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ADDIO A REMO BODEI - FARE FILOSOFIA PER LUI NON È SISTEMARE IL MONDO MA FORNIRE IL SENSO ALLE COSE DEL MONDO - NIENTE DI QUELLO CHE ACCADE OGGI, DICEVA, È PIÙ SOTTO CONTROLLO. QUANDO SI ALLENTA O SI ROMPE LA CATENA DELLA TRADIZIONE, LA REALTÀ STESSA VACILLA. LA GLOBALIZZAZIONE, COME TRIONFO DELL'ILLIMITATO, È FONTE DI DISORIENTAMENTO PERMANENTE…

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Antonio Gnoli per “la Repubblica”

 

Davvero, non avrei parole migliori per definire Remo Bodei come l' uomo che del dialogo seppe fare autentica filosofia. E ora che non c' è più mi sovvengono le volte in cui ci siamo parlati in un' interrogazione sempre illuminante grazie alla disponibilità e alla maestria con cui ha segnato il proprio magistero. È morto ieri sera a Pisa, era nato nel 1938 a Cagliari.

 

L' insularità cedette presto il passo alla necessità di viaggiare e di studiare fuori. Gli interessi scientifici e musicali lo condussero a Roma. Studiò flauto al conservatorio e fisica all' università.

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Scoprì nel bel mezzo di quelle avventure una predisposizione alla filosofia. Scelse uno dei posti più ambiti dove laurearsi: la Normale di Pisa. Ricordava le prime lezioni di storia con Delio Cantimori, da cui avrebbe appreso l' arte scomoda del dettaglio. E poi Arsenio Frugoni con le sue indagini nel mondo medievale. Ma soprattutto considerò suo maestro Arturo Massolo, i cui studi su Hegel propiziarono l' interesse di Bodei per il grande filosofo tedesco.

 

Fuori da ogni venerazione totalizzante Bodei affrontò Hegel con spregiudicatezza, ponendosi al riparo da ogni tentazione sistematica. Si convinse che compito filosofico non fosse sistemare il mondo ma fornire il senso a un' epoca.

 

Bodei avrebbe con competenza potuto occuparsi del mondo antico. Alcune sue riflessioni trovavano in quel remoto bacino culturale inesauribili suggestioni. Come quando cominciò a riflettere sul modo diverso che i greci avevano, rispetto ai moderni, di accostarsi al concetto di limite.

 

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Dal momento che erano gli dèi a porre il limite, trasgredirlo avrebbe significato andare incontro a una punizione terribile. Il pensiero moderno infranse quel divieto. Ne frantumò l' involucro divino, sfidando la legge e assumendosene il rischio. Fu tipico della modernità violare antichi tabù e rendere impraticabile ogni cammino a ritroso.

 

C' era qualcosa di disperato e insieme di sereno in questa posizione che riprese e approfondì in un libretto molto istruttivo dedicato al concetto di dèjà-vu, ossia a quel fenomeno per cui, a volte, ci sembra di rivivere qualcosa che appartiene al nostro passato al quale tuttavia non corrisponde nessun ricordo effettivo.

 

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Che cos' è questa struttura contraddittoria del dèjà-vu, si chiedeva Bodei, se non l' evanescenza stessa della nostra vita anteriore, l' impossibilità di saldare la frattura tra il nostro tempo storico e gli antichi universi simbolici e mitici? Quando si allenta o si rompe la catena della tradizione, la realtà stessa vacilla. Questo pensava nella convinzione che un filosofo non possa fermarsi alla pura speculazione, ma debba confrontare la forza del pensiero con tutto quello che di problematico e contraddittorio la contemporaneità gli può mettere di fronte.

 

Al pensiero seduttivo preferì il pensiero agonistico. La tensione filosofica in grado di confutare argomentazioni irricevibili, ma anche capace di accogliere argomentazioni migliori della propria. Fare filosofia fu per lui offrire un senso alle cose del mondo. Non era scontato né facile, dal momento che la modernità aveva complicato enormemente il nostro modo di stare al mondo.

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Ma era questo il vero territorio da esplorare. Tanto più interessante quanto più mostrava urgentemente il bisogno di ridefinire la problematica dell' Io: portatore di razionalità e calcolo ma anche di passioni talvolta ingestibili.

 

Il suo libro, forse più bello, che suggerirei a chiunque volesse oggi chinare lo sguardo sulla nostra storia immiserita, è Geometria delle passioni . Un titolo che riassumeva, quasi fosse un ossimoro, la condizione dell' uomo moderno, esposto tanto agli eccessi della razionalità quanto alle patologie della mente (delirio, follia, narcisismo). Preferì riempire la riflessione filosofica di sfumature più che di certezze sistematiche.

 

Certo, era importante trovare il filo di una razionalità ospitale ma senza ignorare la presenza di quegli aspetti che ne alterano lo statuto: come le passioni appunto, le ideologie e perfino la bellezza. Non è un caso che tra tutti i filosofi privilegiò Spinoza nel cui operato coglieva sia il rigore concettuale che la rivendicazione del libero pensiero.

 

Fu in questo atteggiamento, insieme umile e acuminato, che Bodei individuò il germe che avrebbe dato vita a una nuova figura di pensatore, di intellettuale critico o di filosofo controverso capace di assumere come rischio la politica e la storia nel senso più profondo.

 

Da Hobbes a Locke, da Kant a Hegel, fino al nostro Novecento, con Gramsci e Arendt, i filosofi non hanno disdegnato di occuparsi della politica, delle sue ragioni come pure dei suoi limiti.

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Ma quel processo iniziato con la modernità si era di fatto esaurito.

 

Non per assenza di argomenti ma per eccesso dei medesimi: niente di quello che accade oggi, diceva, è più sotto controllo. La globalizzazione, come trionfo dell' illimitato, è fonte di disorientamento permanente; il tramonto dell' autorità ha svuotato la democrazia dei suoi valori rappresentativi; il passaggio dall' umano al post-umano produrrà cambiamenti sul piano morale e psicologico di cui oggi è difficile indicare la direzione.

 

Davanti a tutto questo la filosofia può ancora essere una forma di igiene mentale. A patto che abbandoni l' idea sterile che l' uomo sia soprattutto un animale speculativo. Tutta la sua storia suggerisce esattamente il contrario. E ancora una volta torna utile la riflessione spinoziana sulle passioni: sulla necessità di partire dall' idea che l' uomo è un animale desiderante. Che è poi lo stesso territorio su cui proverà a muoversi tre secoli dopo Freud.

 

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Remo Bodei ha saputo, con grande autorevolezza e senza disdegnare la divulgazione, abbassare il ponte levatoio di quel castello arroccato e cupo con cui di solito si guarda alla filosofia. Credo che gli abbia giovato enormemente l' aver studiato oltre che in Italia in Germania e aver insegnato per tanti anni nelle più prestigiose università internazionali.

 

Ancora ultimamente conservava un rapporto con l' università di Los Angeles. Gli chiesi, una volta, se tutti gli anni trascorsi fuori gli avessero in qualche modo pesato sul piano delle energie mentali e fisiche spese. Rispose che aveva sempre considerato un privilegio che un italiano potesse essere accolto e ascoltato con attenzione in paesi anche molto diversi dal nostro. Ricordava i luoghi più diversi dove aveva insegnato: in Giappone, in America Latina, negli Stati Uniti e in buona parte d' Europa. Erano i frutti positivi della globalizzazione. Diceva tutto questo con naturalezza ed eleganza. La voce sempre leggera, ma intrisa dell' eco delle sue origini sarde, si distendeva sul suo sorriso, sulla sua mitezza.

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