AI PIEDI DEL COLLE - IL BANANA DEVE FARE IL PRIMO PASSO “DISTENSIVO” PER SPERARE CHE RE GIORGIO DIA UNA MANO
Tommaso Labate per il "Corriere della Sera"
«Quel segnale del Quirinale lo aspetto ancora. Però...». Sono almeno ventiquattr'ore che Silvio Berlusconi, che continua a non muoversi dalla villa di Arcore, comincia a contemplare qualche subordinata. Una su tutte. Da quando Gianni Letta gli ha fatto sapere che l'«accettare pubblicamente la sentenza della Cassazione» potrebbe agevolare il «dialogo» con il Colle, il Cavaliere ci sta pensando su.
Non si tratterebbe certo, come anche il braccio destro di una vita gli ha ripetuto più volte, di una «resa incondizionata». Né tantomeno della rinuncia a giocarsi le pochissime carte a disposizione sulla revisione del processo, che in linea di principio è possibile solo se l'ascolto della telefonata integrale del giudice Esposito col giornalista del Mattino contenesse quei «particolari interessanti» su cui il collegio della difesa spera.
Basterebbe un'uscita pubblica in cui l'ex premier ammettesse che la sentenza della Cassazione è «un fatto», in cui si dichiarasse pronto ad assumersi tutte le conseguenze del caso. E questo, è l'adagio che i suoi ambasciatori presso il Colle hanno ripetuto all'ex premier, allenterebbe senz'altro la pressione su Giorgio Napolitano.
Già , Napolitano. Berlusconi, che ha accantonato l'idea dei falchi di fare un «tour estivo», ha capito dai suoi che la partita sarà lunga. E che quei contatti tra le due parti che sono in programma a Ferragosto serviranno soltanto a capire se il Cavaliere può ancora sperare nell'«agibilità politica», oppure se ogni strada è sbarrata.
«Il Pd non può vergognarsi di governare con me. Lo deve capire che non sono un condannato qualunque ma la vittima di una persecuzione», ripete l'ex premier nei momenti in cui lo sconforto ha la meglio sulla voglia di continuare a lottare. E, negli ultimi giorni, di questi momenti ce ne sono stati almeno due.
Il primo è stato quando l'ex premier ha rinverdito, al telefono con Marcello Dell'Utri, i ricordi dei viaggi alle Bermuda con Confalonieri e Letta. Il secondo è stato ieri l'altro, quando il compleanno della primogenita Marina si è dovuto festeggiare ad Arcore e non, come ogni anno, nella villa in Costa Azzurra. Sono stati i primi due momenti dalla condanna in cui il Cavaliere ha fatto i conti col ritiro del passaporto e, di conseguenza, con l'obbligo ci non abbandonare l'Italia. I conti con la realtà , insomma.
Ma è sempre alla partita a scacchi col Colle che si torna. Dai contatti che i suoi hanno avuto con la delegazione del Pd che ha incontrato l'altro giorno Napolitano, Berlusconi ha ricavato una mezza certezza. Per quanto il Pdl possa fare per terremotare il governo, è da escludere che il Colle dia il disco verde per le elezioni anticipate. Non solo. Il Cavaliere sa benissimo quello che rischierebbe in caso di resa dei conti.
«Che facciano un nuovo governo con una maggioranza Pd-Cinquestelle. E, magari, che mi diano il colpo finale con una legge punitiva sul conflitto d'interessi», è il senso delle sue preoccupazioni.
Per questo, almeno per il momento, la sua parola più gettonata ad Arcore è «prudenza». Solo così si capisce la decisione di rispondere alle parole di Enrico Letta su Imu e «agibilità politica» mescolando promesse di lealtà con qualche avvertimento. Solo così si capisce la scelta di Alfano di apprezzare le parole del premier («Letta ha usato parole chiare. Se il governo va avanti, l'Imu non si pagherà »). E anche quelle di Schifani («Letta sa che non possiamo ingannare gli italiani»), Cicchitto («Letta ricordi che è anche il premier del Pdl») e Santanché («Letta stia attento a non andare a sbattere») di lanciare segnali all'indirizzo di Palazzo Chigi .
Ma tolta la strategia a colpi di stop and go, dietro ogni tattica c'è sempre un uomo che aspetta. E che pensa già a qualche contromossa. Rispetto alla velata minaccia del Pd di approvare una legge elettorale con i Cinquestelle, per esempio, Berlusconi s'è tuffato a capofitto sul dossier. E non è escluso che, prima o poi, non torni a parlare di riforma del Porcellum. L'ultimo spauracchio è nella nuova bozza Violante del proporzionale a doppio turno, una mossa a cui il Cavaliere guarda con sospetto.
«Sul doppio turno non siamo d'accordo perché quella legge ci punirebbe. Il nostro elettorato, al ballottaggio, vota sempre meno», è la linea fatta filtrare dai suoi. Sono le stesse persone che danno come probabile, nei prossimi giorni un'uscita pubblica dell'ex premier. Che potrebbe tornare a far sentire la sua voce non solo sulla riforma elettorale. Ma anche sulla sentenza della Cassazione. D'altronde, l'unico modo per sperare ancora nel «segnale» del Quirinale sembra diventato proprio quello. Fare il primo passo.
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