la casa di jack

IL CINEMA DEI GIUSTI - “LA CASA DI JACK” DI LARS VON TRIER CON MATT DILLON COME INGEGNERE SERIAL KILLER CON VOGLIE CREATIVE E BRUNO GANZ COME IL SUO VIRGILIO CHE LO ACCOMPAGNA PER I GIRONI DELL’INFERNO, CON TUTTO IL SUO SADISMO VERO O FINTO, È FORSE IL FILM PIÙ CONTROVERSO E MALTRATTATO DELLA STAGIONE. MA ANCHE QUELLO PIÙ SORPRENDENTE E CONTROCORRENTE - VIDEO

 

Marco Giusti per Dagospia

 

LA CASA DI JACK

Che differenza passa tra un ingegnere e un architetto, ve lo siete mai chiesto? Magari è proprio per aver sempre voluto essere un architetto, un creatore, e non un ingegnere, un esecutore, che il nostro Jack ha massacrato 60 persone inermi in maniera, diciamo, creativa. E come se non bastasse le ha tenute nel freezer per poterne fare un’opera d’arte. E, alla fine, anche i registi non fanno lo stesso coi loro personaggi, tenuti nel freezer per poter costruire chissà cosa che si avvicini all’arte. Ci siamo.

 

La casa di Jack, anzi The House That Jack Built di Lars Von Trier con Matt Dillon come ingegnere serial killer con voglie creative e Bruno Ganz come il suo Virgilio che lo accompagna per i gironi dell’Inferno, con tutto il suo sadismo vero o finto, il suo umorismo nero e la sua sottile intelligenza, è forse il film più controverso e maltrattato della stagione. Ma anche quello più sorprendente e controcorrente.

LA CASA DI JACK

 

Massacrato a Cannes dalla critica (“il sonoro lamento di chi aspirava al Louvre e si deve accontetare della Saatchi Gallery”, “in bilico tra il sublime e il ridicolo”), dagli animalisti, ma la scena con la paperella è costruita con effetti speciali, dalle ragazze del #metoo, il serial killer uccide quasi esclusicamente donne stupide, lo dice anche Ganz-Virglio, non accettato dai critici americani perché troppo fuori dalle regole è una sorta di saggio visivo e musicale, accompagnato da immagini di Glenn Gould che suona il piano, da continui rimandi alla cultura tedesca, tra Goethe e Albert Speer, al nazismo, a William Blake e ai suoi demoni, alla pittura di Géricault e Delacroix, dedicato alla sottile separazione fra creazione artistica e esecuzione.

LA CASA DI JACK

 

Lo shooting, diciamo, che per Jack, il nostro sociopatico, psicopatico serial killer, va dallo spararti col fucile, darti una coltellata, tirarti un crick, che in inglese si chiama “jack”, in faccia, farti uno fotografia da morto. Maniaco compulsivo della pulizia, Jack ha paura di lasciare tracce di sangue, ma, intanto, non solo fotografa le sue vittime nelle pose più assurde firmando l’opera col nome di Mr Sophisticated e inviandole ai giornali, ma si fissa sull’impressione della luce sul negativo.

 

LA CASA DI JACK

Riportando il tutto sia a William Blake che al rapporto fra luce e oscurità dell’inferno dantesco. Lascia tracce in ogni delitto per lasciarsi scoprire in un gioco di caccia che solo lui gioca e cerca continue liberazioni dalle sue ossessioni. Chiede anche alle sue vittime un aiuto artistico sulla elaborazione del delitto (“le donne sono più collaborative”). Costruito su cinque incidenti e un epilogo-catabasi, commenta da subito con Virgilio le sue azioni, come rivendicando i delitti compiuti come opere d’arte.

 

LA CASA DI JACK

Da subito il personaggio di Jack si confonde con il narratore e il metteur en scene, in un gioco di sdoppiamento con Lars Von Trier, accusato, cinematograficamente, di ogni nefandezza. Al punto che il regista inserisce i suoi stessi film nei ricordi-esempi di Jack. Ma non sappiamo chi dei due sia più alla ricerca della immagine artistica da ricordare. Lars Von Trier gioca con Jack inserendo nel suo personaggio tante delle sue ossessioni, e magari lo sdoppia nel Virgilio umano che non lo lascerà solo nella follia distruttiva.

 

LA CASA DI JACK

Film complesso da digerire e da decifrare, non è magari forte come Melancholia o Nymphomaniac, forse perché troppo egoriferito, ma è lo stesso un affascinante viaggio nelle continue contraddizioni e nella mente sofisticata del suo regista. Sempre pronto a spaventarti, a farti stare male per farsi seguire. Matt Dillon trova un equilibrio perfetto fra la follia da travet e l’ironia, Bruno Ganz ci lascia per sempre con questo Virgilio meraviglioso, Uma Thurman ruba la prima scena a tutti, regista compreso. In sala da giovedì 21 febbraio. 

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