CONTE IN CUL DE SAC - LA MAGGIORANZA C’È, GRAZIE A TRE SENATORI A VITA CHE, COME NOTO, NON PARTECIPANO ALLA QUOTIDIANITÀ DELLA VITA PARLAMENTARE E AI NOVELLI SCILIPOTI, MA NON LA STABILITÀ. PERCHÉ CON QUESTI NUMERI È PRESSOCHÉ IMPOSSIBILE GOVERNARE IN COMMISSIONE E IN AULA. PERCHÉ CON QUESTO QUADRO È DIFFICILE PENSARE ANCHE A UN PROFONDO RIMPASTO SENZA IL RISCHIO CHE, MOSSA UNA CARTA, CADA TUTTO IL CASTELLO - MEDIATICAMENTE PARLANDO, RENZI HA PERSO, PERÒ POLITICAMENTE INCASSA IL RISULTATO PARZIALE…
Alessandro De Angelis - https://www.huffingtonpost.it/entry/conte-una-fiducia-piccola-piccola_it_60075f6dc5b6ffcab9687072?utm_hp_ref=it-homepage
giuseppe conte e i ministri durante l intervento di renzi in senato
La fotografia della notte, eccola: la macchina del premier, arrivata sotto palazzo Madama, spegne i fari, perché Giuseppe Conte, atteso, è ancora dentro il Senato mentre è contestato il voto di due senatori, l’ex Cinque stelle Lelio Ciampolillo e Riccardo Nencini di Italia viva, che esprimono il loro “sì”, ma all’ultimo minuto utile, dopo un’ora e un quarto in cui le operazioni di voto erano iniziate.
Segno che il suk è rimasto aperto quasi oltre l’orario consentito. Poi, livido in volto, Giuseppe Conte sale in macchina di corsa, sbattendo la portiera e scompare nella notte del governo.
Diciamo le cose come stanno: c’è la fiducia, con 156 voti, ma non la stabilità. Perché con questi numeri è pressoché impossibile governare in commissione e in Aula. Davanti al governo c’è un gigantesco pantano, in grado di aumentare, se possibile, un immobilismo che dura da mesi. Già quota 161, la maggioranza assoluta, sarebbe stata un serio problema politico, in termini di solidità e coesione.
Così è mero velleitarismo pensare di poter perseguire ambiziosi disegni riformatori, in un clima peraltro avvelenato dalle modalità in cui questa votazione è avvenuta. L’istituzionalizzazione di un suk, che nella giornata di oggi ha raggiunto il parossismo. Parlamentari “massaggiati” per tutto il giorno, che compaiono e scompaiono, inviti al cambio di casacca, col premier che, nelle repliche tenta di sedurre quelli in bilico promettendo la qualunque.
Sulla carta la maggioranza c’è, grazie a tre senatori a vita che, come noto, non partecipano alla quotidianità della vita parlamentare e ai novelli Scilipoti che, paradossi della storia arrivano anche da Forza Italia: Maria Rosaria Rossi, regina del “cerchio magico” del Cavaliere ai tempi d’oro e Andrea Causin, novello “tarzan” dei cambi di partito, già nel Ppi, Scelta Civica, poi Forza Italia ora chissà forse come nel Monopoli tornato alla casella di partenza. Ma una maggioranza politica non c’è più. E i numeri raccontano una franca slavina e l’inizio di una stagione di logoramento, proprio nell’ora che richiede l’intelligenza di un grande disegno e il cuore per perseguirlo.
La giornata di oggi segna una cesura netta, tra un prima e un dopo. Cesura che ha il volto di Domenico Scilipoti, l’originale, piombato nel salone Garibaldi e godersi la riabilitazione postuma, mentre le sue copie correvano in soccorso a chi allora, con mille buone ragioni, lo aveva lapidato in quanto simbolo del trasformismo.
Nella polvere del suk si celebra il trionfo della doppia morale di chi considera disdicevole il trasformismo quando riguarda gli altri e lo persegue per salvare il proprio potere, compresi i “professionisti della purezza”, rinserrati nella stanze dei bottoni come in una scatola di tonno.
Vale tutto, compresa la senatrice Sandra Lonardo, che veniva chiamata lady Mastella, valgono quelli che stavano con Berlusconi, gli espulsi dal Movimento perché incompatibili per il codice etico, indultato pure quello. In situazioni analoghe e a parti invertite, basta digitare su Google, compaiono dichiarazioni al vetriolo di Luigi Di Maio sul “mercato delle vacche”.
Non è il disegno su cui il capo dello Stato aveva concesso la verifica parlamentare, perché non c’è un nuovo gruppo europeista, liberale, socialista che entra in maggioranza, ma un soccorso di singoli. E, proprio per questo, con questi numeri e questo quadro è difficile pensare anche a un profondo rimpasto senza il rischio che, mossa una carta, cada tutto il castello.
Mediaticamente parlando, Renzi ha perso, però politicamente incassa il risultato parziale, si vedrà al primo voto utile, di tenere la maggioranza sul filo, in un clima da pentapartito declinante. È chiaro che Renzi non ha avuto la forza di far cadere il governo, ipotesi accarezzata eccome, aspettando fino all’ultimo prima di votare. Perché se avesse votato “no” avrebbe perso per strada un pezzo del suo gruppo. Però la situazione dei 156 voti del governo, i 140 dell’opposizione e i 16 di Italia Viva dà il senso di una tela slabbrata.
Il governo, nato 14 mesi su presupposti ben più ambiziosi, entra in un contesto imprevedibile, vittima delle proprie macchinazioni. Perché il “raccattare tutto”, l’equilibrismo delle parole, l’assecondare appetiti e ambizioni, non è una linea, né tantomeno una visione dell’Italia.
Legittimo continuare, incassata la fiducia nei due rami del parlamento. Prevedibile il rischio che questa esperienza, che nella pandemia ha trovato un ubi consistam, nella pandemia si consumi, nella misura in cui la realtà chiede solidità di governo.
La crisi non è finita, anzi si avvita, trascinandosi fino al semestre bianco, quando l’impossibilità di uno sbocco elettorale renderà lecito tutto. E non è finito il suk, che riapre già domattina con la ricerca di altri parlamentari per “stabilizzare” la maggioranza.
Anzi, la giornata di oggi fa compiere un salto di qualità, squadernando una non banale questione democratica, perché l’ennesima capriola trasformista di un premier non eletto dal popolo, avviene in un Parlamento non più specchio del paese e superato, nella sua “forma”, da una legge costituzionale che taglia le cosiddette poltrone. L’Italia sta da una parte. Il Palazzo dall’altra. E non si parlano.