IL CINEMA DEI GIUSTI - LA JOLIE IN VERSIONE CALLAS È BRAVISSIMA E VALE LA VISIONE DI "MARIA", DI PABLO LARRAIN, UN FILM MENO SENTITO E RIUSCITO DEI DUE BIOPIC PRECEDENTI - COME FA A NON PIACERTI UN FILM CHE SI APRE CON L’“AVE MARIA” DI VERDI CANTATA A BRUNA LA CAMERIERA MENTRE FA L'OMELETTE E SI CHIUDE CON “VISSI D’ARTE VISSI D’AMORE” CANTATA DALLA CALLAS PRIMA DI MORIRE? - VIDEO

 

Marco Giusti per Dagospia

 

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“La vita è l’opera”. Ora. Lo so che, davanti a questo “Maria”, diretto da Pablo Larrain e scritto da Steven Knight, interpretato da Angelina Jolie come fosse l’ultima diva di sempre, non un biopic della Callas, ma la descrizione romanzata della sua ultima settimana di vita a Parigi, tra camerieri fedeli, giornalisti, registi, medici, un malcelato tentativo di tornare a cantare, viene voglia di recuperare il pur terribile “Callas Forever” di Franco Zeffirelli che trattava non i suoi ultimi sette giorni, ma gli ultimi tre mesi.

 

E offriva a Fanny Ardant l’occasione per calleseggiare un po’. Ma vi dico subito che Angelina Jolie, che è il cuore del film, è bravissima, più che ad aprir bocca quando canta la vera Callas, dice che ci ha messo sette mesi a saperlo fare come lei, a interpretarla languidamente nella sua vita sofferente, proprio perché ne fa una grande star hollywoodiana in declino. Più di Fanny Ardant, che Zeffirelli aveva troppo addobbato come Callas zeffirelliana e non viscontiana, Angelina Jolie sa come dividere Maria dalla Callas e poi rimetterle insieme con la colla della Hollywood del 900. Ne coglie anche gli aspetti meno simpatici e più ossessivi.

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Non ci sono, a differenza di “Callas Forever” né un Jeremy Irons come giornalista né un Gabriel Garko, ma ricorderete tutti che all’epoca, come disse Lucherini, se lo contesero tra teatro e cinema Luca Ronconi e Zeffirelli, pazzi di lui. No. Non c’entrava nulla Gabriel Garko. E infatti qui non c’è un personaggio alla Garko. L’unica concessione che Steven Knight e Pablo Larrain, arrivati al terzo film assieme su grandi personaggi tragici femminili, dopo “Jackie”, 2016, e “Spencer, 2021, fanno a una trama amorosa di qualche peso è la storia con Aristotele Onassis, interpretato qui dall’attore turco, fantastico e identico, Haluk Bilginer.

 

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I due autori si permettono anche di mostrare la Callas al capezzale di un Onassis morente, mentre sta arrivando Jackie (ci crediamo? Mah…) e lui, il “bruto” greco le dice che il loro è stato vero amore, mentre quello con Jackie è stato solo un matrimonio. Uno come Onassis avrebbe mentito anche sul letto di morte, su. Se in “Jackie” e “Spencer”, uno sceneggiatore esperto come Steven Knight aveva trovato il modo di costruire una drammaturgia forte sugli eventi che spiegasse anche i personaggi e le loro scelte, in “Maria” lo stesso Knight non trova, dalla realtà, un vero appiglio narrativo per far funzionare il racconto e non ha abbastanza cultura operistica o viscontiana per provare qualcosa di diverso e più melodrammatico.

 

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Così la storia, passionale ma sfortunata, con Onassis sembra più un pretesto che un grande snodo di racconto. Anche i personaggi che girano attorno alla Callas non hanno grande spessore. E, francamente, non capisco perché umiliare i due attori italiani più in vista del momento, cioè Pier Francesco Favino e Alba Rohrwacher, nei ruoli, da caratteristi, dei camerieri. Ferruccio (infatti sembra Ferruccio Amendola…) col mal di schiena perché sposta i pianoforti per casa e Bruna, bravissima nelle omelette. Boh?! Ma perché? Meglio chiamare, che so, Andrea Pennacchi e Michela Cescon, avrebbe avuto più senso. E meglio, ovviamente, il cammeo di Valeria Golino come sorella della Callas. Che ha un ruolo vero. E una vera scena.

 

Un po’ sprecato anche Kodi Smit McPhee come regista del documentario. Per fortuna più il cast si confonde con la scenografia, più che viene fuori la presenza assolutamente di culto e straculto di Angelina Jolie in versione Callas, che la vale la visione di un film meno sentito e riuscito dei due biopic precedenti. E la colonna sonora, strepitosa, delle sue esecuzioni negli anni acquista valore. Anche se i puristi dell’opera trovano impossibile il doppiaggio callasiano della Jolie. Eppure.

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Come fa a non piacerti un film che si apre con l’“Ave Maria” di Verdi cantata a Bruna la cameriera mentre fa l'omelette e chiude con “Vissi d’arte vissi d’amore” cantata dalla Callas prima di morire? E come fa a non commuoverti la folle aderenza della Jolie al personaggio, degna di una Bette Davis in un vecchio biopic della Warner? In sala, da ieri 1 gennaio.

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