
''TI DISTRUGGE LO STRESS E DIMENTICHI IL SESS!'' 40 ANNI DI ''QUELLI DELLA NOTTE''! - FRASSICA, LAURITO, FERRINI, PAZZAGLIA, BRACARDI, DAGO, CATALANO, LUOTTO COL DOMATORE ARBORE - RENZO: “IL PROGRAMMA DIVENTO’ UNA DIPENDENZA NAZIONALE, CAMBIO’ LA TV E ANCHE L’ITALIA'' - ''IL COMUNISTA TORTORELLA MI CHIAMÒ PER PROTESTARE: 'I COMPAGNI SI SENTONO PRESI IN GIRO DALLA TRASMISSIONE'. CAPII CHE IL PCI NON CE L’AVREBBE FATTA” (IL TORMENTONE "NON CAPISCO MA MI ADEGUO" DI FERRINI, ''COMUNISTA ROMAGNOLO'') – L'INVITO DI AGNELLI A VILLAR PEROSA ("SUONAMMO BANDIERA ROSSA E UN ARISTOCRATICO SE NE ANDÒ INDIGNATO. LA MATTINA DOPO LA FOLLA CI ASSEDIAVA COME FOSSIMO I BEATLES”) – FRANCESCO MERLO: LA "SOAP" DI MARISA LAURITO, “L’EDONISMO REAGANIANO” DI DAGO, IL FINTO ARABO DI LUOTTO, ''IL MURO DI ANCONA'' PRE-LEGA DI FERRINI, I NON-SENSE DEL ''FRATACCHIONE" FRASSICA, IL GOSSIP DI SIMONA MARCHINI, PAZZAGLIA CHE ANTICIPAVA IN MACCHIETTA IL DRAMMA DELL’ÉLITE ITALIANA CHE A FORZA DI VOLERE “ALZARE IL LIVELLO” E DI FARCI SENTIRE TUTTI “RASOTERRA” SAREBBE STATA TRAVOLTA DAL VAFFA: ''QUELLI DELLA NOTTE'' FU LA PROFEZIA DI UN’AVANGUARDIA” - VIDEO
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Francesco Merlo per "La Repubblica" - Estratti
I 40 anni di Quelli della notte , «che io immaginai — confessa Arbore — dolosamente, a futura memoria, per i posteri del 2050», si sottraggono alla liturgia degli anniversari, la “bella e amabile illusione”, che già Leopardi raccontava come una malattia della memoria, perché l’arte è profezia e, tanto per cominciare, nel 1985 il tormentone “non capisco ma mi adeguo” anticipava — senza offesa — il trasformarsi galleggiando di Conte e di Salvini, di Renzi e di Calenda e degli altri come loro.
E nel finto arabo Andy Luotto che, con il suo “Allah e aqqua”, tra mezze lune e cammelli, provocò la protesta della Giordania, c’era già il tabù infranto di Charlie Hebdo , quel “vietato ridere dell’Islam” che nel tempo a venire avrebbe trasformato il “morire dal ridere” da metafora del divertimento in tragedia del realismo.
Terribilmente scorretto, forse più dell’arabo e persino oltre le sfrontatezze di Charlie Hebdo c’era l’israeliano del dadaista Bracardi. Con il cappello da rabbino, la barba e le trecce, cantando salmi, teneva in mano un frammento del muro del pianto e “regalava” a Arbore una palla-souvenir con la neve che cadeva su Tel Aviv, ma in cambio voleva almeno diecimila lire.
E, ancora, profezia della Lega e dell’autonomia differenziata, c’era persino “il muro di Ancona”, il tormentone di cemento per separare il Nord dal Sud. Era il 1985 e il solo muro era quello di Berlino. Negli ultimi dieci anni ne sono stati alzati diecimila.
Violenti e lugubri, opprimono il mondo, in Cisgiordania, in Africa, in Grecia, in Macedonia, in Messico... Pensate: il muro di Ancona. (…) Quelli della notte fu la profezia di un’avanguardia che allora ci sorprendeva e oggi persino ci spaventa perché abbiamo prodotto in tv, noi italiani che non frequentiamo troppo i libri, quel che altri hanno prodotto in stanze e luoghi meno irregolari della cultura.
Per esempio, con Simona Marchini l’Italia scoprì che il gossip era quell’angelo dell’informazione che oggi il successo di Dagospia ha reso quasi un’ovvietà. E Marisa Laurito cominciò a raccontare in tv “i fatti di famiglia” che oggi Maria De Filippi ha trasformato in epica.
Arbore si ritrae dai paragoni altisonanti che hanno sempre un tocco comico, e concordiamo che bisognerebbe farlo dire a Pazzaglia che Quelli della notte è stato il Cabaret Voltaire che i dadaisti avevano inventato a Zurigo, mescolando arte e salsicce, genialità e baccano (svegliavano Lenin che dormiva di fronte e chiamava la polizia). I profeti dadaisti di Arbore erano tre.
Roberto D’Agostino nel ruolo del “luccologo” anticipava gli esperti, oggi insopportabili, del “corpo illuminato” per usare l’abusato Roland Barthes, gli incantamenti delle Fashion week, il brutto di moda, il fast fashion, la moda dello spreco, le sapute cretinaggini sui buchi nei jeans raccontati come le buche di Keynes.
Il suo tormentone irresistibile fu “l’edonismo reaganiano” con il quale D’Agostino vestì di intellettualità «quella voglia di divertirsi — dice — che svegliò l’Italia dopo le cupezze, il sangue e il piombo del terrorismo ». E D’Agostino convinse gli italiani a leggere ''L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera'', e le ristampe non bastavano mai.
Quelli della notte segna dunque “i ruggenti anni Ottanta” e casa Arbore somiglia a casa Bragaglia che, prima in via Condotti e poi in via degli Avignonesi, nei “ruggenti anni Venti” organizzava serate di arte e feste da ballo, cultura e tiratardi, con Balla, De Chirico, Prampolini, Sironi e poi Trombadori e Moravia che scrisse lì Gli indifferenti. «L’italia — dice Arbore — è fatta di corsi e ricorsi, che è la filosofia del grande Vico e in piccolo è la mia».
simona marchini riccardo pazzaglia separati in casa 1
Dadaista di natura è Bracardi, quello che molti anni prima di “mani pulite” voleva mandare tutti “in galeera”, il conte Bracula che invece dei colli mordeva le giacche, il populista che “se ce fosse Pippe Baude a comandar, Peeee! Peee!”. Ma il Tristan Tzara di Arbore era Marenco, che nel colonnello Buttiglione sempre sull’attenti profetizzò il mondo al contrario del generale Vannacci.
E ditemi se nella retorica stralunata dell’astronauta Raimundo Navarro non c’era il nostro Luca Parmitano che è rimasto per sempre incantato e stordito dallo spazio. Ancora: il luminare della medicina Anemo Carlone già riassumeva Burioni, Bassetti, Pregliasco, Ricciardi, Maria Rita Gismondo e tutti i futuri professori del virus.
quelli della notte - dago, arbore, leonardo mondadori, bracardi, marisa laurito, simona marchini
L’Italia di oggi è piena di Sgarambone rifatte, ma anche di cronisti morbosi e fanatici di cronaca nera, come Max Vinella. E il letterato triste e incomprensibile di allora si identifica con tutte le glorie ermetiche del premio Strega di oggi.
MAURIZIO FERRINI E RENZO ARBORE
Viva Pazzaglia allora, «che io riconosco come maestro», perché ci permette di dire che c’è un po’del Der Sturm di Berlino, della Bauhaus di Dessau e della Factory di Andy Warhol in quei 40 artisti «che io riunivo in un appartamento e con Ugo Porcelli sempre accanto, addestravo come reclute e poi lasciavo senza copione, senza un riga scritta.
40 tiratardi che alle 23 di ogni sera catturavano più italiani della sera prima sino a diventare una dipendenza nazionale, che faceva litigare le famiglie perché i ragazzi non andavano a letto presto e che, per vie traverse e misteriose, cambiò la televisione e anche l’Italia». Anticipandola, profetizzandola, influenzandola.
«Pensa che la famiglia Agnelli ci invitò a Vilar Perosa, dove suonammo Bandiera rossa e un vecchio aristocratico, mi raccontò Allegra Agnelli, se ne andò indignato. La mattina dopo in albergo a Torino la folla, soprattutto di giovani, ci assediava come se fossimo i Beatles».
Com’è possibile che contro l’asfissia dell’Italia arcaica “Ti distrugge lo stress e dimentichi il sess’” fosse più evocativo di We can work it out ? «Ho lavorato da regista per venti format ma solo in Quelli della notte ci fu la magia di inventare il mondo nuovo, il format inedito che li contiene tutti». A 43 anni eri finalmente diventato Renzo Arbore. «E infatti pochi sanno mettere al giusto posto le maschere che, nelle teste invecchiate degli italiani di allora, ballano come i vestiti nel teatro di Rosso di San Secondo da un programma all’altro».
Dove stavano Catenacci e Damigiani che oggi sono alla presidenza del Senato e alla commissione Cultura, trasfigurati in La Russa, Fazzolari, Mollicone, Foti? Dove finisce Alto gradimento e comincia Quelli della notte? E in quarant’anni di duro lavoro “how many roads” ha dovuto percorrere il professor Aristogitone per diventare Valditara?
E in quale programma Catalano commenta le elezioni — “alcuni partiti hanno avuto più voti e altri partiti hanno avuto meno voti” — con le banalità che furono il rifugio di Forlani e che ora lo sono di Tajani e anche di Elly Sclhein?
Si confondono tormentoni, maschere e trasmissioni nella mental map dell’arborismo, di quel lucido ridere dell’Italia alla quale erano state tolte le utopie e che sulle pagina di Repubblica diventava racconto e pensiero: «Repubblica era l’esame che affrontavo ogni mattina.
E Scalfari, verso il quale provavo soggezione, mi diceva che io facevo nel mio mondo quel che lui faceva nel suo. E che si riflettevano, i nostri mondi, l’uno nell’altro, si spiegavano a vicenda, diventavano la stessa rivelazione. Ezio Mauro la chiamava una certa idea dell’Italia».
NINO FRASSICA QUELLI DELLA NOTTE
Posso scrivere che sei sempre stato “un liberal socialista? «Sì, bravo, e anche meridionalista». Salvemini? «Salvemini sì, ma anche Carandini, Pannunzio. Ho sempre disperatamente cercato un partito e non l’ho mai trovato. Leggevo, volevo capire perché non ero comunista come i miei compagni di università ».
E il Pci? «Tortorella mi chiamò per protestare: i compagni si sentono presi in giro da Quelli della notte. Capii in quel momento che il Pci non ce l’avrebbe fatta».
dago e renzo arbore quelli della notte 11
È vero che Riccardo Pazzaglia, l’autore di Lazzarella, Io mammete e tu e Meraviglioso, quando spiegava “il brodo primordiale, il brodo madre dal quale tutti noi veniamo” si ispirava a Alberto Ronchey? «È vero. Gli dissi: tu devi fare Ronchey, l’intellettuale che rimane savio in mezzo ai cialtroni. Ronchey mi telefonò incuriosito ma non arrabbiato ». Ronchey era spiritoso, di sé stesso diceva: “Scusi, lei è tuttologo?”. «Anche».
Pazzaglia anticipava in macchietta il dramma dell’élite italiana che a forza di volere “alzare il livello” e di farci sentire tutti “rasoterra” sarebbe stata travolta dal vaffa. Lo avevi capito? «Certo che no, ma ci arrivavamo con il naso». Diciamo la verità: il naso è stata la risorsa dell’Italia, che arrivava a lume di naso dove gli inglesi e i tedeschi arrivavano con le competenze. «Il successo mi portò a un ricevimento al Quirinale dove divenni l’ospite d’onore. E Pertini mi disse: “Si vede che tu, Arbore, hai conosciuto Eleonora Duse”.
RENZO ARBORE QUELLI DELLA NOTTE
Intervenne Cossiga: “Ma cosa c’entra Arbore con la Duse?”. E Pertini: “Zitto Francesco, che non capisci niente di spettacolo”. E insieme mi chiesero: “Arbore, hai conosciuto Eleonora Duse?” E io risposi con un cenno del capo che era un no ma era anche un sì». Una scena perfetta per Quelli della notte. «E infatti ci ispirò, ma senza nomi».
RENZO ARBORE QUELLI DELLA NOTTE
Ovviamente tu non hai conosciuto Eleonora Duse. «È morta nel 1924 e io sono nato nel 1937». Il naso, il naso. E si può per esempio discutere se gli aforismi di Kraus, nutriti di libri e di sapienza, equivalgono a quelli di Longanesi, che usava il naso come radar. «Sono ancora oggi un grande ammiratore di Longanesi e quando si trattò di assegnare una parte a Frassica, mi vennero in mente i suoi preti in bicicletta con la molletta che teneva stretta la tonaca, i preti che si davano da fare, i preti di strada, con la bici di don Camillo ».
Presentivi che la televisione si sarebbe riempita di preti che si danno da fare e che il don Matteo di Terence Hill sarebbe diventato il prete in bicicletta più amato dagli italiani? «No. Ma sicuramente il frate Antonino da Scasazza li anticipò tutti». Il naso di Arbore aveva addirittura fiutato il cardinale Matteo Zuppi, candidato a diventare il primo Papa in biciletta. Arbore leggeva i “critici” di allora, «e sarebbe ingiusto nominarli oggi che sono morti e dimenticati ».
Arbore Boncompagni Marenco Bracardi - Alto Gradimento
Li parodiava a partire dall’astruseria delle citazioni: “Lo diceva Neruda che di giorno si suda /rispondeva Picasso io di giorno mi scasso”. Non sapeva che la decadenza avrebbe fatto della critica una professione residuale, ma presentiva l’arrivo dell’opinionista e dell’esperto sino all’ignorante che sa tutto e alla Cretinocrazia che è “il nostro corso più rincorso” direbbe Frassica.
FRANCESCO MERLO
arbore marenzo boncompagni alto gradimento
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