SCHUMACHER: UNA SETTIMANA PER “SVEGLIARLO” - I MEDICI HANNO COMINCIATO A PORTARLO FUORI DAL COMA FARMACOLOGICO, MA NON SANNO IN QUALE STATO TROVERANNO IL CERVELLO
Stefano Mancini per "la Stampa"
Un mese in coma. Immobile, sdraiato su un lettino, circondato dai familiari che non vede né sente. Dal 29 dicembre Michael Schumacher è ricoverato al quinto piano del Centro ospedaliero universitario di Grenoble, tenuto artificialmente in questo sonno artificiale che aiuta il suo cervello a recuperare dal trauma. Non è più in pericolo di vita e per questo i medici del reparto di Rianimazione hanno deciso di svegliarlo.
Nei giorni scorsi hanno ridotto le dosi di anestetico per valutare le reazioni dell'ex pilota e in questa settimana cominceranno la fase due: quella che potrebbe riportarlo a una vita normale, fatta di rieducazione e riabilitazione. Il problema non è se ci riusciranno: l'angoscia di chi lo cura, di chi gli vuole bene, dei tifosi che l'hanno amato quando batteva tutti i record della Formula 1 e con la Ferrari diventava il «campionissimo» è che cosa troveranno quando riaprirà gli occhi.
Il danno è stato grave: emorragie cerebrali diffuse e edemi che hanno compresso il cervello soprattutto nella parte sinistra, dove i neuroni elaborano il linguaggio e comandano la parte destra del corpo. A questo si aggiunge l'immobilità che atrofizza i muscoli e blocca le articolazioni. Sarà un percorso lungo, una sfida difficile quanto lo è stata quella per sopravvivere contro le previsioni degli stessi specialisti che lo hanno curato e vegliato giorno e notte. In questi trenta giorni sono state raccontate le vite di chi ce l'ha fatta e di chi è rimasto gravemente menomato. Ma ogni caso ha una storia a sé e il cervello è un organo delicato e misterioso.
Fino al 29 dicembre la storia di Schumacher è quella dello sportivo invulnerabile che ha vissuto ai 300 all'ora, che ha vinto ed è conosciuto in tutto il mondo e che a 45 anni si gode la dorata pensione con la moglie e i figli. Da quel giorno, invece, sui suoi pensieri e i suoi sogni è calato il buio: durante una tranquilla uscita sugli sci con gli amici ha deviato in un breve tratto fuori pista. Non andava forte, come ha testimoniato la telecamerina che aveva sul casco. Nessuna imprudenza, solo la sfortuna di inciampare su un sasso nascosto dalla neve e di sbattere la testa contro un roccia.
E' successo a Méribel, sulle Alpi francesi, dove si era comprato uno chalet e trascorreva le vacanze invernali.
Da allora, tutte le mattine un suv Mercedes nero varca i cancelli dell'ospedale di Grenoble e posteggia nel garage sotterraneo riservato ai dipendenti. E' di Corinna Betsch, la moglie, che si infila in un'entrata di servizio e raggiunge il quinto piano evitando i fotografi che ancora si aggirano in zona.
A volte arriva con Sabine Kehm, manager e portavoce storica del pilota, e dai figli Gina Maria di 16 anni e Mick jr di 14, che negli ultimi tempi sono tornati in Svizzera, nella loro splendida residenza sul Lago Lemano, per riprendere la scuola.
Corinna trascorre le sue giornate e consuma i suoi pasti in ospedale. Talora riceve la visita del professor Gerard Saillant, il chirurgo che nel â99 operò il marito alla gamba e poi ne diventò amico, e di Jean Todt, il presidente della Federazione dell'automobile che lo ama come un figlio. Poi legge i messaggi di saluto che il marito riceve, gli ultimi dalla Formula 1 che ieri in Spagna ha ripreso a correre. Ogni sera, la moglie del campione scende in garage, si rimette al volante e torna in Svizzera o a Méribel. Una routine triste, un'altalena di speranze e paure che è giunta a una svolta. Anche per lei sarà la prova più difficile: dopo aver pregato perché il suo Michael sopravvivesse, ora deve trovare la forza di riaccompagnarlo a una vita normale.
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