LO SCANDALO-SPIATE ALLONTANA BLOOMBERG DALLA SUA PREDA SOGNATA: IL “FINANCIAL TIMES”

1. OFFUSCATO IL MODELLO BLOOMBERG - GIORNALISMO, SCOOP E UNA RETE DI DATI FUNZIONANO SE VENGONO MANTENUTI SEPARATI
Leonardo Maisano per "Il Sole 24 Ore"

Il sogno di Michael Bloomberg è rosa ed è una celebrità in tutti i continenti. Un sogno scosso da uno scandalo che proprio per questo motivo crediamo stia irritando il sindaco di New York assai più del previsto. Avvicinare il suo nome a pratiche giornalistiche a dir poco eterodosse rischia di allontanarlo dall'ambito frutto che siede in un cubo nero e luccicante sulla sponda del Tamigi: il Financial Times.

I rumors circolano da mesi nella City, emergono e sprofondano al ritmo dei numeri del gruppo Pearson, orfano da qualche mese del ceo Marjorie Scardino che a Ft guardava con grande passione. Più freddo, si narra sia il suo successore, John Fallon, affaccendatissimo a sviluppare l'area educational, poco interessato alle news. Tanto è bastato a far di un sussurro su una vendita prossima venturo un boato, che solo in queste ultime settimane ha messo la sordina.

Ha continuato a resistere, invece, il nome del più quotato candidato-compratore: Bloomberg appunto, oggi associato alle libertine incursioni di giornalisti nei dati riservati di clienti privati. Il volto severo del sindaco di New York è, infatti, solidamente in testa alla corsa che (forse) si farà e il suo sbarco - o meglio del gruppo che porta il suo nome - nel cuore della City potrebbe avere effetto non del tutto diverso da quello prodotto, in era thatcheriana, dall'arrivo di Rupert Murdoch nel cuore di Fleet street.

Molti nasi si storceranno, se è vero, ma siamo ancora alle voci incontrollate di mesi fa, che The Economist (il settimanale per metà fa capo a Ft e per metà a blasonate famiglie europee, Agnelli inclusi) avrebbe manifestato la volontà di non seguire il quotidiano rosa nell'eventuale, ipotetico abbraccio transatlantico.

Bagatelle per uno scenario che, se mai si dovesse realizzare, vedrà anche Thomson Reuters dare battaglia. Eppure è su Bloomberg che si concentra l'attenzione, ora più che mai. Le affinità nel modello innovativo di business creano una naturale liaison, ma certo non è cosa da Ft l'invasione nella privacy dei clienti, svelata dal caso Goldman Sachs e Jp Morgan, ovvero, lo ripetiamo, l'utilizzo di informazioni relative ad abbonati ai terminali finanziari per ragioni di opportunità giornalistica.

E' stato proprio il Financial Times ieri a dare notizia che 10mila messaggi scambiati su computer Bloomberg fra traders e clienti sono finiti on line a disposizione di tutti e lo sono rimasti per anni, nell'ennesimo scivolone sui fragili standard di privacy del gruppo americano.

Bloomberg è una presenza consolidata in Europa, nome più popolare ormai del britannico Reuters nella City. «Il 39,4% dei ricavi del gruppo nel 2012 sono stati realizzati in Europa, Medio Oriente e Africa - spiega Douglas B. Taylor fondatore e managing partner di Burton-Taylor International consulting, autore di un'approfondita radiografia di Bloomberg e dei suoi diretti concorrenti come si vede nell'infografica che pubblichiamo - circa 3,1 miliardi dei 7,9 miliardi globali. Un dato in flessione marginale (meno 0,3%) rispetto al 2011 in percentuale sui ricavi totali, anche se il gettito complessivo è stato superiore al 2011 quando il fatturato Emea non aveva superato la soglia dei 3 miliardi».

L'immagine del coté euro-afro-mediorientale dell'impresa con sede in Delaware non è diversa da quella globale. Nel senso che il trend di crescita e di contrazione si muove a ritmi analoghi. La crisi ha fermato la vendita di terminali che sono sempre associati a una persona fisica. E quindi se le banche tagliano i traders, tagliano anche i computer. Al 31 dicembre 2012 erano, nel mondo, 315mila151, di cui 125 mila nell'area Europa, Medio Oriente, Africa.

«Sono i leader di mercato - continua Douglas B. Taylor - ma le revenue dei terminali vanno calando: oggi sono l'85% qualche anno fa quasi il 100%. Crescono i new business sia a livello globale che Emea. Quali? Molte nuove iniziative. Ma vanno ricordati i Data feeds, ovvero quei dati che non rientrano nella voce terminali perché non hanno bisogno di un uomo come controparte. I dati sono cioè inviati ai clienti che li fanno elaborare in modo automatico da altri macchinari predisposti per prendere le decisioni operative.

Il "non terminal business" genera revenue per un miliardo di dollari, 400 milioni almeno sono targati Emea". Il che significa che la quota di ricavi da attività diverse dalle forniture di pc è solida in Europa, Medio Oriente e Africa. «Non solo - continua Douglas B. Taylor - settori come private banking, investment banking, materie prime in particolare legate all'energia stanno dimostrando di resistere bene anche in Europa. Si conferma però l'immagine di un gruppo che replica il quadro dell'economia mondiale con maggior dinamismo in Asia, segni di crescita in Usa, un contesto di maggior lentezza in Europa».

Le news sono ancora quota marginale nel volume d'affari di Bloomberg. «Calcoliamo - continua Douglas B. Taylor - che circa 300 milioni di revenue facciano capo a quell'area di cui almeno 100 milioni da ricondurre alla zona Emea». D'altra parte le news sono scoperta relativamente (molto relativamente) recente. «Per Bloomberg quello dell'informazione - precisa Benedict Evans di Enders Analysis - è da sempre un business data driven. Ne è andato un giornalismo che è strettamente correlato ai fatti, senza intonazioni di costume, senza indugiare sul colore».

La caccia ai fatti, dunque. Oltre il lecito, a quanto sembra, se davvero ha spazzato via quella muraglia cinese che avrebbe dovuto tenere separate le aree del gruppo. «Bloomberg - aggiunge Douglas B. Taylor che vanta un passato anche a Reuters e a Thomson prima di fondare la sua società - ha avuto il merito e le capacità tecniche di avvicinare il gap fra l'area business e quella editoriale.

È stato essenziale questo passaggio per capire i desideri dei clienti e garantire loro un'informazione sempre più puntuale e più ricercata. In questo senso l'uso dei dati aggregati e anonimi è utile, forse indispensabile. A patto però che siano trattati in modo aggregato e in modo anonimo con lo scopo di valutare i trend».

Non per fare gli scoop. Quanto è successo va molto oltre, la linea visibile, assolutamente evidente, fra analisi delle tendenze e intrusione nella privacy dei clienti.


2. L'INCENTIVO MONETARIO CHE HA ACCESO LA MICCIA
Fabio Pavesi per "Il Sole 24 Ore"

C'era più di una motivazione per spiare dal buco della serratura. Per violare la privacy dei clienti cui Bloomberg vendeva i potenti terminali. Potevi vedere, osservare, decrittare operazioni e movimenti. Intravedere le mosse degli operatori sui cambi, sulle posizioni in titoli e così via. Una miniera di informazioni in tempo reale. Che consentivano ai cronisti di avere un vantaggio competitivo sulla concorrenza. Giornalismo aggressivo, ai confini della legalità.

Tipico della stampa scandalistica anglosassone e trasmigrato, mutatis mutandi, nell'area ricca e oscura della grande finanza. Voglia di scoop portata alle estreme conseguenze. Scoop dopati però, notizie estrapolate grazie al facile accesso ai terminali della clientela. A qualcuno potrà anche piacere, ma il confine tra lecito e illecito era assai labile.

Troppo labile. Ma quella voglia di scoop non ha solo il fuoco sacro della passione giornalistica. Ha anche un movente economico assai più venale. I cronisti di Bloomberg, più di altri media anglosassoni, hanno da sempre un meccanismo premiale sui salari. La parte variabile arriva tranquillamente a valere il 50% dell'intero stipendio. Ed è legata alla capacità, come racconta un ex cronista dell'agenzia Usa, di produrre notizie in esclusiva o meglio notizie market maker, in grado di muovere il mercato.

Un premio consistente non solo alla produttività, ma all'esclusività. Un sistema tipicamente anglosassone più che meritocratico che tende ad allentare ogni vincolo morale. E se puoi disporre di accessi privilegiati ai movimenti degli operatori allora la tentazione diventa irresistibile. Eppure le news sono di fatto una commodity per il gruppo della financial information.

I grandi ricavi più che dalle notizie arrivano dalla sterminata banca dati e dall'operatività dei terminali, pane quotidiano per i trader di tutto il mondo. Un mercato ricco, di fatto un oligopolio, in cui Bloomberg e Thomson Reuters (questa quotata e con bilanci trasparenti al contrario di Bloomberg) si dividono di fatto oltre la metà del giro d'affari mondiale. Di Bloomberg quel poco che si sa lo si intravede dalle banche dati commerciali a pagamento che danno solo macro-aggregati dei conti.

Ebbene il colosso del sindaco di New York ha visto dal 2006 raddoppiare i ricavi e vanta un utile operativo nel 2012 per 2,2 miliardi, il 27% del fatturato. Il competitor Thomson Reuters ha più o meno gli stessi ricavi, sopra i 7 miliardi, ma una redditività operativa più bassa, al 20% del fatturato. Il 2012 però ha visto per Bloomberg un drastico calo della vendita di nuovi terminali. Segno forse di una saturazione del mercato che costringerà gli operatori nel prossimo futuro a una guerra sui prezzi.

Anche per un oligopolio assai redditizio le ciambelle non riescono sempre con il buco. L'avventura televisiva di Bloomberg non ha avuto grandi fortune. Nel febbraio 2009 le televisioni del gruppo in Italia, Spagna e Francia sono state chiuse in fretta e furia. Troppi costi e pochi ricavi per rimanere in piedi.

Nonostante la profittabilità del gruppo e l'accumulo della fortuna personale di Michael Bloomberg stimata in 27 miliardi di dollari. Più degli utili operativi degli ultimi 10 anni di vita del suo gruppo, domiciliato non a caso nel paradiso fiscale del Delaware.

 

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