TELECOM, PRENDE QUOTA LA SOLUZIONE COLAO - VODAFONE HA I SOLDI PER INCOLLARSI IL DEBITO, ALIERTA NO

1. TELECOM DIVENTA LA PREDA D'AUTUNNO ORA PRENDE CORPO LA SOLUZIONE COLAO
Sara Bennewitz per "Affari & Finanza - la Repubblica"

Lo stallo è finito: Telefonica: preso atto della fine di Telco, dovrà scegliere se prendere direttamente il controllo del gruppo italiano oppure passare la mano. E al momento è questa seconda ipotesi quella più probabile. Nomi di chi potrebbe subentrare al gruppo di Alierta circolano, sono i soliti At&t, Carlos Slim, Sawiris. Ma stavolta c'è una novità. Lo scenario delle tlc mondiali sta evolvendo rapidamente e oggi l'ipotesi di una Telecom Italia sotto il controllo di Vodafone inizia a prendere corpo come quella più sostenibile. Finanziariamente e industrialmente. alle pagine 4 e 5 Franco Bernabé


La parabola di Alitalia, Edison e Telecom Italia ha insegnato al Paese un'amara verità. Nessun'azienda può essere difesa in nome del tricolore, se a farlo non sono degli imprenditori italiani che hanno competenze specifiche nei trasporti, nell'energia o nelle telecomunicazioni. A medio termine le banche le assicurazioni e le varie cordate di soci finanziari (che invece si professano industriali in nome della patria) hanno tutte fallito.

Chi ha provato a difendere dallo straniero le aziende italiane, non solo non è riuscito nell'intento, ma ha anche perso tempo e denaro. Edison si è salvata solo perché Edf fin da subito ha rilevato la maggioranza nominando un management di sua fiducia, Alitalia invece naviga in brutte acque perché la scarsità dei mezzi investita nel rilancio ha costretto la compagnia a fare scelte strategiche zoppe e ora anche per Telecom è arrivata la resa dei conti.

Il gruppo che Franco Bernabè guida da sei anni non è riuscito a riportare i conti in ordine, sia perché ha dovuto affrontare una crisi più dura del previsto (che è stata anche acuita dai debiti ereditati dalle passate gestioni), sia perché il management ha commesso molti sbagli a livello domestico. Non a caso dal 2007 ad ora alla guida delle attività fisse e mobili di Telecom si sono avvicendati più manager di quanti non ne siano passati nel gruppo dai tempi della privatizzazione del ‘97.

E così in vista della scadenza dei tempi per richiedere la scissione di Telco (28 settembre), il primo a fare un passo sarà Alberto Nagel di Mediobanca, che ha già espresso la volontà di uscire e la necessità di cambiare il futuro assetto del gruppo riconsegnando l'azienda in mano a chi di mestiere si occupa di telefonia. La chiamata diretta è per la Telefonica di Cesar Alierta, che in queste ore sta studiando come assicurare il futuro delle attività brasiliane di Tim Brasil senza incorrere nel veto delle autorità locali, e sta verificando con le agenzie di rating e con i suoi soci di peso, se è sostenibile farsi carico del debito della società italiana che cresce, quando i margini invece si contraggono.

Secondo gli esperti vendere ad altri rivali gli asset in Argentina e spartirsi con le rivali Claro e Oi quelli in Brasile, permetterebbe ad Alierta di racimolare 6-7 miliardi, troppo pochi rispetto ai 29,9 miliardi che gravano sulla Telecom, soprattutto perché in Sudamerica il gruppo custodisce un terzo della sua liquidità e registra margini in crescita, mentre le passività sono allocate tutte sull'Italia la cui redditività sta crollando a doppia cifra.

Alierta dovrà quindi muoversi con i piedi di piombo, anche perché ora che ha appena consolidato la sua presenza in Germania rilevando ePlus, acquistare le quote degli italiani in Telco e promuovere una fusione con Telecom carta contro carta, potrebbe essere un boomerang per il colosso spagnolo.

Forse per valorizzare al meglio gli asset di Telecom in Sudamerica, Telefonica dovrebbe venderli in blocco a un operatore che non è presente come Vodafone, ma così facendo si porterebbe il nemico in casa perché, la società guidata da Vittorio Colao, che ha grandi risorse per fare nuovi investimenti, diventerebbe un temibile rivale proprio dove il gruppo di Alierta genera un terzo dei suoi flussi di cassa.

Se quindi Telefonica dovesse gettare la spugna, secondo gli esperti del settore l'unico altro vero partner industriale sarebbe proprio Vodafone. Il gruppo anglosassone forte di una solidità finanziaria senza pari, potrebbe rilevare le quote in mano agli italiani e contestualmente cedere Tim ai cinesi di Hutchinson Wampoa, che da tempo con H3G sono desiderosi di crescere.

E anche Vodafone è da anni a caccia di un'infrastruttura di rete fissa in Italia, e invece di puntare su Fastweb, piuttosto che su una rete commerciale come fatto a suo tempo con Tele2, potrebbe puntare proprio all'infrastruttura della Telecom. A questo proposito chi conosce Colao e il suo direttore operativo Paolo Betoluzzo, è convinto che i due manager non avrebbero problemi a cedere la maggioranza della rete di Telecom alla Cdp e a un pool di investitori istituzionali italiani, a patto di controllare la governance e avere carta bianca sugli investimenti nelle reti di nuova generazione.

In questo modo, il gruppo britannico supererebbe ogni possibile riserva della politica, che comunque nei confronti di una società europea della telefonia che da anni opera in Italia, avrebbe le mani legate. L'unica pecca di Vodafone, dal punto di vista delle istituzioni, è che essendo una pubblic company non si può escludere a priori che prima o poi finisca sotto l'egida di un investitore estero non gradito.

Cedere la rete alla Cdp, che a sua volta potrebbe riservarsi un diritto di gradimento rispetto ai futuri assetti azionari di Vodafone, tutelerebbe invece i delicati equilibri politici rispetto a un asset sensibile come la rete e potrebbe essere anche un paracadute per il gruppo inglese, nel caso in cui finisse sotto attacco da parte di un gruppo estero. E il rischio che Vodafone finisca nel mirino di At&t esiste ed è concreto, dato che si tratta dell'unica azienda telefonica europea veramente contenibile e libera da ogni golden share. In proposito la parabola di Carlos Slim su Kpn è stata proverbiale, dato che nessuno immaginava che potesse esserci una poison pill sul gruppo olandese che da anni è in difficoltà.

Invece, a prescindere dal fatto che proprio la presenza di Slim ha permesso agli olandesi di incassare di più con la vendita della tedesca ePlus a Telefonica, la fondazione ha alzato le barricate contro il magnate messicano di America Movil. Vodafone invece ha appena ceduto un asset importante, ma che non ha mai gestito e ora dovrà crescere per linee esterne per compensare la mancanza dei flussi di cassa generati dalla partecipazione in Verizon Wireless.

Completare la sua offerta fissomobile in Italia, come ha appena fatto in Germania, è una delle priorità di Vodafone e investendo in Telecom Colao otterrebbe anche uno sbocco in Sudamerica, un'area con interessanti opportunità dove il gruppo britannico non è mai riuscito ad entrare.

Inoltre, proprio la solidità finanziaria di Vodafone, in mancanza di acquisizioni di peso, rende la società molto appetibile agli occhi degli altri giganti internazionali, e per quanto oggi Colao abbia conquistato il plauso dei suoi azionisti, una volta staccati 84 miliardi di dollari di dividendi dai 130 incassati per la cessione della sua partecipazione di minoranza in Verizon Wireless, c'è il rischio che qualcuno inizi a rastrellare quote del gruppo in attesa che questo management sia meno in auge.

L'operazione è complessa, ma ora che Telecom tra debiti e capitale vale meno di 40 miliardi e considerando che solo dalla cessione di Tim ad H3G Vodafone potrebbe incassare una decina, di fronte all'inerzia di Telefonica e al placet dei soci italiani di Telco, Vodafone farebbe un doppio affare perché a un prezzo conveniente consoliderebbe la leadership nel suo secondo mercato di sbocco, e entrerebbe da protagonista in un mercato strategico come il Sudamerica.

Se così fosse è probabile che qualche socio di Vodafone accusi Colao di voler puntare sull'Italia per motivi campanilistici, ma è ugualmente certo che le buone conoscenze del manager bresciano a livello istituzionale, nonché in Mediobanca e Intesa, offrono a Vodafone un'opportunità unica, che al giusto prezzo i vertici del gruppo dovranno valutare a prescindere dal loro passaporto di provenienza.

Per anni Colao è stato corteggiato dai soci italiani di Telco per assumere la guidare di Telecom Italia, e chissà che in futuro il manager non ottenga lo stesso risultato senza dover dismettere i panni della Vodafone. Entro fine settembre si saprà che cosa i soci di Telco avranno deciso per il futuro di Telecom Italia.


2. HI-TECH L'EUROPA SI È INDEBOLITA E ORA PUNTA TUTTO SULLE TELECOM
Edoardo Segantini per "CorrierEconomia - Corriere della Sera"

La cessione dei cellulari Nokia a Microsoft conferma il declino dell'industria high-tech europea, soprattutto di quella rivolta al grande pubblico. Solo gli operatori di telecomunicazione restano potenti, ma il settore, reso più fragile dalla concorrenza, dall'iper-regolazione e dai suoi stessi errori, si appresta a vivere una nuova fase di concentrazioni.

Il prezzo pagato da Microsoft è di circa 15 volte inferiore al valore dell'azienda finlandese nel 2000. «Nokia - dice l'economista Luigi Prosperetti - è stata una magnifica impresa. Ma in questo campo, oltre alle dimensioni e alle economie di scala, occorre avere una capacità di innovazione continua. E io ricordo di quando, ben prima che arrivasse Steven Elop, ben prima che Apple presentasse l'iPhone, Nokia decise di lasciare nel cassetto uno splendido progetto di smartphone che avrebbe, forse, cambiato il suo destino».

RISCHI ELEVATI
Chi produce apparati tecnologici sostiene investimenti in innovazione che lo espongono a un rischio continuo. Lungo questa strada, ardua e tortuosa, molti europei sono caduti o inciampati: Siemens, Thomson, Philips, Alcatel Lucent, Ericsson. Uno dopo l'altro, chi più chi meno, si sono ritirati dall'elettronica di consumo come da una casa attraente ma infestata dalla maledizione.

A difesa del Vecchio continente restano le telecom - da Telefonica a Deutsche Telekom, da France Telecom a Telecom Italia a Bt - che a lungo sono state protette dal guscio del monopolio. E che dal 1998 sono state sottoposte a una terapia regolatoria da cavalli. «La strategia opposta a quella messa in atto dalle authority americane - dice Prosperetti -. Perché mentre negli Stati Uniti ci si è preoccupati dei consumatori ma anche delle aziende, in Europa si è puntato solo ad abbassare le soglie d'ingresso per i nuovi concorrenti».

QUESTIONE DI PESO
Il risultato è che oggi abbiamo tanti operatori troppo piccoli, spesso inefficienti, che in termini di innovazione non portano alcun beneficio alla collettività: per innovare servono infatti risorse finanziarie e cultura industriale.

L'era dei monopòli ha sostenuto a lungo quattro o cinque colossi delle apparecchiature telefoniche - da Ericsson a Alcatel Lucent a Siemens - che oggi sono alle prese coi nuovi draghi cinesi come Huawei e Zte. Il più florido è Ericsson, svedese, numero uno mondiale. La «nuova Nokia» - che, dopo aver acquistato l'intera quota Siemens, ha modificato l'acronimo Nsn (Nokia Siemens Networks) in Nokia Solutions Networks - se la vedrà con loro. Le capacità non le mancano: specializzata negli apparati mobili avanzati (Lte), ultimamente è tornata al profitto.

RITARDI DIGITALI
Complessivamente però il panorama europeo nel digitale non è entusiasmante: tanto più se ricordiamo l'ambizioso obiettivo del summit di Lisbona 2000, che promise per il 2010 «l'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo».

Un esempio del ritardo europeo è Internet veloce, indicatore importante dei tempi in cui viviamo. Secondo uno studio citato da Le Monde, l'accesso rapido al web è venti volte più sviluppato in Asia e in Nord America che in Europa. Ancor più allarmante una stima del Boston Consulting Group. Se prosegue il calo degli investimenti delle telecom - il 2% l'anno da cinque anni - il danno per l'Europa si valuterà, nel 2020, in 750 miliardi di euro di minor prodotto interno lordo e in 5,5 milioni di posti di lavoro non creati.

Le cause? Da una parte l'Europa si trova schiacciata tra la vitalità imprenditoriale americana, capace di creare un nuovo leader ogni dieci anni, e la forza industriale asiatica. Un'altra ragione ha a che fare con il dominio americano nel software. «Il software mangia il mondo», aveva predetto l'imprenditore californiano Marc Andreessen. E così è stato.

LE PROSPETTIVE
I nuovi monopolisti del web - da Google a Amazon - sono colossi del software, in grado di portar via ossigeno alle telecom che diventano così puri trasportatori di dati. L'America vince perché è imbattibile nel software, un'industria costruita sull'iniziativa individuale e il darwinismo imprenditoriale. Non sull'infrastruttura, più legata alle politiche pubbliche, che peraltro l'Europa, diversamente dall'Asia, non è in grado di realizzare.

Possiamo farcela a risalire la china? Gli operatori di telecomunicazioni sono un punto di forza. Non solo gli ex monopolisti, ma anche un gruppo di cultura più «corsara» come Vodafone. Il secondo operatore mobile del mondo, guidato da Vittorio Colao e reduce dalla vendita a Verizon del 45% di Verizon Wireless, è sotto i riflettori come possibile preda (di At&t?) o predatrice.

Sarà protagonista della concentrazione? Probabilmente sì. Impegnato in una strategia coerente che cerca alternative ai margini calanti del mobile, investe in settori ad alta crescita come i servizi via cavo: ha acquisito prima la britannica Cable & Wireless e poi la tedesca Kabel Deutschland. In Italia si parla da tempo di un interesse per Fastweb. Meno probabile sembra, anche se ricorrente nelle voci, un interesse per Telecom Italia: la cosa appare complicata. Non foss'altro per la profonda differenza «genetica» tra le due aziende.

 

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