BIAGI AMARI - STRACCI E VELENI TRA LORIS MAZZETTI E PIGI BATTISTA SULLA TELE-EREDITÀ DI ENZO BIAGI

1 - È SCONTRO MEDIATICO SULL'EREDITÀ DI BIAGI FINITA AL FOGLIO ANTI CAV
Vincenzo Pricolo per "il Giornale"

Tornano le grandi interviste di Enzo Biagi e tornano le polemiche mediatiche sulla figura del grande giornalista scomparso nel 2007 dopo una lunghissima e altrettanto onorata carriera nella carta stampata e nella televisione. Per omaggiare Biagi- e per rinverdire il ricordo del cosiddetto editto bulgaro con il quale nel 2002 l'allora premier Silvio Berlusconi aprì la strada alla decisione dei vertici della Rai di togliere dai teleschermi lo stesso Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi- il Fatto Quotidiano ripubblicherà ogni giovedì le interviste che il giornalista realizzò con i protagonisti che segnarono la seconda metà del secolo scorso.

Tanto per fare qualche nome: Margaret Thatcher, François Mitterand, Albert Sabin, Robert Kennedy, Cassius Clay, Malcom X, Michele Sindona, Luciano Liggio. L'undicesimo anniversario celebrato dal quotidiano diretto da Antonio Padellaro non è quello dell'editto di Sofia, che venne «promulgato» il 18 aprile del 2002, ma è quello dell'ultima puntata del Fatto , l'approfondimento quotidiano di Biagi, che dopo altre 833 puntate andò in onda il 31 maggio dello stesso anno.

Comunque, fu proprio in quelle settimane che Biagi, dopo una carriera professionale ricca di successi costruita da inviato, collaboratore o direttore - in grandi quotidiani ( Corriere della Sera , Stampa , Resto del Carlino , Repubblica ...) e settimanali ( Epoca ,L'Europeo , l'Espresso ...) e coronata nel 1961 con la direzione dell'allora unico telegiornale italiano, quello della Rai di Ettore Bernabei che i progressisti accusavano con molte ragioni di essere il custode televisivo dell'egemonia politica della Democrazia cristiana, divenne un'icona della sinistra, in particolare delle componenti più radicalmente antiberlusconiane.

Che hanno nel Fatto Quotidiano un punto di riferimento. E che non potranno non apprezzare l'iniziativa del loro giornale preferito di ripubblicare le interviste del grande giornalista bolognese. Però non tutti si sono arresi a che la izquierda anti- Cav detenga, in virtù dell'anomalia italiana, il monopolio della figura di Enzo Biagi. In particolare, non ci sta l'editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista.

Il quale Battista, forse perché chiamato personalmente in causa dall'autore dell'articolo (Loris Mazzetti, che di Biagi fu a lungo uno dei più stretti collaboratori in Rai) dove Battista è citato fra i giornalisti che «hanno provato inutilmente a clonare il Fatto di Biagi», ma anche perché lui stesso, per molti anni vicedirettore del Corriere con delega alle pagine culturali, ebbe modo di conoscere bene il grande giornalista, si chiede infatti su Twitter: «Perché le figlie di Enzo Biagi consentono a uno sfaccendato come Loris Mazzetti di sfruttare così il lavoro di loro padre?».

Ma il tweet di Battista resta, diciamo così, una provocazione, uno sfogo. Come si legge alla terza riga dell'articolo dello «sfaccendato», infatti, la riproposizione delle interviste del giornalista è stata decisa dal Fatto Quotidiano «in accordo con Bice e Carla Biagi».

2 - GLI INUTILI EREDI TELEVISIVI DI BIAGI
Loris Mazzetti per il "Fatto quotidiano"

Dare esecuzione all'editto bulgaro, chiudendo Il Fatto di Enzo Biagi, ha significato togliere ai telespettatori un'occasione di riflessione sull'attualità in prima serata, mentre la concorrenza pensava a fare il pieno di spot con le veline. La coppia Saccà-Del Noce preferì abbassare la qualità del prodotto, perdere una grossa fetta dell'identità del servizio pubblico pur di eseguire gli ordini di Berlusconi.

Il primo programma, di breve durata, che prese il posto del Fatto fu Max &Tux del duo Lopez e Solenghi, che il giorno d'esordio (19 settembre 2003), nonostante un buon ascolto, consentì a Striscia la notizia di fare il record, mai più superato, 47% di share con 14 milioni di telespettatori. Il programma di Rai1 passò dal 27 al 18% nel giro di pochi giorni. Del Noce, pieno di livore per l'insuccesso, a difesa del duo dichiarò: "Max & Tux sono vittime della solidarietà a Biagi che ha provocato un accanimento senza precedenti contro il nuovo programma".

In vista delle elezioni Europee del 2004 qualcuno da Palazzo Chigi suggerì alla Rai di tornare all'approfondimento. Nella primavera 2004 il direttore generale Cattaneo diede il via alla giostra dei cloni del Fatto .

Il primo fu Batti e Ribatti condotto da un giornalista della Stampa di Torino, Pierluigi Battista, arrivato come terza o quarta scelta dopo che altri giornalisti (tra questi Ferruccio De Bortoli, Vittorio Feltri), avevano intelligentemente declinato la proposta, chi per solidarietà con Biagi, chi per impegni.

Battista, che avrebbe dovuto fare come i colleghi (verrà ricordato per essere quello che prese il posto di Biagi), dichiarò: "Non sostituisco nessuno e non raccolgo eredità. Mi è stato semplicemente chiesto un programma originale di approfondimento". Già, originale, della durata di cinque minuti, subito dopo il Tg1, non so perché, mi ricorda qualcosa.

L'illustre conduttore raccontò ai quattro venti che stava pensando a Biagi come primo ospite. La telefonata d'invito (chissà perché?) non arrivò mai. Sugli ascolti non mi soffermo perché furono imparagonabili tra le due prime edizioni, nonostante che Biagi avesse un break pubblicitario tra la sigla di coda del Tg1 e quella di apertura del Fatto.

La differenza sostanziale, evidenziata dai pubblicitari, era: Il Fatto nei pochi minuti di messa in onda aumentava di 1 milione e mezzo gli ascoltatori (in certe occasioni anche fino a 3 milioni), Batti e Ribatti, invece, li perdeva . Ci fu una polemica in occasione dell'intervista di Battista a Berlusconi (maggio 2004), perché in soli 6 minuti il Cavaliere riuscì a perdere ben 4 punti di share. I giornali titolarono: "La presenza di Berlusconi in Tv allontana il pubblico".

Battista ballò solo una stagione. Questo malinconico precedente può spiegare, forse, il livore del tweet di Battista contro chi scrive e la richiesta alle figlie di Enzo Biagi di intervenire "contro uno sfaccendato come Loris Mazzetti". Solo perché nel presentare l'iniziativa del Fatto Quotidiano che a partire dal prossimo giovedì pubblicherà le più belle interviste di Biagi, c'eravamo permessi di ricordare di non esaltanti ascolti del Battista televisivo se paragonati a quelli di Biagi. Niente di personale, per carità, ma solo la dura legge dei numeri.

Dopo il suscettibile Pigi arrivò Oscar Giannino che, alla quarta settimana con gli ascolti in caduta libera, fu spostato alle 14, dopo il Tg1 delle 13,30. Dopo Giannino fu la volta di Riccardo Berti, direttore di Isoradio, giornalista di fiducia, era stato collaboratore dell'ufficio stampa di Forza Italia. Dopo Berti, Mimun che dirigeva il Tg1. Nessuno ha mai, non solo fatto gli ascolti del Fatto, soprattutto contribuito al buon rapporto tra Rai e telespettatori come Biagi. Ultimo clone fu Qui radio Londra di Giuliano Ferrara i cui ascolti furono talmente bassi che, quando non andò più in onda, nessuno se ne accorse.


3 - IL VIZIO DI FARE IL PORTAVOCE DEI MORTI SICURI DI NON ESSERE MAI SMENTITI
Maurizio Caverzan per "il Giornale"

È una nuova professione, una figura politica e giornalistica inedita: il portavoce del morto. Colui che ne prosegue il pensiero. Poco importa se corrisponda a quello vero dei defunti. Loro non ci sono più, ahinoi. E dunque. Fortuna che qualcuno si è incaricato di farli parlare ancora. Magari a sproposito. Impossibili da smentire, i portavoce dei morti non abbisognano di nomine e documentazione. Basta un pizzico di millanteria, una certa voglia di carriera e si autocertificano ognuno secondo la propria indole. Il piagnucoloso, l'arrogante e il furbacchione.

Si tratti di un grande intervistatore televisivo, della penna più fulminante del giornalismo italiano, dei magistrati uccisi dalla mafia: non importa, il morto è mio e lo rappresento, lo interpreto, lo divulgo... lo immortalo io. Loris Mazzetti è il ventriloquo post-mortem di Enzo Biagi. Marco Travaglio l'esegeta abusivo di Indro Montanelli. Antonio Ingroia il presuntissimo continuatore di Giovanni Falcone e, in seconda battuta, di Paolo Borsellino. Sono gli esempi più illustri della nuova professione in voga.

Poi ci sono le vedove inconsolabili di qualche maître à penser scomparso da decenni, da Pasolini a Antonioni, da Bobbio a Galante Garrone fino al Bachelet ripetutamente citato e rimpianto da Rosy Bindi. Ma qui la faccenda si stempera in una nostalgia inguaribile. Infine ecco figli, nipoti e discendenti vari, custodi dei diritti post-mortem di giornalisti e scrittori. Guai se citi una frase senza chiedere il permesso alle fondazioni... Qui, invece, la grana si fa pecuniaria.

Per tornare ai monopolisti del verbo del defunto, il caso di giornata è quello di Mazzetti, capostruttura di Raitre, che ha annunciato con prosa petulante la nuova iniziativa del Fatto quotidiano . Da giovedì prossimo, il giornale diretto da Padellaro pubblicherà settimanalmente un'intervista realizzata da Biagi per Raiuno.

La notizia si è compendiata in una lacrimevole paginata nella quale Mazzetti ha ripercorso per l'ennesima volta la carriera del «nonno», com'era chiamato in redazione, guarda caso partendo dal famigerato editto bulgaro e, a ritroso, fino al passaggio dalla carta stampata a «quando disse di sì alla Rai di Ettore Bernabè ». Che poi sarebbe Bernabei, storico direttore generale della tv pubblica dal 1960 al 1974.

La versione spocchiosa e rivendicativa del portavoce postmortem è invece quella prestigiosamente rappresentata da Travaglio. Insieme con la sdoganatissima Isabella Ferrari, il vicedirettore del Fatto ha portato in giro per l'Italia uno spettacolo intitolato Anestesia totale incentrato sugli scritti montanelliani. Lei era l'attrice-lettrice, lui l'esegeta. Un successone.

Altrove, Travaglio è prodigo di citazioni di dialoghi privati e non verificabili con l'ex direttore del Giornale : «Stai attento, Marco- mi disse una volta- questa volta durerà a lungo e io sono felice del fatto che non vedrò la sua fine. Combatti la tua, la nostra battaglia, ma guardati le spalle, perché l'uomo sembra simpatico, e a piccole dosi lo è, ma con chi gli tocca la roba è vendicativo...». Chissà di chi parlavano.

Come ha scritto Mario Cervi, «Travaglio evoca sovente, e ampiamente, colui che definisce il suo maestro... Ma l'utilizzarlo, con insistenza petulante, per avvalorare e alimentare furori d'oggi, mi sembra poco elegante».

L'interpretazione opportunistica del monopolista del morto è quella incarnata da Antonio Ingroia. Nel pieno dell'ultima campagna elettorale con Rivoluzione civile l'ormai ex pm replicò ai colleghi scettici sulla sua avventura politica paragonandosi a Giovanni Falcone. «Forse non è un caso», spiegò, «che quando iniziò la sua attività di collaborazione con la politica le critiche peggiori giunsero dalla magistratura. È un copione che si ripete».

Ne seguì una violenta polemica con Ilda Boccassini, per uscire dalla quale Ingroia convocò un altro mostro sacro dell'antimafia: «Mi basta sapere che cosa pensava di me Paolo Borsellino e cosa pensava di lei», sibilò l'ex pm palermitano. Intervennero la sorella di Falcone, Maria, e Salvatore Borsellino: «Contino entrambi fino a 30 prima di aprire bocca», disse rivolto a Ingroia e Boccassini, «e lascino il nome di mio fratello fuori da questa campagna elettorale». E pace all'anima sua.

 

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