
“BARBIE EXPERIENCE” - LA MATTEL OFFRE ALLE BAMBINE UNA VACANZA DA BAMBOLA - INSORGONO LE FEMMINISTE: "PROPOSTA ORRENDA" - L'AZIENDA SI DIFENDE: "LA BARBIE PROPONE CENTINAIA DI MODELLI DAI LAVORI DIVERSI: ISPIRA LE GIOVANI"
Vera Schiavazzi per âLa Repubblica'
Vivere come Barbie nel tempo di una vacanza, con tanto di manicure, parrucchiere, trucco e una stanza "brandizzata", dalle lenzuola all'accappatoio passando per i mobili. Con sfilata finale di babymodelle.
I pacchetti proposti da Mattel (la casa produttrice della bambola) e dal Forte Village, il resort turistico di lusso sardo di Santa Margherita di Pula, prevede due tipi di "VIP expreience" per bambine dai 2 ai 10 anni, con un supplemento di 550 euro a settimana oltre al soggiorno: c'è un Barbie center allestito da Mattel, trattamenti nella Spa del villaggio - che, interpellato, preferisce non rispondere sull'iniziativa - e corsi per imparare a fare i gioielli.
Ma scoppia la polemica, il Guardian attacca e le femministe anglosassoni si indignano ("Basta stereotipi"), definendo la proposta "ghettizzante" e "francamente orrenda". Alla Mattel non si scompongono, e del resto altre "Barbie experience" erano state promosse a Cortina e sulle navi Royal Carribean. «à un tipo di polemica al quale non vogliamo rispondere - dice Alessandra Miranda, responsabile marketing per l'Italia della Girls Unit di Mattel, un giro d'affari da 29 milioni di euro all'anno -
La Barbie ha 55 anni, è stata ed è la bambola più amata, dalle nonne alle nipoti. Non abbiamo mai pensato che le bambine dovessero diventare "come" Barbie, ma al contrario che attraverso giochi che ormai sono un vero e proprio lifestyle, le bambine potessero immaginarsi grandi», E dunque sognare di diventare una pediatra o un'astronauta, una pasticcera o una perfetta donna-manager: non tutti lo sanno, ma ogni Barbie ha una carriera, e la centesima è proprio quella da capitana d'azienda.
Il problema però è a monte, e va molto al di là delle stravaganze di turisti che qui pagano 4.000 euro per una settimana di vacanza con la famiglia. Ed è quello della pinkification, ovvero degli stereotipi color confetto che fin dalla più tenera infanzia influenzano la percezione di sé, assegnando alle bambine vestitini e accessori con i quali giocare, e ai maschi fucili e palloni da basket.
Contro questa tendenza sono nati nel mondo movimenti d'opinione e campagne che rasentano il boicottaggio, come Let Toys Be Toys, lasciate che i giocattoli siano giocattoli (a Roma li sostiene il collettivo Scosse, www.scosse.org), che chiedono con forza ai produttori di giochi di non differenziarli secondo il genere. «à depressivo e offensivo indurre le bambine a copiare stereotipi fin dai primi anni di vita, convincendosi che solo la bellezza, la magrezza e i vestiti sono importanti», tuona la scrittrice femminista Caroline Criado-Perez.
E Monica Martinelli, la pioniera italiana della battaglia per la depinkification, fondatrice di Sette Nove, la casa editrice che propone fiabe libere da etichette, aggiunge: «Ormai ci sono le prove scientifiche che gli stereotipi trasmessi ai bambini sono alla base della violenza sulle donne».







