IL CINEMA DEI GIUSTI - IL CINE-TORRONE (MORBIDO) PER LE DENTIERE DELLE SIGNORE BENE: “PHILOMENA”, CON JUDI DENCH IN VERSIONE LINO BANFI
Marco Giusti per Dagospia
Philomena di Stephen Frears
Lo sapevamo. E' il grande cinepanettone natalizio per le nonnine di Roma Nord o comunque sinceramente democratiche. Piangeranno calde lacrime per la tragica storia della sventurata Philomena, non Marturano, ma si divertiranno anche moltissimo per le avventure della loro beniamina Judi Dench neanche se fosse un Lino Banfi o un Christian De Sica vestiti da donna alla ricerca del figlio scomparso.
Che è pure gay, politico, di destra e, soprattutto, americano. Il massimo. Senza nulla togliere al film, perché questo "Philomena" diretto da Stephen Frears, che a Venezia si è dovuto accontentare solo del premio per la miglior sceneggiatura a Steve Coogan, che ne è pure produttore e co-protagonista, e che lancia ovviamente la sua protagonista Judi Dench verso l'Oscar, è intelligente, scritto e recitato benissimo.
Certo, è anche ultra-acchiappone, in grado di farvi piangere e ridere a comando come una sitcom di Nonno Libero. Anche troppo, forse. Ma ne è totalmente cosciente. "In questa storia chi sono i buoni? Chi sono i cattivi?", chiede da subito la capo-redattrice Sally al suo Curzio Maltese, che segue il caso con un buffo mix di distacco, di cinismo inglese e di passione comunista. In realtà le battute del film, dobbiamo ammettere, sono quasi tutte perfette, specialmente quelle legate a come gli inglesi vedono l'America, e quelle che vedono battibeccare Philomena con Martin, cioè Steve Coogan, il suo Sherlock Holmes giornalista, anzi ex-giornalista della BBC e comunista, ma alleggeriscono parecchio questa triste storia di suore cattive e ragazze irlandesi povere.
"Maledetti cattolici" dice Martin, che cerca appunto di aiutare la vecchia signora irlandese Philomena alla ricerca del figlio, ormai cinquantenne, che le è stato strappato via piccolissimo dalla cattive suore di Roscroe, dove era stata rinchiusa dalla famiglia per espiare il suo terribile peccato di aver ceduto al richiamo sessuale. "Non sapevo neanche di avere un clitoride", confessa lei a Martin. Per cinquant'anni Philomena si è talmente vergognata della sua colpa che non ha fatto nulla per cercare che fine avesse fatto il figlio, Anthony, venduto per mille dollari dalle suore cattoliche a qualche ricca famiglia.
Ora le cose sono cambiate e si mette alla ricerca di Anthony. Assieme a Martin scoprono che vive a Washington, che ha fatto carriera politica nel Partito Repubblicano e che è gay. "L'ho sempre saputo che era gay, da come portava la salopette". Tutta la costruzione della ricerca è sostenuta da una sceneggiatura perfetta (altro che i film italiani), da una regia attentissima a dosare commedia e dramma, a non esagerare mai e da questa meravigliosa coppia di attori che si riconoscono loro, senza esserlo, madre e figlio, e che creano come un film a parte all'interno della tragica storia. Ovvio che piaccia a tutti. Soprattutto ai critici ottantenni che rinfrescano i nostri giornali. In sala dal 19 dicembre.
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