CHEZ D’ANNUNZIO! – IN UN LIBRO (DIMENTICATO) DEL 1925 FIUME LIBERTARIA, GLI ARDITI-CAPELLONI AL POTERE E IL "VATE" FONDATORE DI UNA RELIGIONE MODERNA, “PROFETA DI UNA CITTÀ SANTA COME LA MECCA” – QUEL SOGNO DI "DON GABBRIE' DI VEDERE ITALIA E FRANCIA UNITE IN UNA SOLA PATRIA, UNA SORTA DI ‘ITANCIA, FIORE DEL MONDO’
Gianluca Veneziani per “Libero Quotidiano”
È un po' come il Franz Kafka raccontato dall' amico Max Brod, o la filosofa Simone Weil che riviveva negli scritti del sodale Gustave Thibon. Solo lo sguardo di un amico può cogliere a pieno la grandezza d' animo di uno scrittore, attraverso quella prospettiva privilegiata che lo pone a diretto contatto con lui, in una vicinanza non molesta o servile, che gli consente di farne emergere il lato umano e letterario.
Così, giunge come un dono inestimabile il libro Chez D' Annunzio (Odoya, pp. 160, euro 14, a cura di Alex Pietrogiacomi, con prefazione di Giordano Bruno Guerri) dello scrittore francese Marcel Boulenger, fraterno amico del Vate. Una testimonianza ancora più preziosa, se si pensa che il testo era stato pubblicato solo una volta in Italia, nel 1925, ed era presto scomparso dalla circolazione.
Dalle parole di Boulenger, quasi un diario dell' amicizia scandito dagli incontri con D' Annunzio - il primo a Venezia in piena guerra, il secondo a Fiume durante la Reggenza italiana del Carnaro, il terzo a Gardone nel 1921 - si staglia il ritratto pubblico del Vate, patriota indomito e insieme profeta di una più ampia civiltà comune, latina e mediterranea. Come sostiene Boulenger, D' Annunzio era «figlio e amante del suo paese», ma allo stesso tempo auspicava di vedere Italia e Francia unite in una sola patria, una sorta di «Itancia». «Mi sembra che le nostre patrie fraternamente unite», confidava il Vate all' amico, «sarebbero capaci, loro due sole, di sollevare l' universo. L' Italia e la Francia rappresentano la Latinità, cioè il fiore del mondo».
Sentimento molto diverso da quello che D' Annunzio nutriva nei confronti della civiltà tedesca, considerata ostile da un punto di vista militare e antitetica da un punto di vista culturale.
Quando si impadronì della villa a Gardone di Riviera, per lui fu come la cacciata di un nemico.«Tutti questi paesi del lago di Garda», diceva a Boulenger, «erano popolati di Tedeschi. Il lago di Garda era diventato il Garda See Bisogna rilatinizzarlo. Poco fa, la mia casa puzzava di tedesco; ora si va purificando».
Ma il patriottismo dannunziano si manifestò soprattutto fuori dai confini patri, nella conquista della città di Fiume, quasi che il sentimento più profondo di italianità potesse esprimersi in un luogo che italiano non era ancora.
CAPELLONI AL POTERE Qua, come testimonia Boulenger, il Vate non realizzò un' operazione nostalgica o restauratrice, ma al contrario un' azione nazional-rivoluzionaria. Diede il voto alle donne, anticipò il movimento sessantottino, lasciando che i suoi Arditi si facessero crescere i capelli lunghi e portando l' immaginazione al potere, attraverso la costituzione di una specie di ministero alla Bellezza, la corporazione «del miglioramento e dell' abbellimento dell' uomo e del mondo». Rese la città libera, a tratti libertaria e libertina, ma la trasformò anche in un tempio sacro, oggetto di pellegrinaggi e di una venerazione che tributava, insieme al luogo, anche il suo eroe, il Comandante D' Annunzio, adorato come un dio. Il poeta-soldato diventava così, agli occhi di Boulenger, «il fondatore di una religione, il profeta di una città santa come La Mecca, uno stupefacente focolaio di entusiasmo dove a ogni istante si compiono miracoli e da dove anche i più tiepidi tornano trasformati».
Dai ricordi dello scrittore francese viene fuori tuttavia anche il D' Annunzio disilluso dopo la fine dell' esperienza fiumana, restio a rimettersi in gioco nell' agone politico, salvo esservi richiamato come Capo supremo: «Dovrei essere folle per compromettermi con il Parlamento», ammetteva. «Se un giorno mi si chiamerà, mi sarà dovuta un' autorità assoluta». La storia aveva tuttavia altri piani In questa contemplazione del mito D' Annunzio l' amico francese non poteva tralasciare il D' Annunzio uomo, il Gabriele privato, o meglio il «don Gabbriè», come lo chiamavano in Abruzzo.
ECCENTRISMO L' accento cade così sul personaggio eccentrico che amava organizzare cene eleganti e vestire con «elegantissime giubbe con risvolti turchini» oppure con bizzarre mise da esploratore del Polo Nord, indossando tre pellicce una sopra l' altra; ma anche sull' uomo vicino al popolo che a volte ti sorprendeva col suo stile dimesso ed esibiva divise militari quasi proletarie: «Non c' era nessuna ricercatezza nel suo abbigliamento», commentava Boulenger. «Sembra un meccanico di grado superiore: si capisce che sta andando a lavorare».
Alla pari, nel buen retiro di Gardone, assistito da un giardiniere di nome Virgilio e un cameriere di nome Dante (vezzo letterario o mera casualità?), D' Annunzio iniziò ad assumere le pose di «un pacifico e bonario campagnolo d' Abruzzo», dedicandosi a produrre olio e burro e a sorvegliare pastori ed animali. Grandezza travestita da semplicità contadina. Auto-esiliatosi dall' impegno civile, cedeva a piccoli vizi e praticava piccoli hobby, fumando sigarette, sorseggiando vino come fosse medicina, distillando profumi e creando stoffe decorative, da apprendista stilista. A chi gli obiettava che erano diletti troppo insulsi per un intellettuale, lui rispondeva: «Frivolezze? Come si può parlare di frivolezze quando si tratta di ingentilire la vita?».
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