MINZO SGRASSA GRASSO - L’EX AUGUSTO DIRETTORE, DALL’ALTO DELLA SUA RUBRICA SU “PANORAMA”, SI LEVA UN SANPIETRINO DALLA SCARPA E LO LANCIA IN TESTA AL CRITICO DEL “CORRIERE” - PER LA SERIE, SENTI CHI SCRIVE CHE HO FATTO “IL PIU’ BRUTTO TG DELLA RAI”: “LUI FINÌ PER DIRIGERE RADIORAI E, PER NON TRASFORMARE UN FALLIMENTO IN UN DISASTRO, NON CI RESTÒ NEPPURE UN ANNO. DOPO TORNÒ IN CATTEDRA, A PARLARE DI COMUNICAZIONE E DI TV CON LA STESSA PROSOPOPEA DI PRIMA”…

Augusto Minzolini per "Panorama"

Siamo nell'epoca dei professori e forse anche per questo le cattedre si inventano. E i nuovi professori, almeno quelli improvvisati, hanno sempre lo stesso atteggiamento: seguono alla lettera il politically correct del momento, sono attenti al vento che soffia e piegano i propri giudizi alla convenienza.

Fra questi spicca Aldo Grasso che, grazie alle pagine del Corriere della sera, si è ritagliato il ruolo di santone del piccolo schermo o, comunque, si è autoconvinto di esserlo davvero: parla per sentenze, commenta con il tono di chi è sicuro di essere depositario della verità, considera ogni replica al suo verbo un'offesa.

Rispetto ai professori in voga, però, Grasso soffre di un piccolo handicap: se Mario Monti e i suoi debbono ancora essere messi alla prova (ai posteri l'ardua sentenza), lui, all'epoca della Rai dei professori (ogni Palazzo in Italia ha conosciuto la fase dei professori), finì a dirigere Radio Rai e per non trasformare un fallimento in un disastro non ci restò neppure un anno.

Dopo tornò a parlare, sempre dalla cattedra, di comunicazione e di tv con la stessa prosopopea di prima, rimuovendo istantaneamente dalla sua memoria l'insuccesso. E, polemizzando una volta con un professionista serio come Vincenzo Mollica, un'altra liquidando una trasmissione che fa ascolti ma non va incontro al suo gusto estetico, un'altra ancora bocciando di qua e di là a caso i palinsesti televisivi, è arrivato a dire qualche giorno fa che il Tg1 del sottoscritto «è il peggiore della storia di tutta la Rai».

Ha condito il giudizio con un po' di tutto, un tanto al peso. Ha parlato della storia della carta di credito, ma non l'ha spiegata. Del calo degli ascolti, ma ha tralasciato di dire che tutte le tv generaliste sono in crisi e ha omesso di ricordare che negli ultimi due anni il Tg1 rispetto ai principali concorrenti ha perso solo 8 volte, come quello targato da quel beniamino di Grasso che era Gianni Riotta, e comunque molto meno delle gestioni precedenti.

E, infine, arrivando al punto ha spiegato che per lui l'ultima versione del Tg1 era troppo berlusconiana e che la stagione è cambiata. Insomma, ha messo tanta carne al fuoco per pronunciare l'ennesima sentenza dal suo pulpito con una motivazione banale quanto scontata. Del resto un santone parla per volontà divina, non ha bisogno di argomenti. Semmai si fa due conti: partecipare a un linciaggio mediatico non sarà onorevole, ma costa poco e, comunque, ti fa acquisire benemerenze nei confronti dei nuovi potenti. E chi se ne importa se poi i dati non tornano.

Da un'indagine della società Bain & Co. commissionata dalla Rai, condotta su 20 canali generalisti di informazione e 10 specializzati in Europa, emerge che il Tg1 è moderno ed equilibrato; ha un modo di dare le notizie asettico (per esempio, vi si legge, il Tg3 e il Tg4 le danno in modo «accompagnato», cioè spingono il telespettatore verso un giudizio, come pure La7 che, per restare nel gergo, le dà in «modo spiegato»); il Tg1 si occupa di tutto (La7, invece, per il 43 per cento di politica); offre servizi più veloci (in media 1 minuto e 28 secondi contro il minuto e 55 secondi del Tg5) e per questo propone più notizie degli altri (il Tg1 in media 27 notizie per edizione; il Tg5 21; il Tg2 19; il Tg3 18; il Tg della 7 12). Questi sono i dati di un tg, appunto, moderno, ma nella testa di Grasso i dati non hanno alcuna relazione con i giudizi. Lui li trascura. Volutamente.

È un vizio del giornalismo italiano: si esprimono condanne secondo il colore, la convenienza e la stagione. L'ultima manovra del governo Berlusconi è stata di 34 miliardi di euro, quella del governo Monti ammonta a 24 miliardi. Ma nessuno al Cavaliere ha riconosciuto qualche merito. A parte un altro professore fatto di un'altra pasta rispetto a Grasso: Monti.

Lui ha l'onestà di leggere i dati e di non nasconderli. Anzitutto uno: il suo governo non è il frutto di nuove elezioni, ma un atto di responsabilità soprattutto di chi ha i numeri più cospicui in Parlamento, cioè il Cavaliere. Per questo può andare oltre Berlusconi, ma non contro Berlusconi. Grasso impari.

 

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