LA PACE È FINITA - IN UN LIBRO LUCIO CARACCIOLO SPIEGA COME LA STORIA ABBIA SCONFITTO L'IDEALE FONDATIVO DELL'UE: LA GUERRA IN UCRAINA DIMOSTRA DA MESI CHE I 27 SONO INCAPACI DI PERSEGUIRE IL BENE COMUNITARIO - DIVERSI PAESI FRA GLI ULTIMI ARRIVATI, APPENA RECUPERATA LA SOVRANITÀ CEDUTA PER QUASI MEZZO SECOLO A MOSCA, NON SENTONO PIÙ LA NECESSITÀ DI ESIBIRSI IN TALE PIROETTA. FINO A INVERTIRE L'ORDINE DEI VALORI: È L'UE CHE DEVE DIVENTARE COME LORO. SCHIETTO NAZIONALISMO, CURIOSAMENTE RIBATTEZZATO "SOVRANISMO" - IL "CINISMO" DELLA FRANCIA
Lucio Caracciolo per la Stampa
lucio caracciolo foto di bacco
L'idea di Europa ha perso. Ha perso perché nega la storia. E ne è dunque negata. È antistoria. Utopia. In senso stretto: senza spazio e senza tempo. Il fondatore stesso della moderna idea d'Europa, il conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi, ne statuisce lo stigma utopico con l'esergo che apre la sua Bibbia protoeuropeista, Pan-Europa (1923): «Ogni grande avvenimento storico cominciò come utopia e terminò in realtà». Paradosso vuole che l'aristocratico austro-ungarico nato a Tokyo, di stirpe boema per ascendenza paterna e di madre giapponese, postulasse questa legge proprio mentre l'Europa reale, ovvero l'insieme delle sue potenze, si avviava a chiudere il suo quadrisecolare ciclo da perno del globo autoaffondandosi nelle due guerre mondiali. Entrambe inizialmente europee. La realtà aveva terminato l'Europa. La sua utopia non poteva che nascere morta.
L'idea d'Europa è però immortale. Perché perfettamente irrealistica. Utopia intonsa, puro postulato. Congettura inconfutabile: impossibile calarla dal cielo delle idee alla terra della storia. Di qui quattro corollari. Il primo vale per chi ci crede. Il secondo per chi credendo che tutto sia complotto non crede a nulla. Il terzo per chi se ne serve. Il quarto vale a colpire d'interdetto morale chi ne dubita.
Primo. Come ogni grandioso disegno umano indifferente allo spaziotempo, l'europeismo s' è fatto religione. Culto di Coudenhove: la forza di ogni utopia sta nel restar tale. Non mettendosi alla prova o rifiutandone gli esiti, resta articolo di fede.
Trasumanato, l'europeismo ideale è indifferente alle miserie dell'europeismo reale.
Inscalfibile dalle dure repliche della storia. Le deludenti aporie della realizzazione confermano nei suoi fedeli la bontà dello scopo ultimo.
Il fascino dell'incompiuto supera quello di qualsiasi progetto "realizzato" - le virgolette indicano l'inevitabile iato fra idea e prassi. L'imperfezione esalta l'assoluta astratta perfezione, non compromessa dall'impatto con luoghi e calendari umani. Teologia, vestita da laica filosofia della storia. Credo qui ad absurdum.
Secondo. In quanto antistorica e irrazionale, l'idea d'Europa è il paradiso dei complottisti. I quali vogliono leggervi una cifra segreta, cui solo alcuni eletti possono accedere.
L'assurdità essoterica è garanzia di pregnanza esoterica, attribuita a massonerie, consorterie e cabale varie - perlopiù anglo-massoniche e/o giudaiche - intente a manipolare i popoli ignari per i propri indicibili interessi.
Ogni teoria del complotto, per definizione indimostrabile (altrimenti cesserebbe d'esser tale), dunque indifferente al principio di realtà, svela il nichilismo celato nell'idealismo europeista.
Terzo. In quanto ideologia, l'europeismo è materiale pieghevole. Fondendo ambizione e vaghezza, consente ad attori geopolitici sufficientemente scaltri di perseguire scopi propri vestendoli da europei. Offre supplemento d'anima, superiore grado d'irradiamento e quindi più robusta legittimazione agli Stati nazionali che se ne servono. L'ideale europeista rivela così la contraddizione che non lo consente: gli attori chiamati a fare l'Europa dovrebbero suicidarsi in suo nome, come alate effimere che stremate si lasciano morire dopo aver deposto le uova.
Poiché le comunità umane, specie se veterocontinentali, paiono in tendenza meno inclini al supremo sacrificio di quel nobile ordine d'insetti, accade l'opposto.
L'Europa reale, ossificata nelle istituzioni comunitarie, serve gli Stati membri, che la fecondano per servirsene. Purché viva per sopravvivere, senza pretendere di elevarsi al di sopra dei soggetti che l'hanno voluta o addirittura abrogarli. Per consentire alle nazioni associate di recuperare quote del rango perduto in seguito alla guerra civile europea (1914-1945) che le ha decentrate rispetto all'asse terrestre della potenza.
I paesi fondatori delle Comunità Europee prima, poi i membri ammessi all'ambito club oggi denominato Unione Europea, vi hanno aderito in nome dei propri interessi nazionali.
Com' era ovvio fosse, trattandosi appunto di nazioni in forma di Stato. Su tutte, e con speciale successo, Germania e Italia: i più sconfitti tra gli sconfitti del trentennio che vide evaporare o degradare gli imperi europei. Il blu giallostellato ha donato soprattutto ai tedeschi, che ne hanno colorato i panni post-bellici per risalire il baratro in cui s' erano precipitati.
Per molti di loro, molto a lungo, l'identità europea, ritagliata su misura dell'idea d'Europa al grado più alto e inverificabile, ha finito per confondersi con l'identità nazionale (Vaterland) e/o local-regionale (Heimat). Altri Stati, su tutti la Francia e a suo peculiarissimo modo il Regno Unito - da quando (1973) ha potuto e fin quando (2016) ha voluto -, hanno seguito il medesimo protocollo, con maggiore cinismo. Diversi paesi fra gli ultimi arrivati, appena recuperata la sovranità ceduta per quasi mezzo secolo a Mosca, non sentono più la necessità di esibirsi in tale piroetta. Fino a invertire l'ordine dei valori: è l'Unione Europea che deve diventare come loro, non viceversa. Schietto nazionalismo all'ombra delle tarmate architetture comunitarie, curiosamente ribattezzato "sovranismo".
Quarto. Dell'Europa non si può dubitare. È tabù. Per noi che a torto o a ragione ci qualifichiamo (anche) europei, è difficile cogliere la potenza di tanto divieto. Nessuno meglio di un geniale storico neozelandese, John Greville Agard Pocock, ne esprime il peso, qualificandosi "euroscettico". Lemma che odora di zolfo in casa europeista. In Italia sospetto persino nella lingua d'ogni giorno.