OMOFOBIA, QUANTI RAGAZZI SI PORTA VIA - LA PROCURA INDAGA SU POSSIBILI “VESSAZIONI” SUBITE DAL RAGAZZO GAY CHE SI E’ UCCISO A ROMA
Maria Corbi per "La Stampa"
«Che storia vi dobbiamo raccontare? Quella di un ragazzo normale, buono? Non c'è niente da raccontare tranne il grande dolore che stiamo vivendo».
à gentile, sfregiata dalla sofferenza, la voce che risponde al telefono nella casa di Simone, il ragazzo che si è tolto la vita perchè incapace di convivere con le difficoltà che un gay affronta in questa società . Davanti al portone di questo palazzo, in un quartiere periferico della capitale, i vicini invitano ad andarsene: «per favore, cercate di aiutarli, proteggendoli, sono distrutti.
Una bravissima famiglia che non si meritava di vivere questo. E anche il ragazzo non meritava una fine così. à giusto che stiano indagando sul perchè e sul come sia potuta succedere una cosa del genere, perchè è difficile accettare...». La signora che ci parla sa dell'indagine aperta in procura e anche l'amica che le sta accanto annuisce: «Lo abbiamo letto su internet e come mamma avrei voluto che si andasse a fondo. Non posso pensare a quella poveretta...».
Il fascicolo, per ora senza indagati o ipotesi di reato, è stato avviato dal procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani e dal sostituto Antonio Clemente. Gli inquirenti cercheranno di capire se dietro a quel gesto estremo, dietro quella disperazione ci sia stata una «spinta» fatta di comportamenti verbalmente aggressivi, una «istigazione», l'aver subito insulti e vessazioni.
«L'Italia è un Paese libero ma esiste l'omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza». Parole vergate negli ultimi istanti di vita del giovane su cui si concentra l'attenzione dei pm che ascolteranno parenti e amici del ragazzo per cercare di definire i contorni in cui si è consumata la tragedia.
Cercando di ricostruire le ultime ore di vita del ragazzo, con in testa il dubbio che nella zona o in nell'edificio dal quale si è lanciato, possa aver incontrato qualcuno. Tra oggi e domani potrebbe essere effettuata l'autopsia. Poi si terranno i funerali. «Se vogliono le porte della Chiesa sono aperte», dice il parroco che ieri è andato a trovare la famiglia.
Una famiglia religiosa, che andava a messa la domenica, unita. La sorella di Simone era l'unica che conosceva il suo segreto. Più volte, racconta un amico del quartiere, aveva cercato di convincerlo a parlarne con i genitori, ma lui ne soffriva, non voleva deluderli. Ma era difficile tenersi tutto dentro e da qualche tempo aveva iniziato a fare delle confidenze a qualche vecchio amico, ai nuovi dell'Università , ai corsi per le professioni sanitarie, cercando di vivere per quello che veramente era.
«Non ce la faccio». Le parole di Simone sono un pugno, un grido, una frustata a questa società che ancora non riesce a eliminare la parola «diverso». «Se ce lo avesse detto, non sarebbe cambiato nulla, perchè? Perchè?». Le domande di una madre e di un padre che non avranno mai risposta. E tornano alla mente gli ultimi tempi, quando Simone era inquieto, i suoi risultati all'Università scarsi, le sue chiusure verso il mondo sempre più nette. «Un bravissimo ragazzo». La risposta è unanime in questo fazzoletto di Roma assaltato dalle speculazioni dei palazzinari.
E intanto la politica di interroga e dibatte come sempre dopo una tragedia. «Lacrime di coccodrillo», dice Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia. «Smettetela di offenderci con le vostre lacrime da coccodrillo, con i vostri balbettii. Quando volete, siete assai solleciti, sfornate provvedimenti legislativi in un giorno, quindi, non raccontateci che ci vuole tempo, che dovete discutere, ogni scusante non ha senso e aumenta solamente la vostra complicità morale».
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