
IL CINEMA DEI GIUSTI - “SELMA”, LA MARCIA DI MARTIN LUTHER KING VISTA DA UNA GIOVANE REGISTA NERA NON VINCERÀ L’OSCAR, MA È UN OTTIMO LAVORO STORICO SULL’AMERICA RAZZISTA. NON COSÌ DIVERSA DA OGGI
Marco Giusti per Dagospia
Selma - La strada per la libertà di Ava DuVernay
“Come vorrai essere ricordato nel 1985?” chiede il presidente Lyndon B. Johnson al governatore dell’Alabama George Wallace, duro e razzista, che non cede un millimetro dalla sua posizione e non vuole che gli afroamericani vadano a votare nel suo stato. “Non mi importa di cosa penseranno di me nel 1985”, risponde Wallace. Siamo nel 1965 e a Selma, Alabama, sono concentrati gli sguardi di tutto il mondo.
Perché Martin Luther King è pronto a farsi massacrare dalla polizia di Wallace per difendere il diritto al voto degli afroamericani e per ottenerlo ha messo in piedi una marcia di protesta che partirà proprio dal ponte di Selma fino a Montgomery. E le televisioni trasmetteranno l’evento in diretta. Il presidente Johnson ha cercato in ogni modo di impedirglielo, ma non può far più niente.
E sa che a giudicarlo sarà la storia. Su quel ponte, a Selma, si gioca una partita fondamentale per l’America e per i diritti civili. Candidato a due Oscar, come miglior film e come miglior canzone, “Glory” di Johnny Legend, Selma diretto dalla giovane regista afroamericana Ava DuVernay, qui al suo terzo film, è un ottimo esempio di solida ricostruzione storica che i recenti fatti di Ferguson hanno tragicamente reso attuale.
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Anche se tutto o quasi gira attorno al personaggio di Martin Luther King, interpretato con grande intensità dall’attore inglese David Oyelowo, che aveva recitato anche nel precedente film della DuVernay, Middle of Nowhere, va detto che il film è costruito quasi come un’opera corale sulla storia della marcia di Selma piuttosto che come biopic del dottor King.
E in questo è preferibile al lungo e non sempre riuscito The Butler, la storia del maggiordomo nero della Casa Bianca che abbiamo visto un anno fa con la regia di Lee Daniels. Film storico abbastanza simile, con tutti quei presidenti interpretati da grandi attori americani. E, infatti, proprio Lee Daniels era stato chiamato a dirigere anche Selma, ma finì poi per scegliere The Butler, lasciando così la regia del film alla giovane Ava DuVernay, lanciata al Sundance e non certo nota per le sue ricostruzioni storiche.
Ma va riconosciuto che il film, senza essere 12 anni schiavo, ha una buona tenuta da fiction di livello e la regista fa un grande lavoro sugli attori, soprattutto su Tom Wilkinson che interpreta un Lyndon B. Johnson molto tattico e di grande intelligenza. Ma vengono fuori benissimo anche Tim Roth come Wallace, Martin Sheen come giudice Johnson, una strepitosa Oprah Winfrey come Anne Lee Cooper, la donna che si vede bocciare a Selma la sua richiesta di poter votare, la giovane Carmen Ejogo come Coretta King.
Ava DuVernay, prendendo in mano il progetto dopo la rinuncia di Lee Daniels, ha dovuto anche riscrivere quasi tutto il copione accreditato a Paul Webb, non potendo inoltre sfruttare i veri discorsi ufficiali di Martin Luther King, visto che i diritti di questi erano stati venduti alla Warner Bros per un biopic opzionato da Steven Spielberg dal 2008.
Ma il personaggio viene lo stesso fuori benissimo, con una carica umana e politica di grande realtà. Non credo che Selma abbia grandi possibilità di vittoria agli Oscar come miglior film, ma rimane una onesta e sentita ricostruzione di un periodo scuro dell’America, ma anche di un periodo ricco di passioni civili e di grandi cambiamenti. Impossibile non averne nostalgia. Già in sala.