CANTONATE DA BAR – PIÙ CORROTTA ROMA O MILANO? LE INCHIESTE SU UNICREDIT, FORMIGONI, MARONI, MANTOVANI, PROCURA DI MILANO E L’EX VICECOMMISSARIO EXPO ACERBO SUGGERISCONO DI STENDERE UN VELO PIETOSO ANCHE SUL DUOMO – E CANTONE PROSEGUE NELLA RENZIZZAZIONE: “POTREI ANDARMENE DALL’ANM”

PISAPIA CANTONE PISAPIA CANTONE

1.CANTONE, STO RIFLETTENDO SE USCIRE DALL' ANM

 (ANSA) - ROMA, 20 OTT - "Sono rimasto perplesso dalle critiche arrivate dall'Anm, come un pugile che ha avuto un pugno e non si è ripreso e volevo anche fare un gesto eclatante: uscire dall'Anm. Ci sto riflettendo, perché l'Anm è anche casa mia. Io non ho mai fatto politica e sono sempre stato indipendente". Così il presidente dell'Anticorruzione Raffaele Cantone a Radio 24.

 

 

2. MA NON ESISTONO PRIMATI DI BUONA CONDOTTA

Federico Geremicca per “la Stampa

 

C'è stato un tempo - e parliamo di storia, non di preistoria - in cui Milano ha dovuto portare, suo malgrado, la croce di città simbolo di ogni male. Era la «Milano da bere», la culla di Mani pulite, bella vita e tangenti, valigette gonfie di contanti che entravano piene e uscivano vuote da certe segreterie politiche a due passi dal Duomo.

CANTONE RENZICANTONE RENZI


Sì, forse si esagerò nel mettere una intera città sul banco degli imputati - corrotti alcuni, corrotti tutti - e Milano infatti pagò un prezzo pesante tanto sul piano dell' immagine che - più concretamente - sul tavolo dei suoi rapporti e dei suoi commerci internazionali. Ecco, ripetere oggi lo stesso errore con Roma - dentro la bufera di Mafia Capitale e ad un passo dall' avvio del Giubileo - sarebbe incomprensibile, oltre che imperdonabile: un modo per confermare che cronaca e storia, in questo Paese, continuano a insegnare poco o nulla...


Nessuno può sapere cosa intendesse davvero dire, ieri, Raffaele Cantone con quel suo paragone tra Milano che sale e Roma che scende: forse l' obiettivo era sul serio, come ha poi chiarito, pungolare la Capitale, spingerla ad un riscatto, ad una reazione. Intendiamoci: l' affermazione circa l' assenza di anticorpi contro mafia e malaffare può risultare ingenerosa, ma ci può perfino stare.
 

renzi cantonerenzi cantone

Quel che non convince, è la spiccia contrapposizione tra «capitale morale» e «capitale del malaffare»: perché oltre che inutile - e certo dannosa - risulta poco fondata e scarsamente veritiera.


Nessuno può rallegrarsene, ma anche Milano e la Lombardia galleggiano su cumuli di scandali difficili da dimenticare. L' ultimo è di appena due settimane fa, con le manette scattate ai polsi dell' ex vicrepresidente della Regione, nonché assessore alla Sanità. E prima le spese pazze dei consiglieri (dalla Nutella alle mutande verde-Lega...), i diamanti di Belsito e del Carroccio, il caso-Penati, gli scandali e le inchieste che hanno travolto Roberto Formigoni... In più, non c'è analisi o rapporto di istituzioni e autorità competenti che non ricordi e confermi la penetrazione capillare di cosche e famiglie nel tessuto economico (e politico) della regione più ricca e produttiva d' Italia.
 

MARIO MANTOVANI E CASEROMARIO MANTOVANI E CASERO

Non c'è da rallegrarsene, ma le cose stanno così. E se lo spunto per le affermazioni del presidente Cantone arriva - invece - dallo straordinario successo dell' Expo, anche qui un po' di memoria non guasterebbe: si è stati di fatto costretti ad azzerare tutto e ricominciare da capo, quasi militarizzando la gestione degli appalti per evitare una figuraccia internazionale. Bene, naturalmente, averlo fatto. E ottimo esserci riusciti. Ma certo, non sarebbe stato necessario in una città che avesse già davvero (ed è l' augurio di tutti) riconquistato il proprio ruolo di «capitale morale» del Paese.
 

MARIO MANTOVANI ROBERTO MARONIMARIO MANTOVANI ROBERTO MARONI

Roma e Milano, per altro, sono troppo diverse per prestarsi a paragoni così spericolati: lo sono per storia, per tessuto socio-economico e perfino per vocazione. In fondo, oggi le due città sembrano unite soprattutto - se non soltanto - dalla paradossale vicenda che riguarda i rispettivi primi cittadini: uno che vuole andarsene e al quale molti chiedono in ogni modo di restare, ed un altro che dovrebbe andarsene e invece vuole a tutti i costi restare.

UMBERTO BOSSI E BELSITO UMBERTO BOSSI E BELSITO


Vicende paradossali, dicevamo, intessute intorno a due incontrollabili sindaci espressione della «società civile», e soprattutto nient' affatto concluse. Oggi (come da settimane, in verità) in primo piano ci sono soprattutto le dimissioni-thrilling di Ignazio Marino, il sindaco-marziano che resiste, che non vuol lasciare e che sta sfidando apertamente il suo partito di provenienza - il Pd - ed il suo segretario.
 

ROBERTO MARONI E Ellen CavazzaROBERTO MARONI E Ellen Cavazza

In un modo o nell' altro - è vero - il destino di Marino sembra segnato: ma col passar dei giorni il clima intorno a lui sembra cambiare. Non è solo per quel sentimento quasi naturale che spesso porta a simpatizzare per il più debole nella contesa in atto (e che sia lui il più debole, con tutto quello che gli sta cascando addosso, non c' è dubbio) ma per un elemento che ha a che fare con la politica. Anzi, con la «nuova politica».


Il punto, in fondo, è che non si può esaltare una legge elettorale che mette al centro il rapporto diretto tra elettori e sindaco e poi fare come se non esistesse; e a maggior ragione, non si può scegliere il proprio candidato attraverso le primarie (altra chiamata in causa dei cittadini) e comportarsi come se quel pronunciamento non ci fosse mai stato.
 

La vicenda di Roma, insomma, dimostra che è difficile far rientrare dalla finestra (il potere dei partiti) quel che si era fatto uscire dalla porta (il voto dei cittadini nelle primarie e nelle secondarie...). Ci si può provare, certo: col rischio di ritrovarsi, però, nel pantano in cui si è. Perché contro il malaffare, magari, Roma anticorpi non ne ha: ma furbetti e furbacchioni sa riconoscerli in un istante...

ANTONIO ACERBOANTONIO ACERBO

 

 

3. GIUNTA PISAPIA INDENNE

Paolo Colonnello per “la Stampa”

 

«Piena e totale fiducia nella magistratura» non è mai stata una frase di rito. Non per Giuliano Pisapia, avvocato penalista di fama prima ancora che sindaco di una città che stando alle dichiarazioni del presidente dell' anticorruzione Cantone si è riconquistata i galloni di «capitale morale d' italia», primato perduto nel febbraio del 1992 quando esplose «Mani Pulite» che rivelò l' esistenza di una città dedita alle tangenti: per recuperare terreno c' è voluta una rincorsa durata 23 anni.

 

Un' altra epoca, se si pensa che persino gli ultimi recentissimi scandali di Milano, l' arresto di quattro funzionari legati al settore dell' edilizia pubblica - uno dei quali trovato con dei lingotti d' oro nascosti in casa, un altro invece ripagato con un I-pad - riguardano funzionari e dirigenti nominati dalla precedente giunta, quella di Letizia Moratti. Così come quell' Antonio Acerbo, ex megadirigente comunale diventato poi subcommissario di Expo, condannato a tre anni (patteggiati) e a un risarcimento di 100 mila euro per aver pilotato gli appalti sulle Vie d' Acqua, progetto mai compiuto e dimenticato nella grande ubriacatura dovuta al successo dell' Esposizione Universale.

PALENZONAPALENZONA

 

Che pure ha relegato nell' oblio scandali e scandaletti nati dalla fretta necessaria per concludere le opere di Expo, riassunti nella formula della cosiddetta «cupola degli appalti», per ora ferma ai quattro pensionati della tangente (capitanati da Frigerio, Grillo e Greganti) e ad alcuni imprenditori, dalla Maltauro alla Mantovani, coinvolti in una più vasta ragnatela che passa dal Mose di Venezia alla costruzione di Palazzo Italia.

 

In tutto ciò la giunta di Pisapia, in carica da quattro anni, è riuscita a passare indenne, tranne per l' ombra della vendita Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa, ceduta in buona parte dal Comune di Milano al fondo gestito dal manager Vito Gamberale per un totale di 385 milioni di euro.

CAMERA ARDENTE DI GERARDO DAMBROSIO ALFREDO ROBLEDO CAMERA ARDENTE DI GERARDO DAMBROSIO ALFREDO ROBLEDO


Vicenda che fu anche alla base della dura battaglia tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l' allora suo aggiunto Alfredo Robledo. «Ombra» spazzata via da una sentenza di proscioglimento per Gamberale che escluse accordi irregolari per truccare la gara. Ben altra musica si è respirata invece nella Regione governata prima da Roberto Formigoni, travolto dallo scandalo sui rimborsi per la sanità, e poi dal leghista Roberto Maroni, coinvolto nella vicenda delle raccomandazioni di due collaboratrici. Per finire con l' arresto recentissimo dell' ex vicepresidente della Regione, Mario Mantovani, il «Faraone» di Arconate.

EDMONDO BRUTI LIBERATI EDMONDO BRUTI LIBERATI

 

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