“IO C’ERO!” – TURANI: "FONDATORE DE CHE? REPUBBLICA COSTÒ 3 MILIARDI DI LIRE DEL 1976. INVESTIRONO A METÀ CIASCUNO ESPRESSO E MONDADORI. DE BENEDETTI DIEDE 50 MILIONI, “NON SUOI” MA DELLA UNIONE INDUSTRIALI DI TORINO - IL GRANDE GELO CON SCALFARI NASCE CON GLI 80 MILIARDI PER LA SUA QUOTA NELL’ESPRESSO" - PRIMO INCONTRO ALL'ALBA CON CDB, EUGENIO SI DIEDE DEI COLPETTI SULLA FRONTE, COME A DIRE “E’ MATTO”
1. GIUSEPPE TURANI RIVENDICA “IO C’ERO” ALLA FONDAZIONE DI REPUBBLICA E SMENTISCE CARLO DE BENEDETTI, CHE SI È INCAUTAMENTE E IMPROPRIAMENTE ISCRITTO FRA I FONDATORI
Giuseppe Turani per Blitzquotidiano.it
Nel sequel della polemica fra grandi vecchi trasformatisi in litiganti bisbetici e bizzosi, l’ultima parola finora l’ha detta Eugenio Scalfari, che smentisce l’auto attribuzione da parte di De Benedetti della qualifica di fondatore di repubblica.
Scalfari lo fa su Repubblica, in una intervista con Francesco Merlo. Nel mettere i puntini sulle i, curiosamente, lo stesso Scalfari commette un grave errore storico, se di storia si può parlare, quando indica in se stesso, Carlo Caracciolo e Adriano Olivetti i fondatori dell’Espresso.
EUGENIO SCALFARI CARLO DE BENEDETTI Berlusconi e Mario Formenton da _l'Unita
Solo per precisione, a fondare l’Espresso nel 1955 fu Arrigo Benedetti, che ne fu direttore fino al 1963. Lo coadiuvava il trentunenne Scalfari, di tre lustri più giovane di Benedetti. I soldi ce li mise Olivetti. Quando, 2 anni dopo, Olivetti dovette cedere il giornale, costretto dal Governo, passò la maggioranza delle azioni a Carlo Caracciolo, che quindi entra in scena solo nel 1957. Pacchetti di minoranza andarono a Benedetti e a Scalfari. Il pacchetto di Scalfari, trent’anni dopo, diventò la chiave per arrivare al controllo di Repubblica, come riferito più sotto.
CARLO CARACCIOLO CARLO DE BENEDETTI E CORRADO PASSERA
Le verve polemica e un po’ anche l’età possono confondere. Nella intervista a Merlo, Scalfari sostiene la novità della autoproclamazione di De Benedetti a fondatore. In realtà c’è una prima volta, sul palco delle celebrazioni del quarantennale di Repubblica, condotte in perfetto stile sovietico con sgradevoli e vergognose obliterazioni, inclusa quella del sottoscritto.
Caracciolo Scalfari e Formenton 1984
In quella occasione De Benedetti si inserì di soppiatto tra i fondatori, che per la storia furono Scalfari e Caracciolo per parte Espresso, Giorgio Mondadori e Mario Formenton per parte Mondadori. Nel clima festivo nessuno fece caso alla mitomania. Andavano tutti d’accordo e quello era il presidente, non scherziamo compagni. Ha dato i telefonini anche ai giornalisti che in 7 ore e un quarto l’unica uscita che fanno è per andare al bar, ha orchestrato un contratto di lavoro che mai si sarebbe dovuto fare, è la tessera numero uno…
Torniamo al 1976. Far partire Repubblica costò 3 miliardi di lire del 1976. Investirono a metà ciascuno Espresso e Mondadori. De Benedetti diede un contributo di 50 milioni, sempre di lire, “non suoi” ma della Unione Industriali di Torino, di cui era presidente. Un contributo di quelli che se ne davano tanti, in quegli anni, vedessi mai. Lo stesso De Benedetti, in studio da Lilli Gruber, ha riconosciuto che lui, al progetto non credeva affatto.
monica mondardini carlo de benedetti
Si è ricreduto pochi anni dopo, verso l’80, quando l’Espresso rischiava di fallire. Caracciolo, infartuato, aveva lasciato l’azienda, poco più di una boita, all’epoca, indebitata per l’acquisto della concessionaria di pubblicità Manzoni. La scelta, giusta strategicamente, rischiava di rivelarsi esiziale per l’Espresso. Mondadori, guidata all’epoca da Mario Formenton, grande editore, ormai dimenticato e ricordato solo da una borsa di studio, destinato a uscire di scena in pochi anni per mano del destino crudele, stava sull’albero in attesa del collasso per papparsi con poca spesa l’altra metà di Repubblica.
De Benedetti, all’epoca era capo dell’Olivetti. Già nutriva mire sulla Mondadori, non solo come cassaforte che portava a Repubblica ma anche come gamba di un grande e geniale progetto che includeva Olivetti, Espresso, Repubblica e i quotidiani locali. Una visione che anticipava di 20 anni i vari Malone. Mancava la televisione. Ma lì la strada era sbarrata dall’odiato Berlusconi…Non è il Trono di Spade ma se risalite nel tempo e nella memoria potete capire tante cose.
Silvio Berlusconi e CArlo De Benedetti jpeg
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Dove poi ha in effetti sbracato è quando ha detto che Scalfari (con il quale ha avuto di recente una polemica) deve stare zitto perché gli ha dato una paccata di miliardi (quattro volte tanto a Carlo Caracciolo).
FRANCO RODOLFO E CARLO DE BENEDETTI
Qualche maligno sostiene che proprio da lì nasce il grande gelo con Scalfari. De Benedetti aveva offerto a Scalfari 80 miliardi per la sua quota nell’Espresso, a sua volta detentore, come già detto, del 50% di Repubblica. A quel tempo, Caracciolo aveva poco più del 34% dell’Espresso, De Benedetti il 22, Scalfari il 14. Con la quota di Scalfari, De Benedetti sarebbe diventato il primo azionista dell’Espresso e, contando su una leva e una capacità finanziarie che Caracciolo nemmeno sognava, entro breve se ne sarebbe impadronito. Morto Formenton, la Mondadori sarebbe caduta ai suoi piedi e De Benedetti sarebbe diventato il più grande editore del secolo.
mario calabresi carlo de benedetti
Scalfari puntò i piedi, leale a Caracciolo fino alla morte e oltre. Così De Benedetti dovette aspettare che il titolo Espresso salisse in Borsa a un livello tale che la quota di Scalfari valesse, in Borsa, 80 miliardi. Me nel procedere, il 50 per cento dell’Espresso salì a 450. Quella volta il conto lo pagò la Mondadori. Dopo la contesa con Berlusconi e la spartizione fra Berlusconi e De Benedetti imposta da Andreotti (una mega Mondadori come nella visione di De Benedetti, troppo vicina al Pci non andava proprio bene; ma nemmeno andava bene la stessa Mondadori con Repubblica, 16 quotidiani locali unita a Mediaset al servizio di Craxi o, peggio ancora, della futura Forza Italia. Così Andreotti calò la spada di Brenno).
Questa volta a pagare la Mondadori oltre mille miliardi per il 50 di Repubblica (450 miliardi) e tutto il resto del futuro Gruppo Espresso fu lo stesso Espresso, di cui De Benedetti in realtà deteneva il 50% del 50% del 50%. Se si fanno bene i conti, di soldi veri si parla del 12,5% (ecco perché alla fine, poco prima di morire, Caracciolo ricostituì una posizione del 12% che gli eredi preferirono frantumare). Ma come i grandi cercatori di petrolio o di diamanti se ne venivano nei pantaloni quando incontravano la vena giusta della Terra, così De Benedetti non è uno qualunque come noi, è un genio della finanza e per lui quei soldi erano il 100 per cento, non l’ottava parte.
mondadori-ciarrapico-letta-confalonieri
Comunque sia, i miliardi li ha versati, è vero: ma in cambio si è preso la proprietà di Repubblica. Insomma, non ha fatto beneficienza: ha comprato un bene (Repubblica-Espresso), che Scalfari e Caracciolo gli hanno venduto. Bene che lui stesso ha corteggiato a lungo e sulla cui valutazione non ha mai avuto nulla da dire.
L’affare, all’epoca, venne concluso con ampia soddisfazione da ambo le parti. Al punto che Scalfari è rimasto direttore fino a quando ne ha avuto voglia e Caracciolo presidente della società editrice. In tutti quei lunghi anni, l’Ingegnere si è accontentato del suo ruolo di proprietario poco influente (i due fondatori facevano barriera).
Contraddicendo la sua impetuosa natura, che lo ha portato a alcuni clamorosi autogol (vale per tutti la vicenda della Sgb belga), De Benedetti resistette più o meno fuori dalla porta fin che Caracciolo superò gli 80 anni. Un po’ come uno che compra una casa ma aspetta 20 anni prima di andarci a abitare, per rispetto del vecchio inquilino.
Finalmente assunse la presidenza e da lì in poi non lo ha più fermato nessuno, mentre nella sua famiglia si dipanavano le puntate di una tragedia greca per fortuna senza sangue, di una Dinasty un po’ più contenuta ma senza esclusione di colpi.
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2. REPUBBLICA, 1976, SCALFARI INCONTRA ALL’ALBA DE BENEDETTI E POI CON LE DITA SI DIEDE DEI COLPETTI SULLA FRONTE, COME A DIRE “E’ MATTO”.
Giuseppe Turani per Blitzquotidiano.it
Giuseppe Turani e Barbara Lightwood
La prima volta che Carlo De Benedetti incontrò Eugenio Scalfari, Scalfari non ne ebbe una buona impressione. Chiesi a Scalfari come fosse andato l’incontro. Ma lui non rispose. Con due dita della mano si diede dei colpetti sulla fronte, come a dire “E’ matto”.
Come, da quel lontano 1976, dalla puzza sotto il naso si sia passati al grande amore (se mai c’è stato) per poi precipitare nel pubblico lancio di verdure è una di quelle cose che aiutano a capire l’instabilità dei sentimenti e dei rapporti umani.
Carlo De Benedetti ha avuto la cattiva idea di incrociare il ferro con Eugenio Scalfari e male gliene incolse. Per parte mia, aggiungo alcuni dettagli, che ho pubblicato anche su Uomini & Business. Eugenio conferma che l’Ingegnere non figura fra i fondatori di Repubblica, nemmeno dal punto di vista finanziario. Ha dato all’inizio 50 milioni su 5 miliardi (di lire). E erano soldi dell’Unione industriali di Torino, di cui aveva la disponibilità come presidente. Nemmeno i suoi.
Persino Leopoldo Pirelli, sempre misurato, ha versato almeno quattro volte tanto. Astaldi pure.
Anzi, posso testimoniare che all’epoca della nascita di Repubblica, Scalfari e De Benedetti nemmeno si conoscevano. Il tutto avvenne attraverso comuni amici.
carlo de benedetti in barca in sardegna
Il primo fra i due avvenne molti mesi dopo, a giornale già avviato. Lo ricordo perfettamente perché fu il sottoscritto a organizzarlo. E ricordo anche che dovetti insistere perché Scalfari sembrava pochissimo interessato a quell’incontro.
Si era in piazza Indipendenza e l’ufficio di Scalfari era un gabbiotto di vetro ricavato nel salone principale. Accompagnai l’Ingegnere da Scalfari nel cubicolo e mi misi a una scrivania a leggere i giornali. Nel gabbiotto De Benedetti parlava e Scalfari ascoltava.
Alla fine, stretta di mano, e Cdb se ne va. Chiedo a Scalfari come è andato l’incontro. Ma lui non risponde. Con due dita della mano si dà dei colpetti sulla fronte, come a dire “E’ matto”.
RODOLFO DE BENEDETTI MONICA MONDARDINI JOHN ELKANN
Poi a colazione ottengo qualche spiegazione in più. L’Ingegnere (lontanissimo dal diventare proprietario di Repubblica in quel momento) ha rifilato a Scalfari una storia in cui credeva molto: il mondo (eravamo a metà degli anni ’70) era sull’orlo di una crisi mondiale devastante, non si sarebbe salvato quasi niente. Le stesse cose che aveva detto a me, qualche settimana prima, un’intervista pubblicata su Repubblica (sia pure con molte perplessità).
Comunque, dopo quel primo incontro quasi all’alba negli uffici deserti di Repubblica, i due hanno preso a vedersi per conto loro e non sono testimone di niente.
Però qualcosa si può ancora dire, del come la storia è ironica.
Ezio Mauro fu scelto come direttore da Scalfari, quando lui decise di lasciare. E fu scelto, oltre che per la stima, per bloccare una candidatura proposta da De Benedetti, che a Eugenio non piaceva per niente (Giulio Anselmi, ndr).
Poi, l’Ingegnere ha stabilito con Mauro un rapporto privilegiato, che credo duri ancora oggi.
Mario Calabresi, il direttore attuale, è invece stato scelto personalmente da Cdb. Ma il rapporto fra i due non è mai decollato.
Tanto è vero che si dice che dietro gli attacchi dello stesso Cdb a Repubblica ci sia in realtà il desiderio di cambiare direttore, attingendo questa volta non dalla Stampa di Torino, ma da giro di via Solferino.
Voci, forse solo pettegolezzi di redazione, ma questo è ciò che circola