IL CANE DA 6 A 4 ZAMPE - ORA CHE DESCALZI GUIDERA' L'ENI, IL MERCATO SI ATTENDE UN'ACCELERAZIONE SULLE DISMISSIONI DA 9 MILIARDI ENTRO IL 2017 GIA' PROGRAMMATE. TRA QUESTE QUELLA DEL GIACIMENTO IN MOZAMBICO

Celestina Dominelli per ‘Il Sole 24 Ore'

La strada è già tracciata nel piano industriale: Claudio Descalzi, indicato come successore di Paolo Scaroni al vertice dell'Eni, non potrà quindi permettersi troppe deroghe rispetto a quella tabella di marcia. Ma, su alcuni dossier, il mercato si attende un primo, deciso, segnale per cominciare a intravedere l'ambiziosa crescita del flusso di cassa operativo annunciata a metà febbraio: dagli 11 miliardi di euro del 2013 a una media annua di 15 miliardi nel 2014-2015 per arrivare a 17 miliardi entro il 2017.

E una spinta fondamentale in questo senso dovrà arrivare proprio dall'E&P, la divisione che Descalzi guida dal 2008 (dalla quale si attende una crescita produttiva organica del 3% medio annuo fino al 2017, e del 4% entro il 2023, anche grazie a nuovi successi nell'esplorazione) e dalle programmate dismissioni (9 miliardi entro il 2017, in cui sono inclusi i 2,2 miliardi derivanti dall'avvenuta cessione di Artic Russia).

In ballo c'è innanzitutto la vendita di un ulteriore pacchetto del mega-giacimento del Mozambico (dopo il trasferimento del 20% ai cinesi di Cnpc) che potrebbe ora subire un'accelerazione dopo il via libera del governo di Maputo. Sul piatto dovrebbe finire fino al 15% dell'Area 4, che vorrebbe dire un incasso di almeno 4 miliardi di euro.

Una trattativa ancora non c'è, ma l'advisor incaricato è già al lavoro e gli appetiti non mancano, anche tra le "big oil", sebbene l'Eni, come hanno lasciato più volte intendere gli stessi vertici, preferirebbe una società attiva nel settore del gas. Tra le dismissioni potrebbe rientrare poi anche Saipem.

Nelle scorse settimane è stata smentita l'esistenza di un negoziato, dopo le indiscrezioni su un presunto interesse dei norvegesi di Subsea 7, ma gli asset della perforazione della controllata (che, secondo alcuni report recenti, varrebbero 4,5 miliardi di euro) fanno gola a molti e un deconsolidamento è visto con favore dal mercato.

Tra i primi punti in agenda, Descalzi troverà poi le rinegoziazioni dei contratti sul gas a lungo termine che si punta ad allineare alle condizioni di mercato entro il 2016. Di recente Scaroni aveva annunciato di voler imprimere uno sprint al confronto con i russi di Gazprom (poi dovrebbe essere la volta dell'algerina Sonatrach e dei libici di Noc), per chiudere la partita «entro aprile».

Ora, però, il passaggio di testimone con Descalzi potrebbe far slittare questo traguardo. Anche se, su questo fronte, l'Eni non può concedersi troppi tentennamenti visto che le rinegoziazioni condotte finora a tambur battente hanno portato molti vantaggi alle casse del Cane a sei zampe: 4 miliardi sui risultati della gas and power nel 2013 e ulteriori benefici per 2 miliardi l'anno sono attesi da qui al 2016.

Certo, lo scenario di mercato italiano ed europeo, dove pesano, e non poco, gli effetti della crisi tra Russia e Ucraina, non è facile. E Descalzi dovrà destreggiarsi tra l'asse con Mosca, che continuerà a essere cruciale per il business del Cane a sei zampe, e quello con gli Usa, rafforzatisi grazie alla rivoluzione dello shale gas su cui l'Eni di Scaroni ha scommesso parecchio. Senza dimenticare però che, nel breve-medio periodo, il gas di scisto sarà un'opzione difficilmente percorribile e dunque all'ad futuro toccherà, come suggeriva anche ieri il Financial Times, «navigare attraverso le relazioni turbolente con la Libia e l'Algeria (due dei nostri fornitori storici, ndr)» soprattutto se le tensioni in Ucraina dovessero subire un escalation.

In Libia, dunque, bisognerà mantenere la posizione in termini di produzione visto che l'Eni è riuscita a riavvicinarsi ai livelli pre-crisi (oggi l'asticella è a 250mila barili di olio equivalente al giorno) ma dovrà fare i conti con la perdurante incertezza politica.

Descalzi dovrà poi sicuramente sciogliere il nodo della Nigeria (dove continuano i furti di greggio con 60mila barili persi al giorno per atti criminali) e assicurarsi che anche in Iraq vengano sbloccati alcuni contratti: due in particolare sono ancora in stand by dopo che il governo di Baghdad ha accordato il disco verde a tre intese - l'ultima con Alstom giusto qualche giorno fa - che valgono complessivamente qualcosa come 2 miliardi di dollari.

Per non dire di Kashagan su cui sono puntati anche i riflettori delle agenzie di rating. Lì il consorzio, di cui fa parte anche l'Eni, è in attesa dei risultati delle indagini sulle cause della fuoriscita di gas che ha bloccato il mega-giacimento petrolifero nel mar Caspio. Gli esiti dell'ispezione dovrebbero arrivare entro la fine di aprile dopo svariati rinvii che rendono complicata qualsiasi previsione.

«L'avvio di Kashagan è un grande successo di cui dobbiamo andare fieri, non solo come Eni, ma come italiani», aveva detto proprio Descalzi l'11 settembre 2013, nel giorno dell'estrazione del primo greggio. Poi, appena un mese dopo, sono arrivati i problemi tuttora irrisolti.

 

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