GIUSTIZIA TURCA PER DEL TURCO - DALLE “PROVE SCHIACCIANTI” (MAI SCOVATE) A UNA VITA “SCHIACCIATA”: L’INGIUSTIZIA DI OTTAVIANO DEL TURCO GRIDA DOLORE E RABBIA

Pierluigi Battista per il Corriere della Sera

Chi non ha visto l'intervista-evento che Ottaviano Del Turco ha rilasciato a Marco Pannella nella trasmissione «Confessione Reporter» forse non riesce a rendersi pienamente conto dell'ingiustizia patita dall'ex presidente dell'Abruzzo.

«Ex» perché Del Turco, dopo essere stato prelevato all'alba dalla sua abitazione come si fa con i peggiori malfattori, e con i giornalisti già avvertiti dell'«eccellente arresto» ad aspettarlo in manette sotto casa, come è solito fare in questo Paese sprofondato nell'inciviltà giuridica, non è più al suo posto nell'attesa di un processo che dopo cinque anni da quell'arresto è ancora ai primi passi.

Si dice sempre che bisogna difendersi «nel processo» e non «dal processo». Giusto. Ma non si dà mai sufficiente spazio alle assurdità che si consumano senza che l'opinione pubblica reagisca con decisione. Al momento dell'arresto di Del Turco, il capo degli inquirenti si è subito vantato delle «prove schiaccianti» che avrebbero inchiodato il politico appena messo ai ceppi.

«Schiaccianti? E come no: hanno dovuto chiedere ben due proroghe di indagini per cercare, senza nemmeno trovarlo, il corpo del reato. Non c'è traccia della tangente che Del Turco avrebbe, secondo il suo principale accusatore già invischiato in controversi affari di cliniche private, pagato e depositato, mimetizzato, in una busta di mele. Non ce n'è traccia nei conti bancari.

Non ce n'è traccia nei documenti acquisiti con le rogatorie internazionali. Non ce n'è traccia nell'acquisto di immobili. «Prove schiaccianti». Di schiacciante, sinora c'è stato il carcere di Del Turco, i mesi di arresti domiciliari, l'obbligo di non oltrepassare la linea proibita della sua residenza, i tempi pazzeschi per arrivare a un processo. E tutto questo mentre, con le dimissioni dalla presidenza dell'Abruzzo, una carriera politica è già stata stroncata, indipendentemente da eventuali, future sentenze di condanna.

Poi il processo è arrivato e si è scoperto che quelli delle «prove schiaccianti» non avevano nemmeno controllato le date delle foto scattate dall'accusatore di Del Turco e quelle dei pedaggi autostradali a cui l'accusa aveva annesso una grande importanza. È stata la difesa a ricostruire la sequenza temporale. Ma tutto questo è avvenuto a cinque anni da quell'arresto sbandierato come una grande operazione di pulizia.

La vita di Del Turco è già stata manipolata e ancora siamo in attesa delle «prove schiaccianti» vantate non in una sede giudiziaria ma in una conferenza stampa.

L'Italia è un Paese che ha smarrito l'abc dello Stato di diritto. Chi sbaglia non paga, ma viene premiato. Come i persecutori di Enzo Tortora, i Diego Marmo, i Lucio Di Pietro, i Felice Di Persia, che hanno proseguito un'eccellente carriera (uno di questi fu ribattezzato da giornalisti compiacenti nientemeno che «il Maradona della giustizia»). Per chi si difende «nel» processo, invece, la solitudine e prezzi umani altissimi.

 

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