"HO FATTO LA GUERRA", "SONO POVERO, NON POSSO ISCRIVERMI ALLA SCUOLA DI RECITAZIONE, LANCIATEMI VOI": IL CASTING DEI CANDIDATI AL RUOLO DI CRISTO NEL "VANGELO SECONDO MATTEO" DI PASOLINI - IL DOCUFILM DI DONATA SCALFARI E SIMONA RISI ANALIZZA LE 78 LETTERE DEGLI ASPIRANTI PROTAGONISTI INVIATE A PPP – “SONO ABBASTANZA PASOLINIANO”, SCRIVE UN GIOVANE ALLEGANDO UNA FOTOGRAFIA - COME FINI’? NESSUNO FU PRESO. NÉ COME PROTAGONISTA, NÉ COME COMPARSA…
Giovanni Berruti per “la Stampa”
pasolini il vangelo secondo matteo
«Io sono quello che lei cerca». All'inizio degli Anni 60, diversi giovani inviarono le proprie candidature per il ruolo principale ne Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini.
Tutto nacque da un'intervista che lo scrittore e regista rilasciò sul settimanale Le Ore, annunciando l'ambizioso progetto e nello stesso tempo la ricerca di un attore non professionista che interpretasse Cristo. Ovviamente, che non si richiamasse all'immagine oleografica cui si è sempre stati abituati.
Sceneggiato da Donata Scalfari e diretto da Simona Risi, Capelli quasi biondi, occhi quasi azzurri - 78 lettere a Pier Paolo Pasolini è un docufilm che analizza le missive degli aspiranti attori, spedite tra il 1962 e il 1963 da tutta Italia, ma anche da Germania e Stati Uniti. A far da fil rouge, la voce dell'uomo che ha ritrovato questi documenti nell'archivio paterno: il fotografo Mimmo Frassineti (tra gli autori del soggetto con Valentina Presti Danisi), figlio dello scrittore Augusto. Pasolini era amico di quest' ultimo e all'epoca gli consegnò le lettere ricevute (già aperte, dunque è lecito pensare che le abbia visionate tutte) in quanto esperto di «supplica».
Più che un making of de Il Vangelo secondo Matteo, l'ultimo progetto targato 3D Produzioni, realizzato con il sostegno di Intesa Sanpaolo e presentato al Torino Film Festival, punta a offrire un ritratto generazionale maschile, a quasi vent' anni dal secondo conflitto mondiale e pochi prima della grande aggregazione politico-culturale che ha dato vita al 68.
La peculiarità? Gli scritti sono letti e commentati dagli allievi del Piccolo Teatro di Milano, come se si mettessero a confronto con degli alter ego del passato.
pasolini il vangelo secondo matteo
C'è disperazione tra i giovani autori che inseguono l'ambitissima parte (oggi sarebbe «scontata»?) e soprattutto l'ingresso nel mondo del cinema. «Ho fatto la guerra, ho bisogno di lavorare», «Ho sedici anni, sono povero e non posso iscrivermi alla scuola di recitazione, lanciatemi voi». C'è l'ansia per il futuro. Ci sono elementi per un'analisi sociolinguistica del paese, con problemi con l'uso del verbo avere al Nord e del verbo essere al Sud. C'è infine, in una buona parte delle lettere, addirittura una sorta di tensione omosessuale che lega mittente e destinatario.
Diversi gli interventi nel docufilm, da Marco Tullio Giordana ad Adriana Asti, da Monsignor Zuppi a Natalia Aspesi. «È un'Italia ingenua, un po' miracolistica, che spera di venire adottata dal grande regista per fare il suo film. Non lo pretende, come se nella stessa domanda fosse già implicita la rinuncia» spiega Giordana, in questi giorni in scena proprio con uno spettacolo su Pasolini, Pà con Luigi Lo Cascio. «Emerge il desiderio di entrare in un mondo di cultura - afferma la Aspesi - Ma anche un concetto di mascolinità oggi decisamente tossico, figlio del ventennio fascista e della ricostruzione del dopoguerra».
«Sono abbastanza Pasoliniano», scrive un giovane allegando anche una fotografia. Sì, perché il merito di Pasolini è stato di aver preso dalle periferie il proletariato e sottoproletariato per trasformarli in quadri e sculture. Così da canone estetico, «Pasoliniano» finì per diventare un aggettivo assoluto, uno status. Nessuno fu preso. Né come protagonista, trovato nello spagnolo Enrique Irazoqui, all'inizio restio dall'accettare la parte, né come comparsa, di cui la maggior parte furono alla fine scelte a Matera. Intervistate tra l'altro dagli autori proprio nella città che fu trasformata in Gerusalemme. Figure totalmente distanti dall'attore accademico, «che Pier Paolo non amava particolarmente», come raccontato dalla Asti. Ma in quelle lettere c'era anche chi voleva semplicemente farsi leggere. Come Lello, il contadino pugliese che i genitori volevano ingegnere. Colui che trovava la pace solo con il suo trattore. La stessa che probabilmente Pasolini cercava nell'arte.
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