pronto soccorso del cardarelli di napoli 3

“LAVORO 18 ORE, SUBISCO MINACCE E MI HANNO ANCHE PICCHIATO” – MARCO EVANGELISTA, MEDICO DI 37 ANNI, IN UN OSPEDALE DI NAPOLI RACCONTA L’INFERNO CON CUI DEVE COMBATTERE OGNI GIORNO: “I FAMILIARI DI UN PAZIENTE MI HANNO FATTO FINIRE IN OSPEDALE PER 10 GIORNI” - "PER FARE UN'ANAMNESI COME SI DEVE SERVE TEMPO E QUI NON C'È. COSÌ A VOLTE SOMMINISTRIAMO TERAPIE SENZA SAPERE SE IL PAZIENTE PRENDE GIÀ QUALCHE MEDICINA CON CUI POSSONO INTERAGIRE MALE"

Estratto dell'articolo di Paolo Russo per “La Stampa”

 

PRONTO SOCCORSO

«Lavoro fino a 18 ore consecutive, subisco le minacce dei familiari dei pazienti, recentemente mi hanno anche picchiato e per lo stress con cui lavoro non dormo più la notte per la paura di aver commesso errori. Due mesi fa stavo per mollare tutto e tornare nel privato, invece mi trasferirò in un ospedale sempre pubblico ma più tranquillo. Questo addio però lo vivo come una sconfitta perché dovremmo essere messi nelle condizioni di lavorare al meglio proprio dove c'è più bisogno».

 

pronto soccorso del cardarelli di napoli 3

La voce di Marco Evangelista, 37 anni, «due figli piccoli che non vedo quasi mai», medico internista in un ospedale di trincea della Napoli 2, trema per l'emozione quando parla del suo vissuto. Una scelta coraggiosa, «perché prima lavoravo in una struttura privata dove le condizioni sono decisamente migliori, ma sono innamorato del pubblico per cui eccomi qui in quello che chiamano "il triangolo della malavita"».

 

Qualche mese fa «i familiari di un paziente mi hanno fatto finire in ospedale per 10 giorni e da allora non sono più lo stesso. Già ero in burn out prima, ora si è aggiunta anche la paura di nuove aggressioni, che non mi fa più lavorare con serenità. Magari evito di fare un intervento necessario ma a rischio, oppure chiedo il supporto dei colleghi perché sono diventato meno intraprendente nelle scelte cliniche».

 

pronto soccorso del cardarelli di napoli 12

I perché di questi traumi si spiegano seguendo Marco in una sua giornata tipo. «Ieri ho fatto la notte, oggi ho quello che in gergo chiamiamo "smonto", insomma dormo e domani ricomincio senza poter passare un po' di tempo con moglie e figli. Alle 8 entro in pronto soccorso, perché nel reparto di medicina interna, la specialità per la quale ho studiato, passo appena il 30-40% del mio tempo lavoro. Il resto lo trascorro qui a turare le falle.

pronto soccorso

 

Per prima cosa prendo in consegna i pazienti del turno precedente, magari in attesa di un letto da giorni. Tento la buona sorte cercando un posto in reparto da noi. Tentativo fallito. Allora faccio un salto negli anni '80 e invio un fax, dico un fax, alla centrale operativa regionale del 118 per cercare un posto altrove. Ma la linea cade. Riprovo. Stavolta va ma è illeggibile. Altro tentativo finalmente riuscito. Arriva la risposta: il letto c'è ma a Vallo della Lucania, 200 chilometri di distanza. E ora chi lo va a dire ai parenti lì fuori che magari abitano a 5 minuti da qui? ».

 

pronto soccorso

Sembra un incubo ma è ordinaria quotidianità. «E questo rito della presa in carico si ripete per i 10-20 pazienti che ti passa ciascun medico che stacca dal turno precedente», racconta Marco. «Poi ci sono gli altri 20-30 che devono ancora essere presi in carico. Capita che entrino classificati come non gravi e poi scopri che il problema è più serio e che si sarebbe dovuti intervenire prima». [...]

 

«Giorni fa si è presentato da me un padre con la figlioletta di 8 anni e il terribile dubbio che fosse stata violentata. Ti raccontano cose che necessitano ascolto e invece hai le urgenze che ti premono sul collo perché a ogni turno di storie da ascoltare nei hai 40 o 50, tanto che il tuo orario di lavoro si prolunga all'infinito». [...]

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