LA CEDOLA CHE NON C’E’ – C’E’ ATTESA PER I RISULTATI DEL 2013 DI TELECOM CHE SARANNO ANNUNCIATI OGGI. IL MERCATO SI ASPETTA UN DIVIDENDO NULLO E AZIONISTI A BOCCA ASCIUTTA

Antonella Olivieri per ‘Il Sole 24 Ore'

C'è il nodo cedola sul tavolo del board Telecom che si riunisce oggi per l'esame dei conti del 2013. L'esercizio si chiuderà in rosso dopo aver spesato 2,2 miliardi di ulteriore svalutazione degli avviamenti - non ne sono attesi altri dall'impairment test di dicembre -, ma tecnicamente sarebbe possibile distribuire dividendi attingendo alle riserve, sebbene queste ultime siano state prosciugate negli ultimi tre anni dalle svalutazioni del goodwill per una cifra complessiva dell'ordine di 12,5 miliardi.

A fine dicembre residuava un cuscinetto di riserve per circa 4 miliardi che però andrà rettificato ancora al ribasso per la copertura delle perdite dell'esercizio: gli analisti stimano per il 2013 un rosso di poco inferiore ai 600 milioni. E gli avviamenti, che nel 2010 erano vicini ai 44 miliardi, sono ancora un'ipoteca sul futuro della bellezza di 30 miliardi.

Lo scorso anno è stato pagato un monte dividendi di 451 milioni e dunque, anche nell'ipotesi di invarianza, non sarebbe impossibile remunerare gli azionisti. La questione però è l'opportunità di farlo. Il rating di Telecom è appena stato declassato a junk e la società, solo pochi mesi fa, ha lanciato un convertendo per un rafforzamento patrimoniale "a termine" di 1,3 miliardi.

In questo contesto avrebbe senso con una mano prendere capitali dagli investitori istituzionali e con l'altra restituirne un terzo agli azionisti? Gli analisti ne dubitano e per questo ritengono che quest'anno ci si dovrà accontentare (e non è poco) dell'insperato capital gain che dai minimi di agosto è superiore all'80%, mentre, almeno per quanto riguarda le azioni ordinarie, scontano che la cedola non sarà pagata.

A decidere però sarà il consiglio e in particolare sarà da verificare cosa ne pensa Telco, che finora ha potuto contare sulla cedola per compensare gli oneri finanziari sull'indebitamento della holding, ma che non farebbe un dramma se si dovesse decidere per quest'anno di azzerare i dividendi.

Altro tema riguarda la verifica a consuntivo dell'andamento del mercato mobile domestico che continua a soffrire, ma, almeno a stare alle previsioni di Borsa, un po' meno rispetto al trend di inizio anno e meno dei concorrenti. La flessione dei ricavi da telefonia mobile che era stato superiore al 18% nella prima metà dell'esercizio e che nel terzo trimestre aveva rallentato il passo al 14,8% dovrebbe registrare un minimo miglioramento nell'ultimo scorcio dell'esercizio.

Per una svolta più incisiva le speranze sono però appese a fattori "esterni", cioè a che arrivi a compimento la difficile gestazione del consolidamento del settore mobile italiano con una fusione tra il terzo e il quarto operatore, Wind e 3 Italia. Tra gli analisti circola la congettura che Tim e Vodafone potrebbero agevolare il processo rilevando parte degli asset dei concorrenti per rendere meno gravoso il problema del debito che pesa in particolare dalla parte di Wind. Secondo le ipotesi, Vodafone, cioè, potrebbe essere interessata a Infostrada (la parte fissa di Wind) e Telecom alle torri per farne un pacchetto con le proprie e poi rivenderle, come da programmi. Ammesso che l'ipotesi sia realistica, per il complesso torri-fisso circolano stime che arrivano fino a 2,5 miliardi.


Più in generale il consensus degli analisti stima per Telecom, senza più l'Argentina, ricavi a 23,5 miliardi che si confrontano con un dato omogeneo 2012 di 25,7 miliardi (-9%), e un Ebitda reported di 9,5 miliardi, -9,4% rispetto al risultato confrontabile precedente di 10,5 miliardi. Dovrebbe essere centrato l'obiettivo di ricondurre l'indebitamento netto intorno ai 27 miliardi, contro i 28,3 miliardi di fine 2012.

Un contesto comunque ancora incerto su cui grava l'incognita degli sviluppi in Brasile (uscita o Gvt?) e dell'evoluzione dell'azionariato (Telco a giugno potrebbe sciogliersi). Anche per questo l'Asati si è schierata contro l'ipotesi di varare un piano di stock option a favore del top management, se non vincolato a una serie di obiettivi su rating, debito, redditività e rivalutazione del titolo che l'associazione dei piccoli azionisti/dipendenti ha messo nero su bianco ma che allo stato sembrano da libro dei sogni.

 

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