1- COME BISOGNA MUOVERSI NELLA FORESTA DEL POTERE? VE LO DICE CALTARICCONE! NON È PIÙ UN’INTERVISTA, MA UN TESTO DI RIFERIMENTO, PRIVO DI ARROGANZA E ANCORATO AL PRINCIPIO SECONDO IL QUALE SU CIÒ DI CUI NON SI PUÒ PARLARE È BENE TACERE 2- NON C’È TRIPPA PER NESSUN PROTAGONISTA DELLA PRIMA E DELLA SECONDA REPUBBLICA (NEMMENO PER PIERFURBY), E LE BOTTE NON RISPARMIANO NEMMENO ALEDANNO CON IL QUALE I RAPPORTI SI SONO DETERIORATI IN MANIERA QUASI IRRIMEDIABILE 3- LE DOMANDE CHE IL GIORNALISTA MUCCHETTI HA DIMENTICATO DI FARE: LE RAGIONI CHE LO HANNO SPINTO A LASCIARE MONTEPASCHI PER RICONVERTIRSI RAPIDAMENTE DENTRO UNICREDIT. QUANTO HANNO RESO I RAPPORTI CON PERISSIROTTO E CON MUSSARI SCARICATO DALLA MATTINA ALLA SERA MENTRE NEL 2008 I DUE COMPARI SOGNAVANO DI FARE DELLA BANCA SENESE IL CUORE DURATURO DELLA FINANZA NEL CENTRO SUD D’ITALIA

Questa sera Francesco Gaetano Caltagirone, per gli amici Caltariccone, sarà uno dei milioni di italiani che seguiranno la partita tra la Grecia e la Germania.

Lo farà sprofondato in una poltrona della sua biblioteca dove oltre a dipinti e monete preziose ci sono i volumi di arte e di storia antica che compra nelle migliori librerie di Londra e di Parigi. Il pallone non lo ha mai interessato più di tanto e ogni volta che gli hanno offerto di comprare la Roma che adesso è nelle mani di quella Unicredit dove da poco è diventato azionista, si è sempre tirato indietro perché non ha bisogno di una squadra per entrare nella galleria degli imprenditori popolari.

Il match di questa sera ha però un significato del tutto particolare perché, come dice lui stesso in una lunga intervista che appare oggi sul "Corriere della Sera": "già una volta l'Europa è stata salvata dalla piccola Grecia: a Salamina e a Maratona".

Da queste parole si capisce che il Calta i libri di storia non solo li compra ma anche riesce a leggerli nei momenti in cui distrae la sua attenzione dai mattoni, le banche, le assicurazioni e l'editoria che sono diventati il quadrifoglio della sua strategia industriale. La Germania gli fa paura al punto tale da dire che a quel Paese "non interessa un'Italia riformata, né un'Italia fuori dall'euro. Ci preferisce sospesi sull'orlo del burrone", e a questo scenario insolitamente drammatico sulla bocca di un uomo freddo e calcolatore, si aggiunge un grido d'allarme che suona così: "il giochino l'abbiamo capito: siccome privatizzando la stazione di Gallarate incasseremo poco, ci chiederanno Eni, Enel e altre grandi aziende pubbliche. Un concorrente azzoppato può perdere la forza i suoi gioielli".

Sono parole davvero preoccupate quelle del Calta che sembra aver messo in archivio il "firewall" della finanza italiana e la retorica dei poteri in grado di contrastare l'avanzata dello straniero che con una manciata di euro potrebbe portarsi a casa le più grandi multinazionali italiane.

È probabile che nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo, quando la Merkel allo stadio polacco andrà a rinfrescarsi dopo le fatiche del vertice romano, l'imprenditore romano riprenderà tra le mani la paginata della sua intervista dove alle parole è stato aggiunto un ritratto sorridente però troppo lontano dall'aria severa che si porta addosso nelle cerimonie ufficiali.

Anche lui dovrà ammettere che la lunga chiacchierata con il giornalista-guru Massimo Mucchetti è una mela da tagliare in due metà esatte: una prevalentemente politica, e l'altra dedicata a ripercorrere le sue esperienze nel mondo della finanza dove ha messo i piedi e le mani entrando nei salotti dei cosiddetti poteri forti.

Va subito detto che comunque si tratta di un'intervista dal tono diplomatico ben lontana dalle sparate di altri ricconi come Leonardo Del Vecchio e Dieguito Della Valle che negli ultimi tempi hanno perso il senso della misura e si sono lasciati andare a giudizi grossolani.

Caltariccone è arrivato all'età di 67 anni seguendo la prudenza e le sue rare esternazioni non hanno mai avuto un carattere invidioso e permaloso. Sembra quasi che abbia imparato la lezione di Pablo Neruda, il poeta cileno per il quale "la parola è un'ala del silenzio", e bisogna risalire al 2008 e al 2010 per trovare dichiarazioni un po' fuori dalla chiostra dei denti.

Bene ha fatto quindi il direttore del "Corriere della Sera" Flebuccio De Bortoli a spedire il giornalista Mucchetti nel quartier generale di via Barberini per una chiacchierata a 360 gradi che serve anche a smontare la tesi sostenuta dallo stesso De Bortoli sul valore semplicemente leggendario dei poteri forti.

Per fortuna Mucchetti ha evitato subito di esaltare l'immensa liquidità dell'imprenditore romano che secondo le stupide classifiche dei paperoni lo collocavano nel 2011 all'11° posto in Italia. D'altra parte è lo stesso Caltariccone a dire sin dall'inizio dell'intervista di essere molto preoccupato per la crisi dell'edilizia che rappresenta la motrice originaria della sua fortuna. "A maggio abbiamo venduto un quarto degli appartamenti costruiti, e abbiamo fermato i programmi di nuove case perché di questo passo impiegheremo quattro anni a collocare il costruito e in questo modo l'Italia sta per bruciare da mezzo milione a 1 milione di posti di lavoro".

L'approccio è brutale, e può far tornare a galla l'immagine del "palazzinaro", invece serve soltanto a introdurre la prima parte dell'intervista, quella prevalentemente politica, dove il Calta lancia a Monti e al Governo tecnico un preciso avviso ai naviganti. "Il premier ha avuto 3-4 mesi di grazia, ma invece di presentare un pacchetto globale che scontentasse subito tutti, ha seguito la politica del carciofo".

Non sono parole tenere perché poi spiega che il Decreto per la Crescita contiene misure giuste, risorse insufficienti ma esiste un problema, anzitutto culturale, che l'imprenditore romano identifica con i vincoli fiscali alle imprese. Questo non significa - a suo avviso - che il governo debba cadere se è in grado di governare, ma il rischio è che il Paese resti nel limbo per dieci mesi.

A questo punto varrebbe la pena di capire se un giudizio così preoccupato nasca soltanto dalla mente del Calta oppure da un dialogo consumato tra le mura domestiche insieme a quel Pierfurby Casini che ha sposato la figlia Azzurra e che oggi è diventato un "ghost" nel brutto film della politica.

Errore!, chi è riuscito a penetrare di qualche centimetro il muro di riserbo che circonda la vita di Caltariccone e della sua famiglia, sa benissimo che il capo della dinastia non si lascia influenzare in nessuna scelta importante che possa riguardare la politica piuttosto che gli affari. Anche se la famiglia ha regalato a Pierfurby 2 milioni per l'ultima battaglia elettorale, il Calta ci tiene a difendere la sua "padronanza" nella realtà e nel pensiero. Non a caso in un'altra intervista del novembre 2008 precisò: "ho una regola, io non mi occupo della politica di Pierferdinando Casini e lui non si occupa dei miei affari", poi aggiunse una mezza bugia: "guardo alle cose prescindendo dal potere".

Nell'intervista di oggi la dimostrazione di questa indipendenza arriva a stretto giro di parole con un giudizio fulminante sull'intera classe dirigente, che "ha perso ogni credibilità perché aveva costruito il consenso sulla spesa e ora non ha più denaro da distribuire".

Basta questo passaggio per capire l'abisso che separa il suocero degli affari dal genero della politica. L'accusa di aver perso credibilità è senza appello. Eppure ci sono stati altri momenti in cui Caltariccone mostrava una visione perlomeno trasversale della politica.

Così è avvenuto a febbraio 2010 quando sul quotidiano "Il Foglio" elargì giudizi meno draconiani su personaggi come D'Alema ("credo che sia di grande statura politica e abbia una notevole dote di pragmatismo") oppure Tremonti ("lo conosco troppo bene per dire che oltre a essere un ministro molto intelligente è anche un politico decisamente preparato, anche se ha un brutto carattere"),

e nell'elenco c'era pure Fini ("un politico di spessore, che è molto cresciuto e ha avuto il coraggio di fare alcune scelte di rottura"). E quando il giornalista Claudio Cerasa in quell'occasione gli chiese se la troika Tremonti-Fini-Casini avrebbe potuto aspirare alla successione del Cavaliere, Caltariccone rifletté un attimo e poi rispose: "beh, perché no".

Oggi nell'intervista al "Corriere" non c'è trippa per nessun protagonista della Prima e della Seconda Repubblica, e le botte non risparmiano nemmeno il povero sindaco dalle scarpe ortopediche Gianni Alemanno con il quale i rapporti si sono deteriorati in maniera quasi irrimediabile.

È dall'aprile di quattro anni fa che il Calta considera l'inquilino del Campidoglio quasi alla stregua di un soprammobile da sbaraccare.

Ed è proprio lo spunto sui confusi sgomitamenti di Alemanno a proposito dell'Acea ad aprire la seconda parte della mela dell'intervista di oggi con la quale si entra sul terreno dell'economia e della finanza.

Gli argomenti sono tanti, a cominciare dalle Generali dove dice di aver comprato le azioni a 13-14 euro (una media comunque superiore secondo i calcoli degli analisti rispetto al bagno di sangue di Del Vecchio, Pelliccioli e Mediobanca). Ma il Calta ha fiducia nella nuova gestione di Trieste e si spinge a giudizi generosi sul nuovo ciclo che si apre con Gabriele Galateri di Genola alla presidenza e Mario Greco alla guida della Compagnia.

Questa bontà di giudizio serve a ripercorrere rapidamente la liquidazione dell'amico Geronzi e a ricostruire la cronaca del blitz dell'aprile 2010 quando gli toccò comunicare al banchiere di Marino il verdetto dei congiurati.

Nelle rare interviste precedenti non ha mai negato il suo rapporto di stima e di rispetto nei confronti di Geronzi, e quando quest'ultimo arrivò a Mediobanca Caltariccone disse chiaramente "c'è sintonia tra noi". Una sintonia di caratteri cementata da affari prosperosi.

Ora, lasciando perdere le altre parole pronunciate nell'intervista sul povero Perissirotto e sulla disastrosa lettera scritta alla vigilia delle dimissioni, vale la pena sottolineare la difesa che il costruttore romano fa nei confronti di Mediobanca che oggi è diversa rispetto al passato perché "non cerca più un rapporto dominante ma si relaziona da pari a pari".

I giovani diplomatici che lavorano alla Farnesina dovrebbero fotocopiare il testo di questa lunga esternazione dell'imprenditore romano per capire come bisogna muoversi nella foresta del potere. Quella di Caltariccone non è più un'intervista, ma un testo di riferimento, privo di arroganza e ancorato al principio secondo il quale su ciò di cui non si può parlare è bene tacere.

Tace Caltariccone sulle ragioni che lo hanno spinto a lasciare MontePaschi per riconvertirsi rapidamente dentro Unicredit con un pacchetto di azioni che si contano e pesano. E qui qualcuno potrebbe insinuare che nel corso dell'intervista il giornalista Mucchetti sia caduto in preda alla "sindrome di via Barberini", il quartier generale dell'imprenditore, banchiere, assicuratore, editore e con poca voglia costruttore.

La ragione va cercata non tanto nelle furbe risposte di Caltariccone, ma nelle domande che non gli sono state fatte. Ad esempio: quanto sono costate finora al suo portafoglio le galoppate dentro le banche?, quanto hanno reso i rapporti con il povero Perissirotto e con Peppiniello Mussari scaricato dalla mattina alla sera mentre nel 2008 i due compari sognavano di fare della banca senese il cuore duraturo della finanza nel Centro Sud d'Italia?

Forse dovremo aspettare qualche anno per avere uno scorcio di verità. Per adesso accontentiamoci di questa mela a due facce dove al sapore acre della politica si contrappone una lezione lungimirante di diplomazia nei confronti di quei poteri che vanno da Trieste a Piazzetta Cuccia passando per piazza Cordusio fino a lambire i lombi di Giuseppe Guzzetti e Fabrizio Pallenzona.

 

 

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE GIUSEPPE MUSSARI AZZURRA E FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONEFRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE CALTAGIRONE E MALVINA_FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE PIER FERDINANDO CASINI PERISSINOTTO GIANNI ALEMANNO MARIO MONTI NON CI SENTE BENE Massimo MucchettiGIUSEPPE MUSSARI

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