DUE DEBOLEZZE NON FANNO UN PRESIDENTE - DOPO IL RITIRO COATTO DI SANTORUM, L’ELECTION DAY SI GIOCHERÀ TRA OBAMA E ROMNEY - “ENTRAMBI TROPPO DEBOLI”, SECONDO GLI ANALISTI, PERCHÉ L’ESITO SIA SCONTATO - IL SUCCUBE DI MICHELLE HA GUADAGNATO IN POPOLARITÀ MA GLI AMERICANI ANCORA NON SI FIDANO DELLA SUA GESTIONE DELL’ECONOMIA, MITT PAPEROMNEY PAGA LO SCOTTO DELLO SCANDALO DEI CONTI OFF SHORE…

Maurizio Molinari per "la Stampa"

Il presidente debole contro lo sfidante antipatico: la gara per la Casa Bianca che si concluderà nell'Election Day del 6 novembre vede ai nastri di partenza due leader alle prese con la necessità di rimediare alle rispettive vulnerabilità.

Nella domenica di Pasqua la Casa Bianca ha diffuso l'immagine di Barack Obama mentre si reca a messa con moglie e figlie nella cattedrale di St John's a Washington mentre Mitt Romney si è fatto riprendere circondato dai nipoti sulla spiaggia californiana di La Jolla nel comune tentativo di trasmettere l'immagine di leader circondati da affetti e valori di famiglia.

Ma in realtà per entrambi è stata una Pasqua sotto assedio: il presidente democratico guida una poderosa macchina elettorale che non riesce a convincere i super-donatori a versare le cifre a molti zeri mentre lo sfidante repubblicano deve difendersi dalle martellanti accuse sul possesso di conti in Svizzera e alle Isole Cayman che lo fanno apparire sempre più ricco e distante dal ceto medio che deciderà l'assegnazione della Casa Bianca.

Un accurato sondaggio «Washington Post-Abc» riassume in maniera spietata le difficili situazioni degli opposti campi: Obama è tornato al 50 per cento di popolarità ma il 66 per cento degli americani non si fida della sua gestione dell'economia mentre Romney non deve difendersi dai sospetti sulla fede mormona bensì da quel 74 per cento degli elettori che lo definisce «non simpatico».

Se a Barack mancano i risultati concreti per dimostrare agli elettori che la sua presidenza ha sconfitto la crisi e rilanciato la crescita, Romney non riesce a sollevare emozioni positive attorno alla sua candidatura come dimostra il fatto che nelle primarie, dal Wisconsin alla Florida, è stato votato dagli elettori quasi sempre perché «il candidato che ha più possibilità di vincere» e non quello più vicino. Anche i partiti sono malconci: Obama ha perso il sostegno di molti liberal che speravano nella sconfitta della disoccupazione e nella chiusura di Guantanamo, come Romney si trova a guidare un partito lacerato fra moderati e conservatori.

Quanto sta avvenendo nei rispettivi quartier generali riassume le strategie con cui gli sfidanti tentano di spuntarla. Al One Prudential Plaza di Chicago il Team Obama guidato dallo stakanovista Jim Messina accumula informazioni su ogni potenziale elettore: dati personali, preferenze nei consumi, email, social network frequentati. L'intenzione è raccogliere da tutti quanti più dollari possibili - la donazione minima è 3 dollari - per poi portare ogni sostenitore a votare nella convinzione che i repubblicani non potranno riuscire a costruire in pochi mesi una presenza altrettanto capillare in ogni contea dei 50 Stati.

Nel palazzo in granito al 585 di Commercial Street di Boston invece lo stratega Stuart Stevens guida un Team Romney che pianifica la più anomala delle campagne repubblicane, ovvero puntare a vincere conquistando gli Stati che in genere votano per i democratici come New Jersey, Massachusetts, Wisconsin e New Hampshire. Sono questi i motivi che portano a concludere, come fa il politologo Larry Sabato dell'Università della Virginia, che «nessun risultato è scontato» in quanto le incertezze e debolezze sono tali da rendere possibile qualsiasi esito: da una conferma a valanga di Obama ad una vittoria di Romney al termine di un serrato testa a testa. Da qui l'attenzione per ogni singola mossa degli sfidanti. A cominciare dalla scelta del vice da parte di Romney perché svelerà la tattica prescelta per lanciare l'assalto alla Casa Bianca.

 

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