LA CANNES DEI GIUSTI - I FILM NON SONO UN GRANCHÉ, E I CRITICI FANNO A PEZZI “SAINT LAURENT”. TANTO VALEVA FARLO GIRARE A LOSITO CON GABRIEL GARKO PROTAGONISTA - MENO MALE CHE ARRIVA TARANTINO
Marco Giusti per Dagospia
Notizie da Cannes. I film non sono granche', ma la notizia che Quentin Tarantino presentera' venerdi sera sulla spiaggia il suo "Pulp Fiction" a vent'anni dalla prima di Cannes e la sera dopo replichera' il numero con "Per un pugno di dollari" restaurato in versione 4k con un montaggio di scene tagliate del film (recuperate dal negativo originale), non puo' che riscaldare ogni cuore cinefilo.
Intanto, tra Sylvester Stallone che arriva coi suoi Mercenari e la proiezione stasera al mercato di "Welcome in New York" di Abel Ferrara sul caso DSK, ancora gran sparlare del "Saint Laurent" di Bertrand Bonello. Ai piu' ha fatto rimpiangere quello precedente. Se dobbiamo far della fiction, tanto valeva fare un "Saint Laurent" scritto da Teo Losito, prodotto da Alberto Tarallo e interpetato da Gabriel Garko, magari con Helmut Berger nello stesso ruolo come Yves vecchio e rincojonito e Asia Argento come Loulou decomesechiamalei.
Tarallo e Losito possono anche fare un Grace di Monaco con Manuela Arcuri bionda e Garko come principe Ranieri. E' piaciuta molto, comunque, la scena di Yves e Pierre nudi, guerra di piselli a parte, e la poltrona ginecologica di Jacques de Bascher usata per pesanti blow job da dedicare a maschi baffuti.
Strano, magari un po' oscuro, ma sempre gran cinema l'attesissimo "The Rover", opera seconda dell'australiano David Michod, gia' autore del bellissimo "Animal Kingdom", presente fuori concorso al festival. Qui siamo dalle parti del western apocalittico anticapitalistico. Tutte le regole sono saltate. La gente si spara allegramente e nessuno si fida piu' di nessuno. Ma si preferiscono i dollari americani a quelli australiani.
Il misterioso e scocciato Eric, un grande Guy Lodge, fa l'inferno quando tre banditi, capitanati da certo Henry, cioe' Scott McNairy, attore feticcio di Michod, gli rubano la sua auto lasciandogli il loro pick-up malconcio. Eric non si ferma e rivuole la sua auto. Rimette in sesto il pickup e parte all'inseguimento, beccandosi subito una botta in testa. A questo punto procede armato, dopo aver ucciso a freddo un nano che gli aveva chiesto 300 dollari americani per una pistola.
Per un caso recupera Rey, Robert Pattinson, il fratello ferito di Henry e dato per morto, e, dopo averlo fatto curare da una dottoressa buona, se ne serve per rincorrere la sua auto. Come in tutti i migliori western, c'e' un conto da regolare, una banda da sorprendere all'alba, un viaggio da compiere e un rapporto fra i due viaggiatori da costruire. Molto classico nella struttura, "The Rover", scritto da Michod assieme all'attore Joel Edgerton (suo il ruolo di Pattinson?) non lo e' nei dialoghi e nelle motivazioni profonde.
Siamo in un mondo dove l'immaginario western americano e australiano serve solo per spiegare la desolazione dell'umanita' di fronte a un declino economico globale provocato dal dio dollaro. I due protagonisti, l'australiano e l'americano rappresentano due versioni diverse di personaggi tipici del propri paesi, ma tutto e' come trasfornato dalla follia della situazione. Ovvio che l'umanita' vada ricostruita nei rapporti e nei legami che ci tengono in vita, anche se molte cose rimangono un po' oscure in questo western triste e politico.
Grandiosa e' invece la confusione di razze e di lingue dell'outback, le presenze diverse, aborigeni, giapponesi, che popolano un deserto alla "Mad Max". Non sara' piaciuto a tutti, ma "The Rover" e' un film da rivedere e su cui ritornare, non una tarantinata australiana violenta e moraleggiante.
Accoglienza migliore a "Un certain regard" va a "The Disappareance of Eleonor Rigby" scritto e diretto da Ned Benson alla sua opera prima, una commedia newyorkese amarognola che potrebbe benissimo essere interpretata da Isabella Ragonese e Silvio Muccino. Al loro posto troviamo i piu' pagati Jessica Chastain, anche produttice, e James McAvoy. Sono due giovani di buona famiglia che si amano. Ma un giorno lei si butta dal ponte cercando la morte e scompare.
Si salvera' e andra' a vivere dai genitori, William Hurt, professore di psicologia e Isabelle Huppert, musicista francese sempre col bicchiere di vino (francese) in mano. C'e' anche una simpatica sorella. Lui, invece, va a vivere dal padre, Ciaran Hinds, celebre chef newyorkese. Veniamo a sapere che i due si sono sposati, lei ha smesso di studiare perche' era inconta. Il loro bimbo e' morto e lei non ce l'ha fatta a continuare la vita di sempre. Tutto il film e' costruito per la elaborazione del lutto di lei e il riavvicinamento dei due, che si vogliono ancora bene ma hanno vissuto un terribile trauma.
E' un film benissimo recitato da un cast importante, distribuito da Harvey Weinstein, che lo ha totalmente rimontato rispetto alla versione vista a Toronto, e non da Fandango o Medusa, ma alla fine in confronto alle nostre commedie e' solo molto piu' fighetta e piagnucolosa. Certo, gli attori sono magnifici, e noi non abbiano un William Hurt e una Isabelle Huppert che fanno i genitori della Capotondi di turno. Al massimo possiamo permetterci Vincenzo Salemme e Serena Autieri. Ma gli applausi in sala e le critiche esaltanti sono parecchio esagerati. Ah, lei si chiama Eleanor Rigby come la canzone dei Beatles, piu' volte citata. Si vede, ovvio, e andra' molto bene in sala...
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