FIFA NERA PER IL MUNDIAL DO BRASIL – RITARDI NEI LAVORI, OPERE SALTATE, E UNO STADIO DA 48 MILA POSTI (!) IN AMAZZONIA
Marco Ansaldo per "La Stampa"
Bisogna avere fiducia. Molta fiducia. Tra un anno esatto il Mondiale sarà inaugurato nel nuovo stadio costruito a San Paolo e, se ci sono cantieri ancora aperti dove si giocherà la Confederations Cup tra 4 giorni, figurarsi cosa si può dire degli impianti che serviranno tra 12 mesi. Come minimo il Brasile è in ritardo.
«Devono accelerare i lavori altrimenti potremmo cambiare le sedi entro il 1º agosto, quando comincerà la vendita dei biglietti», ha detto il segretario della Fifa, Jerome Valcke, quando è andato a ispezionare la situazione a Brasilia il mese scorso. Sono le solite minacce. A parte Pechino per le Olimpiadi del 2008, non ricordiamo un evento sportivo per il quale si siano rispettati i tempi dei lavori. I concetti di Volcke li ascoltammo dai collaboratori di Platini prima dell'Europeo in Ucraina, dai dirigenti della Fifa prima del Mondiale in Sudafrica e all'indietro fino a Italia â90, tra allarmi esagerati e recuperi miracolosi.
Nel caso del Brasile però le cose vanno davvero a rilento e qualche opera è già saltata. Ad esempio non si sa più nulla del treno superveloce che doveva collegare Rio e San Paolo: doveva essere tra le eredità più utili del Mondiale, ma è sparito. A Rio il treno per il trasporto rapido tra Campo Grande e Barra da Tijuca, il cuore delle prossime Olimpiadi, doveva essere inaugurato il 18 gennaio ma ci sono ancora 15 stazioni e 10 chilometri di percorso da completare. Così come sono abortiti per mancanza di tempo una parte delle 30 opere programmate nei 13 aeroporti, il restyling dei porti, il miglioramento delle strade, la costruzione di alberghi.
Secondo il ministro dello Sport, Aldo Rebelo, il 68 per 100 dei lavori sarà concluso entro l'anno e un 17 per cento si completerà entro il giugno prossimo: sono stime molto ottimistiche mentre i costi si sono moltiplicati e per gli stadi si spenderanno 3 miliardi di euro, il triplo di quanto si era previsto nel 2007, l'anno dell'investitura. Quasi tutto è a carico dello Stato. «Alla fine - dice Pelé - a patirne saranno le infrastrutture pubbliche perché le energie e i soldi si impiegheranno per finire gli stadi».
Dodici impianti, troppi e inutili, secondo il buon senso. Il coinvolgimento di tante città procurerà disagi per lo spostamento delle squadre e dei tifosi attraverso un Paese immenso. La dislocazione porterà a creare cattedrali nel deserto. Il paradosso è che due megalopoli intrise di calcio come Rio e San Paolo avranno una sola sede di gara esattamente come città con club di serie B (Natal), di C e addirittura di serie D, come Cuiabà e Brasilia, la capitale, che avrà un impianto da 72 mila posti costato 350 milioni di euro per un pubblico che in media non arriva ai 5 mila per partita.
E che dire di Manaus, in Amazzonia, forse l'unico pezzo del Brasile in cui del calcio frega poco? Due squadre in D, frequenza sui 3 mila spettatori ma il Mondiale vi arriverà con un impianto da 48 mila persone.
Ricordate Fitzcarraldo, il miliardario eccentrico, che faceva costruire il più grande teatro del mondo in mezzo all'Amazzonia per farci cantare Caruso? Dicono che certe scelte politiche e clientelari le fece il governo di Lula per aprire, attraverso il calcio, parti del Brasile poco conosciute dai turisti. Purtroppo però è intervenuta la crisi mondiale e di flussi dall'estero se ne prevedono pochi anche perché intanto nel Paese hanno alzato i prezzi in maniera vergognosa. Il primo segnale arriva dalla Confederations Cup, per la quale il 97 per 100 dei biglietti è stato venduto ai tifosi locali mentre spagnoli, italiani, messicani, persino giapponesi, restano a casa.
Per amore del calcio i brasiliani però accettano. A parte i «blog» di organizzazioni che contestano le spese per il Mondiale - mentre mancano gli ospedali, le scuole vanno a pezzi e il trasporto pubblico è scadente -, la maggioranza attende il Mondiale come una festa e più che per gli sprechi si indigna per come la Fifa entra con gli zoccoli nel paradiso del calcio, minandone l'anima popolare.
Migliaia di proteste, comprese quelle di Zico e di Pelé, hanno fatto seguito alla trasformazione un po' «fighettista» del Maracanà , il tempio per elezione. E nessuno digerisce il divieto di portare negli stadi gli strumenti musicali che da sempre accompagnano il gioco: il «pandeiro», il «tamburim», la «caxirola», che è un campanaccio riempito di palline sintetiche, la risposta del Brasile alla «vuvuzela», la trombetta spaccatimpani degli stadi sudafricani.
A dirla tutta, le «caxirole» erano già state vietate perché durante una partita di campionato a Bahia gli spettatori imbufaliti cominciarono a tirarle in campo. Tuttavia si sperava che la Fifa le riammettesse, dopo averne fatte un oggetto di «merchandising» del prossimo Mondiale. Invece saranno proibite già nella Confederations Cup. Buon per noi.
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