BUFERA SULLA FICTION SU PUPETTA MARESCA, CHE UCCISE IL KILLER DI SUO MARITO (MA IL VERO SCANDALO E’ L’INTERPRETE DELLA CAMORRISTA: MANOVELLA ARCURI)

Simonetta Robiony per "La Stampa"

È una fiction rischiosa quella che Mediaset ha deciso di produrre su Pupetta Maresca affidando il ruolo della protagonista a Manuela Arcuri. Pericolosa perchè trasformare in una eroina una donna di camorra che ha ucciso l'assassino di suo marito è un'arma a doppio taglio. Da un lato si esalta lo slancio amoroso e il legame matrimoniale ma dall'altro si invita a farsi giustizia da sè.

Prodotta da Tarallo, diretta da Luciano Odorisio, andrà su Canale 5 in quattro parti dal 6 giugno. La storia di Pupetta Maresca suscitò negli Anni 50 grandissimo scalpore. Non a caso Francesco Rosi si ispirò a questa vicenda per una delle sue prime opere, La sfida con Rosanna Schiaffino che, inguainata in un vestitino rosso, campeggiava sui manifesti per pubblicizzare l'uscita del film, manifesti sparsi per le strade di mezza Italia.

Pupetta uccise nel 1954 Pasqualone Simonetti detto Pascalone ‘e Nola. Era giovane e bellissima e queste due cose colpirono l'immaginario di quella povera Italia alle prese con la ricostruzione del dopoguerra e i primi segni del benessere. Fu condannata a 18 anni di carcere e quando ne venne fuori sposò il boss Ammaturo da cui ha avuto poi due figli.

Oggi a 78 anni, la Maresca, che ha voluto essere presente al lancio di questa fiction, intitolata Pupetta: il coraggio e la passione si dichiara pentita di quel suo gesto e vittima di una società e di una giustizia che non l'hanno saputa nè aiutare nè comprendere.

«Mio marito - dice - fu assassinato dopo soli 80 giorni di matrimonio quando ero incinta del mio primo figlio. Ho tentato di denunciare l'assassino ma nessuno mi ha dato retta, perciò, quando mi trovai faccia a faccia con chi aveva ucciso mio marito ho sparato. Il mio bambino nato in carcere mi fu portato via che aveva tre anni ed ero da poco tornata libera quando fu assassinato e il suo corpo non fu mai più ritrovato.

Questa è la storia della mia vita. Vorrei che queste cose non accadessero più, oggi mi colpiscono tutti questi casi di femminicidio, tante giovani vite spezzate, donne che non hanno avuto il coraggio di ribellarsi, abbandonate dalle istituzioni».

La Arcuri sostiene che per lei non è stato facile calarsi in un personaggio come questo, una donna della camorra che ha seguito le regole della camorra: «Ne ho voluto fare una figura coraggiosa e piena di passione, una che si è ribellata alle regole patriarcali della sua famiglia, una che si è fatta giustizia a modo suo in anni in cui alle donne non era concesso agire in alcuna autonomia».

Ma i dubbi restano tanto che tutto il gruppo di lavoro ha poi dovuto difendersi dall'accusa di essersi imbarcati in un'impresa dubbia che può frastornare un pubblico meno preparato. Il regista Odorisio spiega di non aver voluto ricostruire la realtà ma di aver voluto fare un grande romanzo popolare: «E' per questo che all'ambiente e ai personaggi camorristici ho dato toni da macchietta, sopra le righe».

Il produttore Tarallo si giustifica sostenendo che gli aspetti criminali sono stati poco sottolineati: «Ci interessava solo il cuore di questa donna: anche se i fatti sono veri noi vogliamo proporre un romanzo, un romanzo sulla passione femminile». Forse però di storie di donne appassionate ce ne erano anche altre.

 

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