IN NINO VERITAS – FRASSICA: "I GIOCHI DI PAROLE? IO NON STORPIO LE PAROLE E BASTA, ROVINO LA LOGICA. PER LA MIA COMICITA’ NON OCCORRE UNA PADRONANZA ASSOLUTA DELL'ITALIANO, BASTA LA TERZA MEDIA!" – GLI SCHERZI AL TELEFONO A ARBORE (“AL TERZO MI HA RICHIAMATO”), "QUELLI DELLA NOTTE", SOFIA COPPOLA CHE “MI SCELSE PER UN FILM DOPO AVER VISTO SU YOUTUBE IMIEI FILMATI DA BRAVO PRESENTATORE A “INDIETRO TUTTA” - "GRAZIE A DON MATTEO HO RECITATO CON JOHNNY DEPP" – L’AMMIRAZIONE PER MACCIO CAPATONDA - IL LIBRO
Luca Pallanch per “La Verità”
Da quasi quarant' anni è un volto riconosciuto del mondo dello spettacolo, una presenza rassicurante per il pubblico di ogni età. Nino Frassica gioca sulla scena con le parole, coltivando l'arte del nonsense che nel mondo della musica ha avuto l'illustre precedente di Rino Gaetano. Due uomini del Sud che hanno fatto fortuna nella Capitale, non tradendo mai le loro origini, evocate nel caso del comico dal suo inconfondibile accento messinese.
Quali sono i suoi progetti?
«In questo momento sto aspettando l'uscita del mio nuovo libro, prevista per il 15 novembre».
Un altro libro?
«Sì, questa volta è un romanzo, diverso dai precedenti. Ci tengo molto, sono emozionato».
Come si intitola?
«Paola, sottotitolo Una storia vera (edito da Mondadori, ndr), però non è vero assolutamente niente. Mi sono sbizzarrito, ci ho messo dentro di tutto. È la storia surreale, di una donna alla quale succede qualsiasi cosa: ha genitori particolari, amici particolari, fidanzati particolari, vive in un luogo particolare, è tutto particolare!».
Come le è venuta in mente?
«Volevo uscire dal solito genere del gioco di parole, che non rinnego e continuerò a farò, e fare un racconto».
Quindi non è autobiografico «Per niente!». La sua autobiografia era molto ironica.
«Era 70 per cento vero, 80 per cento falso, per fare un titolo spiritoso, ma la verità è che era tutta falsa».
Quindi deve ancora scrivere un'autobiografia!
«Non la voglio fare. Voglio scherzare e basta».
Un'intervista ha sempre qualcosa di autobiografico. Ha avuto fin da piccolo questa vocazione alla spettacolo?
«C'era un momento in cui non avevo capito che cosa volessi fare: mi piaceva suonare e cantare, ma cantavo male, scrivere poesie e canzoni d'autore, ma non erano belle, poi siccome mi veniva facile far ridere, mi sono specializzato nella comicità».
Ricorda la prima volta che si è esibito in teatro?
«Come no: il 2 marzo 1970, il teatro Laudà, lo spettacolo si intitolava C'è, ci fu, ci sarà la scuola e l'ho scritto io, oltre a recitare insieme ad alcuni miei compagni di scuola».
Come è andata?
«Bene, naturalmente con tutte le ingenuità possibili di chi non ha mai fatto niente, però c'era senso dell'umorismo, la gente rideva. Non eravamo Gassman, però eravamo divertenti. Tra l'altro, ho scelto i miei compagni non tanto come attori, perché nessuno lo era, ma per le facce toste. Chi ha la faccia tosta ha qualcosa dell'attore. Ho trovato i più figli di buona madre e abbiamo fatto lo spettacolo».
Com' è riuscito a entrare nelle radio e tv private dell'epoca?
«Perché avevano bisogno di ragazzi per coprire il palinsesto. Di solito mettevano dischi e dicevano: "Ciao ciao", io invece tentavo di fare il varietà. Erano trasmissioni comiche torniamo all'impreparazione, all'ingenuità, però erano varietà.
Poi ha fatto una telefonata a Renzo Arbore
«Sì, per farmi conoscere, gli sono piaciuto e mi ha chiamato».
Che messaggio gli lasciato?
«Non gli chiedevo di lavorare, facevo lo spiritoso. La prima volta era: "Sono un ammiratore, al mio tre stacco tre". Ho staccato. Poi: "Non ti sto trovando. Magari provo a chiamarti alle quattro di mattina". Ovviamente non lo chiamavo. Poi finalmente ho lasciato detto: "Mi chiamo Frassica, sono di Messina, il mio numero di telefono è questo"». Lui mi ha chiamato per dirmi: "Sei forte, che fai, che non fai?"».
Come mai proprio Arbore?
«Perché facevo quella comicità là. Era più giusto lui rispetto a Corrado, Mike Bongiorno o Pippo Baudo, che facevano una tv più classica».
Il numero come lo avevi avuto?
«Sull'elenco del telefono. Arbore Lorenzo, via Bruno Bruni, la vecchia casa».
Per Quelli della notte le ha fatto un provino?
«No, lui aveva fatto il cast, insieme a Ugo Porcelli, chiamando le persone che voleva in quel salotto e io ero uno dei primi. Mi conosceva perché mi aveva chiamato per tre anni alla radio».
Aveva già fatto una particina nel film diretto da Arbore F.F.S.S. cioè «...che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?».
«Sono andato a trovarlo alla Safa Palatino e lui mi ha buttato in mezzo, io non sapevo manco che dovevo fare!
Ha improvvisato. Mi ha detto: "Mettiti là, fai questo"». Che ricordi ha di Quelli della notte?
«All'inizio non capivamo niente di cosa stesse succedendo, poi piano piano è esploso il fenomeno Arbore. Con ognuno di noi lui faceva due passaggi solamente, perché poi c'erano la musica, tante rubriche, altre cose, e io al primo passaggio facevo il concorso cuore d'oro e al secondo il nanetto di Sani Gesualdi».
Quelli della notte le ha cambiato la vita. Come ha vissuto il successo?
«Cercavo di stare attento a scegliere bene perché mi facevano mille proposte».
Le hanno proposto subito di fare un film?
«Mica solo un produttore, tutti! Ho accettato la proposta di Giovanni Bertolucci perché mi ha detto: "Scegli tu con chi scriverlo e chi vuoi come regista". Ed è nato Il Bi e il Ba, diretto da Maurizio Nichetti».
Com' è stato accolto?
«È andato bene, però non è stato un successone, come penso meritasse, perché era troppo surreale, troppo diverso da tutta la comicità che si faceva in quel periodo. Forse perché era 30 anni, 40 anni avanti, forse doveva uscire ora».
In Indietro tutta! era la figura di raccordo di tutto il programma. Com' è nato?
«Arbore mi voleva nelle vesti di un presentatore di un programma sballato e, parlando parlando, è venuto fuori Indietro tutta!».
Improvvisavate?
«Il 90 per cento. La bellezza era quella. Il comune denominatore era la capacità di improvvisare. Tutti quelli che chiama, Renzo vuole che non si perdano d'animo e vadano avanti qualunque cosa succeda, e poi che abbiano lo stesso gusto suo, una comicità intelligente e moderna».
I giochi di parole li usava già prima di incontrare Arbore?
«Sì. La prima cosa che usa spesso il comico è storpiare, prendere fischi per fiaschi.
Io però non storpiavo le parole e basta: rovinavo la logica, le cose che dicevo erano assurde. Questa è la mia comicità. Io non faccio virtuosismi e cambiamenti di voce».
È tutto giocato sull'uso della lingua, quindi occorre una padronanza assoluta dell'italiano per sovvertirlo.
«No, basta la terza media! In realtà, la storpiatura non è così facile, ci vuole un'associazione di idee e suono: è musica».
Che studi aveva fatto?
«Ragioneria. Puntavo a essere promosso».
Ha mai guardato a qualche comico del passato come modello?
«Come no! Totò prima di tutti, poi Cochi e Renato, Mario Marenco, anche Diego Abatantuono».
A un certo punto ha intrapreso anche una carriera cinematografica. Che opinione ne ha?
«Cinematograficamente sono ancora in credito, credo di non aver dato quello che avrei potuto dare, in televisione sì, ne ho fatta tanta, forse ne potevo fare di meno».
Ha un ruolo al cinema che ama?
«In realtà, cerco di far somigliare il personaggio a me, fin quando si può, non lo caratterizzo. Il cinema naturalmente è diverso dal varietà, devi sottostare alla sceneggiatura, però anche sul set, se mi lasciano improvvisare, improvviso».
Qual è il film che le ha dato più soddisfazione?
«La scomparsa di Patò, dal romanzo di Andrea Camilleri».
I film natalizi?
«Il primo è stato Vacanze di Natale '91. Io non lo volevo fare, però mi hanno detto che c'era anche Alberto Sordi. Allora ho detto: "Se accetta Sordi". Poi ne ho fatti vari, anche perché mi piaceva lavorare con Enrico Oldoini e con Carlo Vanzina».
Negli ultimi anni ha lavorato spesso con Maccio Capatonda.
«Sono un suo ammiratore e lui è un mio ammiratore. Ci ammiriamo a vicenda Io l'ho chiamato alla radio, in una trasmissione della Rai, adesso ogni cosa che fa mi chiama e questo mi fa piacere».
Oltre a lui, chi apprezza tra i nuovi comici?
«Herbert Ballerina, Valerio Lundini, Massimo Bagnato, Ficarra e Picone, Checco Zalone. Mi piacciono quelli che fanno del surrealismo».
Ha mai pensato di passare alla regia?
«No, perché fisicamente non ce la farei. Il regista pensa a troppe cose: secondo me, è una cosa faticosissima. Mi piacerebbe però dirigere i colleghi».
Nella sua carriera cinematografica si è tolto varie soddisfazioni, come essere diretto da Sofia Coppola, che l'aveva scelta come presentatore in Somewhere.
«Lei da bambina era venuta con suo padre a Milano per la cerimonia dei Telegatti e voleva raccontare questo episodio della sua vita, quindi abbiamo simulato una serata di Telegatti in cui io e Simona Ventura presentavamo gli ospiti. Mi ha chiamato perché ha cercato su Youtube "presentatori italiani" e ha visto dei miei filmati da "bravo presentatore", pensando che io fossi veramente in quel modo!».
Sofia e Francis Ford Coppola nel 2018
Poi ha inseguito Johnny Depp in The Tourist di Florian Henckel von Donnesmarck.
«Ho fatto un carabiniere. Il regista è tedesco e sua madre è una mia fan in Don Matteo, che viene trasmesso in televisione perché Terence Hill è molto popolare in Germania.
Il figlio le aveva promesso che "appena devo fare un film in Italia mi invento una cosa e lo chiamo".
Così è stato. Quella scena dell'inseguimento poteva farla anche un altro attore, invece ha voluto proprio me per fare un regalo a sua madre. Lo ha raccontato nella conferenza stampa».
Con Terence Hill ha legato umanamente?
«Siamo molto amici, ci sentiamo spesso. Abbiamo fatto 260 puntate assieme, grazie a Oldoini, che ha diretto la prima stagione di Don Matteo. Enrico mi apprezzava e mi ha voluto, dopo avermi diretto in varie commedie, come Anni 90 e Miracolo italiano».
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