dario franceschini mario draghi

GLI UNICI SCAZZI ORMAI DRAGHI SE LI CONCEDE CON FRANCESCHINI - IN CONSIGLIO DEI MINISTRI, SU-DARIO E SUPERMARIO SI SONO RINTUZZATI: "CERTE COSE LE ABBIAMO FATTE NELLA FASE PRECEDENTE", "NON SIAMO PIÙ NELLA FASE PRECEDENTE E SE SI PENSA CHE IL 2020 SIA STATO UN ANNO STRAORDINARIO, AUGURI" - VERDERAMI: "NON SONO MAI CITATI CONTE, IL GOVERNO GIALLOROSSO, I DPCM: NON CE N'ERA BISOGNO. È STATO UNO SPETTACOLO. E LO SPETTACOLO PROSEGUIRÀ PER QUALCHE SETTIMANA, FINO ALL'ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO…"

Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"

 

dario franceschini foto di bacco

L'altroieri nel governo sono andate ancora una volta in scena la retorica dello scontro, l'escalation delle minacce, le dichiarazioni ultimative. In realtà sulle misure anti-Covid nessun partito voleva e poteva arrivare alla rottura, perché - provocandola - avrebbe indebolito il difficile processo politico che dovrebbe portare all'accordo sul Quirinale. È vero che stavolta il premier non ha chiuso la vertenza con il tradizionale «andiamo avanti» con cui di solito pone fine ai conflitti nella sua larga maggioranza, lasciando così spazio alla tesi secondo la quale starebbe ormai pensando solo al Colle.

DRAGHI DI MAIO

 

Se non fosse che «già sulla giustizia - come ricorda un ministro - non forzò la mano per agevolare l'intesa con i grillini». E allora, dentro una giornata caotica, l'unico reale segno di tensione si è registrato durante l'ennesimo duello tra Draghi e Franceschini, questo sì rivelatore del conflitto tra due mondi inconciliabili. Come al solito, tutto si è consumato in pochi istanti. In punta di lama. Il ministro alla Cultura ha usato l'inciso del suo intervento per lasciar cadere un «certe cose le abbiamo fatte nella fase precedente».

 

draghi franceschini

Alla botta è seguita la risposta: «Non siamo più nella fase precedente e se si pensa che il 2020 sia stato un anno straordinario, auguri». Mai citati Conte, il governo giallorosso, i dpcm: non ce n'era bisogno. È stato uno spettacolo. E lo spettacolo proseguirà per qualche settimana, fino all'elezione del capo dello Stato. Dopo sì che cambierà tutto, anche se nessuno ancora sa come.

 

giancarlo giorgetti foto di bacco

Alla Camera, durante l'ultimo voto di fiducia, il ministro Giorgetti si era limitato a descrivere ad alcuni deputati leghisti quale sarebbe stato il bivio: «Siccome non possiamo fare a meno di Draghi, bisognerà scegliere. Se resterà a palazzo Chigi avrà bisogno di una maggioranza stabile, che gli consenta di prendere delle decisioni. Altrimenti si sceglierà di eleggerlo al Quirinale, garante per l'Italia nei rapporti internazionali a prescindere dalla maggioranza che governerà. Ma bisogna scegliere, perché così non si va avanti».

 

lorenzo guerini

La chiusa del titolare allo Sviluppo Economico, oltre ad essere un avviso di fine corsa, era (anche) un messaggio ai parlamentari, per accomunarli alla causa e salvaguardare il loro interesse : il completamento della legislatura. Si sa quale strada prenderebbe Giorgetti, ma a quel bivio la Lega per il momento resta inchiodata: perché Salvini non si fida a pieno di Draghi e perché deve evitare di far saltare il banco con Berlusconi. Il tema però è quello.

 

dario franceschini

Non a caso il dem Guerini, nei giorni scorsi, ha descritto lo stesso bivio ai dirigenti di Base riformista. «Serve una soluzione politica», ha esordito il ministro della Difesa: «Perché il tema non è il presidente della Repubblica, è il governo. E serve un governo capace di assumere decisioni nell'ultimo anno di legislatura. Se chiedere a Draghi di restare a Palazzo Chigi o stabilire di votarlo per il Quirinale, è una questione che si risolve con un'intesa tra partiti. Io penso che i partiti abbiano questa consapevolezza e che ci sia il tempo per realizzare l'accordo».

 

giancarlo giorgetti foto di bacco (4)

Sono due ragionamenti identici, che non è detto perseguano la stessa strada ma che mirano in qualche modo a restituire alla politica il suo primato. Altrimenti la Corsa si trasformerebbe in una gara ad eliminazione dalla quale nessuno uscirebbe vincitore. E il rischio che la soluzione non si trovi è percepito, perché l'intesa sul metodo dovrà poi tradursi in una intesa sul merito. Esercizio difficile, per le troppe varianti e i troppi interessi contrapposti che vanno conciliati.

 

Perciò in Consiglio dei ministri nessuno voleva rompere: né la Lega, con i suoi penultimatum; né il Pd, che ha lasciato filtrare sui media la sua linea sull'obbligo vaccinale, senza mai aver forzato sulla materia durante la riunione. «In realtà la grande tentazione dei partiti - secondo un esponente dell'esecutivo - è ridurre l'esperienza Draghi a una parentesi». Intanto, riposte le bandierine propagandistiche, sono attesi alla prova più difficile: la soluzione del rebus Quirinale-governo.

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