E' MORTO SANDRO MAYER - IL GIORNALISTA E SCRITTORE, DAL 2004, ERA DIRETTORE DI ALCUNE TESTATE DEL GRUPPO CAIRO - AVEVA 77 ANNI - L'INTERVISTA IN CUI DISSE: “NON PORTO UN PARRUCCHINO, MA UN TRATTAMENTO CHE NON MI DECIDEVO A FARE PERCHÉ TROPPO COSTOSO" - "UNA NOTTE PADRE PIO MI È APPARSO ED ERA INCAVOLATO NERO PERCHÉ NON LO METTEVO SUL GIORNALE; IO GLI RISPONDEVO: “NON TI METTO PERCHÉ NON FAI VENDERE. E LUI…” – VIDEO
Sara Faillaci per “F” del 16 novembre 2017
L’ufficio ha sulle pareti copertine dal soffitto al pavimento. «Quando finisce lo spazio di solito è tempo che vada». Guardo la stanza rapidamente: pezzi di muro liberi ce ne sono ancora. Sandro Mayer è il direttore del settimanale Dipiù dal 2004. Prima lo è stato per 20 anni di Gente. Prima ancora di Epoca e di Bolero, dopo una carriera da inviato a Novella e poi all’Oggi. Ha vissuto 50 anni nei giornali, sempre a contatto con i personaggi famosi, con un’unica missione: intrattenere la gente.
E ha venduto un numero di copie incalcolabile. Figlio di un chimico e di una casalinga originaria di Napoli, dove ha vissuto fino all’età di 15 anni, si è formato il fiuto giornalistico «ascoltando la gente dei bassi e i discorsi dell’aristocrazia partenopea». Appassionato di cinema e di teatro, si è inventato un giornalismo popolare che mescola alto e basso. E ci azzecca sempre. La tv è un altro suo grande amore, dai tempi in cui fece con Boncompagni Domenica in fino a Ballando con le stelle, dove oggi è ospite fisso.
Autore di molti libri, tutti scritti con il cuore, ha appena pubblicato Storie da palcoscenico (Cairo Editore), 4 commedie teatrali ispirate da lettere dei lettori sull’ amore, tema intramontabile quanto lo è lui. L’ultima, non a caso, parla di Padre Pio, presenza fissa nella sua opera e in ogni numero del giornale. E non per ragioni di fede.
Quando ha deciso che avrebbe fatto il giornalista?
«Presto. A Napoli passavo ogni giorno sotto la sede del Mattino e vedevo i giornalisti seduti al bar che parlavano tra loro, si arrabbiavano. Invece quando andavo a trovare mia zia che lavorava in Provincia c’era un silenzio mortale».
Come ci è riuscito?
«Sono stato fortunato. Dopo la laurea in Scienze politiche mio padre mi obbligò a fare un concorso per un posto fisso in Fiat. Mi impegnai al massimo per essere bocciato, invece mi presero. Ma alla fine convinsi i miei a lasciarmi partire per Londra: volevo imparare l’inglese. Iniziai come sciacquapiatti e finii capocameriere. La mancia più ambita, mezza corona, me la lasciò una ragazza italiana che studiava a Cambridge. Quella moneta la conservo ancora e lei è diventata mia moglie».
Un romantico.
«Siamo ancora sposati e abbiamo avuto una figlia, Isabella. Tornato in Italia, mi offrirono un posto da traduttore all’Europeo e, poco dopo, di entrare in redazione a Novella che all’epoca pubblicava storie rosa e un po’ di attualità. Il direttore editoriale della Rizzoli era Enzo Biagi che ci chiedeva di mettere il registratore sotto il letto dei vip.
Alla mia collega Maria Venturi, oggi scrittrice, chiese di approfondire un gossip di cui si parlava a Roma: il fratello minore di Claudia Cardinale, Patrick, in realtà sarebbe stato suo figlio partorito in gran segreto a Londra qualche anno prima. La Venturi scoprì tutti i dettagli: nomi, luogo e data del parto.
Ma per pubblicare lo scoop ci voleva il certificato di nascita del bambino. Chiesero a me di andare a Londra a scovarlo, solo perché parlavo inglese. In realtà non sapevo da che parte girarmi. Ma fu più facile del previsto: mi presentai all’anagrafe della zona con tutti i dati e me lo consegnarono senza battere ciglio. La sera stessa volai a Roma e lo portai a casa Cristaldi dove mi aspettava Nicola Carraro, allora al vertice della Rizzoli.
Non fui presente quando ne parlò alla Cardinale e a Franco Cristaldi, il suo compagno, ma si misero d’accordo: prima uscirono delle foto di un finto matrimonio tra loro scattate a Cinecittà, per salvare la reputazione dell’attrice e distogliere l’attenzione dallo scandalo che avremmo suscitato poi con il nostro scoop. Biagi si tenne l’intervista esclusiva alla Cardinale per Epoca. Altri tempi».
In che senso?
«Allora le celebrità erano molto più disponibili a parlare di sé. Avevano capito che gli conveniva: se entri nel cuore della gente e permetti che i giornali facciano di te un personaggio, la tua carriera si rafforza e puoi superare il fallimento di un film, che prima o poi capita a tutti.
Quando andavo come inviato al Festival del cinema di Cannes, Lucherini, agente delle dive, mi chiamava e, qualunque servizio avessi in mente, ordinava all’attrice di turno di mettersi a disposizione. Ricordo un anno in cui Gina Lollobrigida aveva ottenuto un successo pazzesco sulla Croisette; il giorno dopo arrivava Sophia Loren e Lucherini non poteva rischiare un’accoglienza più tiepida.
Allora si mise in tasca un martello e al Palazzo del cinema davanti alla calca dei fotografi diede un leggero colpetto alla porta a vetri dell’atrio che venne giù in frantumi. Il giorno dopo i giornali titolarono: “Per la Loren sfondate dalla calca le vetrate del Palazzo del cinema”».
Lei era appassionato di cinema ma nella sua carriera ha fatto interviste anche a politici internazionali molto importanti. Come ci è riuscito?
«Iniziò tutto con Gheddafi, che intervistai nel 1972 grazie a un guardiano che avevo conosciuto a Tripoli, quando ci andai da ragazzino per il lavoro di mio padre. Quando venne a trovarci a Milano, io facevo già il giornalista, ci disse che aveva fatto carriera, e mi promise di farmi incontrare il Colonnello che aveva appena preso il potere. Partimmo con un fotografo ma, dopo dieci giorni in Libia, di Gheddafi non c’era traccia.
Quando ormai mi apprestavo a tornare senza servizio, la notte prima del mio rientro in Italia mi sentii toccare la spalla mentre dormivo. Aprii gli occhi e mi trovai davanti tre soldati che mi dissero che era ora di incontrare il Colonnello. Prendemmo un aereo militare e ci portarono in una caserma a Bengasi.
A quel punto ero convinto mi avrebbero arrestato. Invece arrivò Gheddafi che chiese l’interprete, anche se io sapevo che parlava molto bene l’italiano. Infatti, quando il traduttore era impreciso, lo riprendeva subito».
Due anni dopo era con Indira Gandhi.
«A quel punto ero gasato. Feci una richiesta ufficiale allegando l’intervista a Gheddafi e l’accettarono. Una donna straordinaria, la Gandhi, alle prese con un Paese con problemi enormi. Con l’occasione girai tutta l’India e feci servizi sul Taj Mahal; allora la gente non viaggiava, non c’era la televisione o Internet a mostrare immagini, gli unici eravamo noi, con i giornali. Stesso discorso per l’America».
Dove intervistò per primo Ronald Reagan, candidato alla Casa Bianca.
«Ero andato a Los Angeles per alcuni divi del cinema e si parlava solo di Reagan, un attore che stava per diventare presidente degli Stati Uniti. Nessuno riusciva a intervistarlo ma l’attrice Rhonda Fleming, che era stata una sua fiamma, mi diede una dritta: Reagan avrebbe preso l’aereo quella sera per andare a fare campagna elettorale a Denver, in Colorado.
selvaggia scrive che a sandro mayer si sta stempiand pure il parrucchino
“È un tipo easy, lo avvicini e gli dici che sei mio amico”, mi disse. Comprai un biglietto sullo stesso volo, ma quando fummo a bordo lui era nelle prime file con il suo staff, io ovviamente in ultima. Tra noi una barriera di guardie del corpo. Mi venne l’idea di chiedere di passare per andare alla toilette e una volta davanti alla porta scoprii che era occupata da Reagan. Quando uscì mi disse: “Please”, e fece il gesto di farmi passare. E io: «Grazie ma non sono qui per fare la pipì ma per intervistare lei”. Lui senza battere ciglio disse: “Come on my friend” e mi fece sedere vicino a lui. Parlammo per il resto del viaggio».
Si conquistò anche la fiducia dei reali. È vero che è stato testimone di nozze di Maria Beatrice, figlia di Umberto di Savoia, ultimo re d’Italia?
«Sì. La fiducia dei reali in realtà si conquistava in un solo modo: con i soldi. Pagammo dieci milioni in contanti per avere l’esclusiva del matrimonio. Il mio merito, però, fu quello di agganciare la principessa. Ci arrivai grazie al fidanzato, il giovane diplomatico argentino Luis Reyna. Si sposarono nel 1970 in Messico, lontano dai riflettori perché lei era incinta di cinque mesi e nessuno doveva saperlo.
sandro mayer con i capelli a ballando con le stelle
Mezzo mondo le dava la caccia e io ero l’unico giornalista ammesso alla cerimonia. A un certo punto Maria Beatrice mi disse: “Mi sento tanto sola, non c’è nessun italiano qui. Non è che mi farebbe da testimone?”. Naturalmente accettai. E l’anno dopo ebbi l’esclusiva delle nozze del fratello Vittorio Emanuele con Marina Doria. Altri dieci milioni. Dicevano che i soldi andavano in beneficenza ma non l’ho mai saputo. D’altra parte non erano fatti miei».
Da inviato a direttore. Prima di Bolero, poi di Epoca, un giornale cult.
«Mi crocifissero. Prima comunicazione scrisse: “L’inventore dei sirenetti alla guida di Epoca”. Si riferiva al fatto che, a Bolero, avevo introdotto accanto alla carrellata di belle ragazze a cui si davano orribilmente i voti, anche una di giovani maschi, chiamati, appunto, “i sirenetti”. La redazione non mi votò la fiducia. E io chiesi: “È vincolante?”. A risposta negativa, replicai: “Allora andiamo a lavorare, c’è da fare un giornale”».
Ha diretto Gente per 20 anni. Quante copie ha venduto nella sua vita?
il parrucchino di sandro mayer a miss itlaia
«Non lo so ma mi ricordo il numero record: Edwige Fenech in costume da bagno, un milione e mezzo di copie. Ero convinto che a vendere fosse stata la sua bellezza, invece il distributore mi disse che era stata la dieta di Rosanna Lambertucci. L’avevo incontrata in tv e insieme ci eravamo inventati la dieta personalizzata. Un successo clamoroso per cui ci hanno odiati. Povera Lambertucci».
Lo scoop più clamoroso?
«Ero direttore di Gente e di Eva tremila e mi trovavo in Costa Azzurra in vacanza. Mi raggiunse un fotografo per mostrarmi un servizio clamoroso, sembrava maneggiasse una bomba. Quando vidi le foto al bar dell’hotel Negresco di Nizza ancora un po’ cado dalla sedia: ritraevano il marito di Stéphanie di Monaco, Daniel Ducruet, in una performance a luci rosse con una ballerina. Chiamai subito Alberto Rusconi che comunque era un tipo frizzantino e mi autorizzò l’acquisto, anche se erano un sacco di soldi. Dovevo però pubblicare due servizi: quello più hot andò su Eva e uno più sobrio su Gente. Successe il finimondo: Stéphanie chiese il divorzio. Ma non fu certo colpa mia».
Perché invece ha sposato la causa di Padre Pio? È molto religioso?
«Sono credente ma non quanto la gente pensa, non sono praticante. È successo che una notte Padre Pio mi è apparso ed era incavolato nero perché non lo mettevo sul giornale; io nel sogno gli rispondevo: “Non ti metto perché non fai vendere”.
ZAZZARONI ANCHE SANDRO MAYER STA CON DUDU IN TESTA
E lui: “Tu mettimi e vediamo”. La mattina dopo ero talmente turbato che feci riaprire il giornale per inserire qualcosa sul santo e misi pure lo strillo in copertina. Nei giorni successivi il distributore mi disse che il giornale era andato a ruba per Padre Pio. Venne fuori che aveva molti fedeli, anche tra gli attori, anche se mediaticamente se ne parlava poco. Da allora è nato un legame e non faccio più un numero senza Padre Pio».
Perché invece ha deciso di tornare in tv andando a Ballando con le stelle?
«Vuole la verità? Perché mi piace il ballo. Da ragazzo ero un discreto ballerino».
Ha molto successo. I commenti sui social su di lei si sprecano.
«Tra tanta gente che grida, Milly dice che io riporto nel programma un po’ di calma. Per me è un’esperienza nuova essere riconosciuto per strada. L’altro giorno mi passa davanti un pulmino di studenti e sento un coro gridare: “Ciao Sandro!”. Confesso che mi fa piacere».
Vanitoso?
«Il giusto. Più che altro sono un’esteta. Mi piace il bello e le persone curate».
Per questo qualche anno fa ha deciso di dire addio alla calvizie e si è presentato in tv con i capelli?
«Non è un parrucchino, ma un trattamento che non mi decidevo a fare perché troppo costoso. Un giorno mi sono guardato allo specchio e ho capito che dovevo superare quel blocco, era una spesa che, dopo anni di onorata carriera, potevo permettermi. E l’ho fatto. Per me».