IL BANANA VEDE IL GABBIO E VA IN CAMPAGNA ELETTORALE

Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"

La sensazione di panico, di essere finiti in una morsa che si stringe sempre più, è palpabile nei gesti come nelle parole. Silvio Berlusconi arringa i suoi chiamandoli ad una «guerra per la libertà», ai gruppi annuncia lotta dura e «una rivoluzione per la libertà», dice di tenersi pronti perché «sabato la nostra manifestazione sarà la prima della campagna elettorale», ma assieme dà per scontato che il governo Bersani-grillini fuoriusciti «nascerà, avranno l'incarico e ce la faranno a partire», e chi lo ascolta non capisce più se il suo sia - come dicono alcuni dei suoi - «il comizio di un uomo infuriato, deluso, terrorizzato» o la realtà dei fatti.

Sì, perché non c'è dubbio che la lingua parlata da Berlusconi e quella usata dai suoi sia, in qualche modo, diversa. Le grida di dolore del Cavaliere, che si lamenta perché i suoi avvocati gli hanno detto di prepararsi a «condanne pesanti, perché vogliono farmi fuori», è diversa da chi in questi giorni, in queste ore, assicura che «difendere Berlusconi sarà sempre una nostra priorità», ma parla anche della necessità di «cominciare a pensare e organizzare un nuovo centrodestra che vada oltre Berlusconi».

E così l'unica certezza è che da via dell'Umiltà, rispetto ai toni drammatici usati dall'ex premier, ieri sera è arrivata una frenata: «Fermatevi finché siete ancora in tempo», si chiede in una nota al Pd, avvertendo - nel caso si fossero fraintese le parole di Berlusconi - la disponibilità alla trattativa, ad un governo di emergenza c'è ancora. Insomma, non è già la guerra, non è quella sorta di «non abbiamo più niente da perdere» che sembra aver colto Berlusconi. Nel Pdl si ragiona di passi da fare per limitare i danni, di cosa andare a proporre realisticamente al capo dello Stato, sia che nasca sia che fallisca un governo di sinistra.

Il primo obiettivo diventa quindi la sopravvivenza. Mentre si votano i capigruppo - uno più di lotta, Brunetta, uno più istituzionale come Schifani - si riflette su quello che si andrà a dire a Napolitano nelle consultazioni. La ragionevole certezza è che la Lega, alla fine, non farà scherzi: «Maroni mi ha assicurato - dice un ex ministro - che non ci saranno scherzi, che ha interesse a rilanciare il partito e che per questo non può prestarsi a nessun inciucio».

Il ragionevole obiettivo è arrivare a un'intesa non punitiva sul prossimo capo dello Stato, magari - se Bersani fallisse - con un governo di transizione che porti in qualche mese a votare e che veda fuori dai giochi Monti («Inviso ormai sia a noi che al Pd») e affidato alla Cancellieri. Un governo con appoggio esterno delle forze responsabili, che permetta di riorganizzare le truppe e magari lanciare nuove parole d'ordine, e una leadership non più solo berlusconiana.

Nel frattempo, la via più percorribile perché il Paese tenga e a tutti sia assicurata agibilità democratica è sempre considerata quella della conferma di Giorgio Napolitano, allo stato forse unica soluzione possibile e sicuramente auspicabile per Berlusconi e tutto il Pdl.

Una soluzione che può arrivare solo all'ultimo minuto, ma che verrà prospettata al capo dello Stato dalla delegazione del partito che salirà al Quirinale.
Per questo il clima deve restare acceso, i toni farsi forti, ma senza tracimare. La via che passa tra la sopravvivenza e l'irrilevanza è strettissima, e nel Pdl senza armi atomiche da usare nessuno vuole deragliare.

 

 

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