per rinvio a giudizio che «secondo la prassi internazionale è un atto dell’accusa, e quindi di parte», spiega Trevisan.
E poiché l’adeguatezza di una proposta in assemblea rispetto alle best practice è il punto cardine nell’orientamento dei fondi internazionali, le ragioni di un voto contrario possono anche non riguardare il merito: pesano pure la chiarezza di formulazione o la tempistica nella presentazione. Ecco dunque che su compensi o piani di incentivazione i no sono stati «pesanti» e spesso in ragione di metodologie o tempistiche previste.
Così, per esempio, in Intesa Sanpaolo, sulle politiche di remunerazione più della metà dei fondi internazionali (quindi il 17,42% del capitale) ha votato contro oppure si è astenuta o è uscita dalla sala. In Gtech, dove i fondi internazionali si sono presentati in assemblea con il 17,9% del capitale, l’area del no ha raggiunto il 12,98%, mentre in Terna è stata pari al 18,62%. La proposta sui compensi al consiglio in Eni non ha visto favorevoli quasi tutti i fondi internazionali (24,08%), così come in Finmeccanica (23,74%).
A questo punto, centrale diventa per molti il rinnovo dei consigli: le liste di maggioranza «rischiano» di non passare. E qui Trevisan cita il caso Prysmian: «I fondi esteri l’ultima volta hanno votato in prevalenza i candidati del board. Certo, è una public company e il consenso è andato comunque a nomi proposti dal mercato.
Ma liste adeguate per competenza e indipendenza possono “convincere” gli investitori internazionali. Bisogna ragionare in linea con il mercato. E ascoltarlo con attenzione». Lo diceva anche Larry Fink, fondatore di BlackRock, in una lettera ai vertici delle aziende: la collaborazione con gli investitori di lungo periodo può migliorare la governance delle società. A vantaggio di tutti.