VAJONT, STRAGE PREMEDITATA? IL RICORDO DI UN NOTAIO: “FRANA STUDIATA A TAVOLINO DAI DIRIGENTI DELLA DIGA”

Luciano Gulli per "Il Giornale"

La giornata, quel 9 ottobre 1963, era stata piena di sole. Una di quelle giornate che ogni tanto, d'autunno, mentre già si fanno le prove generali dell'in¬verno, si affacciano all'improv¬viso fra le montagne, a ricorda¬re com'era stata l'estate. Era un mercoledì. Un mercoledì di Coppa. La sera,in tv, davano Re¬al Madrid-Glasgow. Dunque l'appuntamento, per gli uomi¬ni, era lì, al bar; perché la tv in casa, allo¬ra, chi ce l'ave¬va? La partita cominciò alle 21.30. Alle 22.39 venne giù il sipario. Saltò la luce. E saltarono le vi¬te di 1910 per¬sone.

Chi non se la ricorda -an¬che solo per averne sentito par¬lare- la frana del Vajont, il mon¬te Toc che molla un bel «toc» di metri cubi (270 milioni,all'incir¬ca) nell'invaso sottostante, e quel muro d'acqua e fango che cancellò il paese di Longarone?
Oggi, cinquant'anni dopo quella tragedia, arriva la denun¬cia choc -precisa, circostanzia-ta- che resuscita sospetti, mor¬morazioni vecchi di cin¬quant'anni. Quella frana era sta¬ta pilotata. Così studiata a tavoli¬no che si sapeva perfino il gior¬no e l'ora in cui sarebbe avvenu¬ta.

La denuncia viene da France¬sca Chiarelli, figlia del notaio Isi¬doro Chiarelli, nel cui studio di Longarone, nei giorni prece¬denti la tragedia, si incontraro¬no alcuni dirigenti della Sade, la società proprietaria della di¬ga del Vajont. Si doveva definire la compravendita di un terre¬no, quando a un tratto il discor¬so virò. «Facciamolo il 9 otto¬bre, verso le 9-10 di sera», propo¬se uno di quei dirigenti.

«A quel¬l'ora saranno tutti davanti alla tv, e non ci disturberanno, non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la popolazione? Per ca¬rità. Non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto le prove. Le onde saranno alte al massimo 30 me¬tri (arrivarono a 300,ndr) non accadrà niente, e comunque per quei quattro montanari in giro per i boschi non è il caso di preoccuparsi troppo».

Questa la conversazione, ha raccontato Francesca Chiarelli al Gazzettino di Venezia , che si svolse davanti alla scrivania di suo padre. Poi, come se la scena si svolgesse a Brooklyn, ecco le minacce al notaio, morto nel 2004. «Lei ha un segreto profes¬sionale da rispettare, caro nota¬io, altrimenti se ne pentirà...».

Isidoro Chiarelli tuttavia non si fece intimidire, racconta ora Silvia, sorella di Francesca e do¬cente all'università di Padova. Ma la sua verità scomoda, nella torpida e benpensante provin¬cia bellunese non piacque. Tur¬bava gli animi, destava scanda¬lo, era insopportabile da digeri¬re. Chiarelli finì ai margini. Un appestato. «Anche se per quasi due anni nostro padre non lavo¬rò, schivato da tutti, non smise mai di farsi testimone di quelle parole -continua la figlia Sil¬via-. Per questo ebbe molti pro¬blemi, pressioni e minacce. Ma il suo grande cruccio fu quello di non essere mai creduto, nem¬meno nella sua veste certifican¬te di notaio».

Serve altro, per asseverare i ri¬cordi delle sorelle Chiarelli? Ec¬co quest'altro terribile brandel¬lo di memoria. E chissà che ora, nell'imminenza del cinquante¬simo di quella tragedia, quei po¬veri morti non abbiano la giusti¬zia che finora gli è stata negata. «La sera del disastro program¬mato- giura la profes¬soressa Chiarelli¬, mio padre ci fece sta¬re pronti. Eravamo vestiti di tutto punto, pronti a scappare». Una«disgrazia»?An¬diamo. Il notaio, di-cono le figlie, usava un termine più ap¬propriato: eccidio.

Proprio quel che pen¬sano Mauro Corona, lo scrittore, e il presi¬dente del Consiglio nazionale dei geolo¬gi, Gian Vito Grazia¬no, che il 5 ottobre, sui luoghi della trage¬dia, presenterà un documento che ri¬scrive la storia di una catastrofe «figlia del¬la trop¬pa sicurezza di chi pensa¬va di essere in grado di domina¬re gli eventi; della superficialità di coloro che magari intuirono lo sviluppo e la progressione della frana e fecero poco o nulla per arrestare i lavori; e del fatali¬smo di coloro che, pur avendo la consapevolezza della trage¬dia imminente, poco o nulla fe¬cero per allertare le popolazio¬ni ».

 

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