1- A CANNES, FUORI CONCORSO, UN GRANDISSIMO E GRADITO RITORNO: BERNARDO BERTOLUCCI 2- UN'OPERA LIEVE, GIRATA CON GRANDE INTELLIGENZA E SENZA ALCUNA PRETENZIOSITÀ DA UN BERTOLUCCI CHE SI SERVE DEL RACCONTO DI AMMANITI PER RILEGGERE I SUOI TEMI E I SUOI PROTAGONISTI, DA "PRIMA DELLA RIVOLUZIONE" A "ULTIMO TANGO A PARIGI" 3- FILM FRAGILE NEL SOGGETTO, MA SOLIDO NELLA COSTRUZIONE, PIÙ TENERO E ALLEGRO DI MOLTI DEI SUOI ULTIMI FILM, NON TUTTI COSI' RIUSCITI, E' CHIARO CHE "IO E TE" NON PUO' E NON VUOLE ESSERE UN CAPOLAVORO, MA E' COMUNQUE LA PROVA DI UNA CAPACITA' DI MESSA IN SCENA PERFETTA DEL SUO AUTORE (IL BALLO DEI DUE RAGAZZI CHE CANTANO "SPACE ODDITY" DI BOWIE E’ TRA LE SEQUENZE PIÙ BELLE VISTE A CANNES)
Marco Giusti per Dagospia
Cannes 2012. Settimo giorno. Con un po' di sole sono arrivati anche i brufoli del protagonista del nuovo film di Bernardo Bertolucci, "Io e te", tratto dal romanzo di Niccolo' Ammaniti, cioe' Jacopo Olmo Antinori, la bella protagonista non attrice Tea Falco, gli anni '70 e soprattutto "Space Oddity" cantata in italiano da David Bowie con la traduzione di Mogol. E' quasi tutto quel che rimane del cinema italiano.
Un'opera lieve, girata con grande intelligenza e senza alcuna pretenziosita' da un Bertolucci che si serve del racconto di Ammaniti (migliorandolo nel diverso finale col permesso dell'autore, che firma la sceneggiatura) per rileggere i suoi vecchi temi e i suoi vecchi protagonisti, da "Prima della rivoluzione" a "Ultimo tango a Parigi".
Ma anche per provare a se stesso e alla sua piccola famiglia di fedeli amici e collaboratori (Fiorella Amico, Metka, Veronica Lazar, Jacopo Quadri, Fabio Cianchetti) che riesce a costruire e dirigire perfettamente un film, a muoversi negli spazi chiusi alla "Dreamers" e alla "Ultimo tango" inventandosi ancora dal nulla le sue star come fosse un anziano George Cukor e anche grande sequenza musicali e liberatorie, come il ballo dei due ragazzi che cantano il pezzo di Bowie (tra le sequenze più belle viste a Cannes).
Bertolucci civetta da subito con la sua malattia, lo psicanalista del ragazzino protagonista e' paraplegico come lui, come esponendoci subito la sua condizione, proseguendo poi in una storia di chiusura forzata (o volontaria, chi puo' dirlo?) dove due fratelli si incontrano, si ritrovano, si amano, forse crescono. Fermarsi sullo scatto del giovane Lorenzo finalmente sorridente, immortalato come in una fotografia, sembra un gesto di ottimismo dopo due ore di buio e di chiusura dal mondo che non sono pero' un chiudersi alla vita.
Film fragile nel soggetto, ma solido nella costruzione, e' chiaro che "Io e te" non puo' e non vuole essere un capolavoro, ma e' comunque la prova di una capacita' di messa in scena perfetta del suo autore. Infedele e fedelissimo, come "Il conformista", alla sua origine e letteraria e assieme cosi' personale e autobiografico.
Più tenero e allegro di molti dei suoi ultimi film, non tutti cosi' riusciti, ruba ai suoi attori non attori un po' della loro giovinezza per rigenerarsi con nuovi sguardi. Meglio, comunque, averlo presentato fuori concorso, fuori dai confronti con nuovi e vecchi maestri e lontano dagli sguardi del barbuto presidente della giuria.
Scordavo, oltre a Bowie, si sentono anche i Cure, i Red Hot Chili Peppers e la stessa "Space Oddity" anche in inglese.
Buone sorprese anche dai due film in concorso della giornata, il noir "Killing Them Softly" di Andrew Dominick con Brad Pitt, filmone gangsteristico tratto dai racconti di George V. Higgins, lo stesso scrittore che ci ha dato il non dimenticato "Gli amici di Eddie Coyle", lontano capolavoro di Peter Yates con Robert Mitchum, e la commedia scozzese di alto tasso alcolico di Ken Loach, "The Angels' Share".
Assieme hanno liberato i critici ormai raffreddati e infreddoliti dalla pioggia e incupiti dalla cappa di sfiga che emanavano i pur grandissimi ma nerissimi film di Cristian Mungiu e Michael Haneke. Costruito sulla grande musica anni 70 tra Lou Reed e Johnny Cash, Dominick ha trasportato nella sua dimensione di cinema elegiaco (ricordate il suo Jesse James) i piccoli gangster e i personaggi balordi che si accoppano allegramente per tutto il film ingaggiando killer ancora più' a pezzi di loro.
Puo' non piacere a tutti Dominick, che come Nicholas Refn rielabora attualizzandolo il grande cinema anni '70, ma la sua ricerca di grande storie dell'America profonda rilette con grande ricerca visiva e una personale scrittura cinematografica, ci dimostra il talento di questo regista neozelandese.
Grande cast, con un Brad Pitt, anche produttore, un po' invecchiato ma in forma, Richard Jenkins, Ray Liotta e Sam Shepard. Fino alla fine non sai mai da chi ti puo' arrivare la pallottola decisiva.
Il titolo del film di Loach, "The Angels' Share", invece, allude a quel due per cento di whiskey che evapora nell'invecchiamento. La quota angeli, diciamo. Per raccontare le bravate di un gruppo di ragazzotti della periferia di Glasgow e il loro scombinato colpo. Divertimento di alta classe, che sara' sicuramente piaciuto a tutti i giurati.
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