IL “GUARDIAN” DELLA PRIVACY - IL GIORNALE BRITANNICO CONTINUA A FARE LE PULCI A OBAMA: “GLI USA CONTROLLANO METÀ DELLE MAIL MONDIALI”
Marco Zatterin per "La Stampa"
Dopo il Datagate, e la furia di Merkel & Co. per le intercettazioni a tappeto nel vecchio continente, qualcosa sembra cambiato nella strategia americana. «Il Congresso è interessato a rivedere il quadro normativo sulla tutela dei cittadini europei», assicura la responsabile Ue per la Giustizia Viviane Reding, che chiede a Washington di riscrivere in fretta le regole per porre fine a ogni discriminazione.
Del resto, nota la lussemburghese, «i cittadini americani hanno cominciato a chiedersi se, visto che noi erano così controllati, non accadesse lo stesso anche a loro». Invita al dialogo, ma non rinuncia a minacciare la sospensione delle intese esistenti in assenza di progressi.
à il giorno della «spada di Damocle» e dei numeri che fanno pensare. La signora Reding ha presentato il fascicolo di interventi - passato per consenso per la resistenza del membro britannico del collegio europeo, Cathy Ashton - che contiene le 13 raccomandazioni che Bruxelles invia alle autorità a stelle e strisce per rafforzare il funzionamento del «Safe Harbour».
à l'accordo di autoregolamentazione sul trasferimento dati adottato nel luglio 2000. Se non lo dovessero fare, ha spiegato la commissaria a «La Stampa», «siamo pronti a disfare l'intesa», il che spiega la metafora della lama sospesa sulla testa degli americani.
A Bruxelles si soppesa anche all'esito dei lavori della Commissione bilaterale Usa-Ue creata all'indomani delle prime rivelazioni del whistleblower Edward Snowden. L'ex collaboratore statunitense della Agenzia per la sicurezza nazionale statunitense (Nsa) ha denunciato l'enormità dei controlli del suo vecchio datore di lavoro.
Le cifre che emergono sono inquietanti. Gli States ammettono di «acquisire» con la Nsa l'1,6% del traffico web globale, e di «trattare» lo 0,25. Sembra poco. Ma se togliamo il flusso non dati - streaming e downloading - il conto è diverso. La mail scritte sono in America, secondo il «Guardian», il 2,9% dei dati che viaggiano su Internet. Oltre metà costituiscono spam. Ne deriva, fatte le proporzioni, che i servizi Usa potrebbe passare al setaccio la metà dei messaggi di posta elettronica.
Non aiutano le indiscrezioni dell'Huffington Post secondo cui le autorità americane avrebbero studiato le attività online a sfondo sessuale di alcuni «personaggi dalle idee radicali» con l'obiettivo di screditarli. Nessuna conferma, ovviamente. Così Bruxelles si spinge a ricordare «che i servizi segreti non possono agire al di sopra della legge», nemmeno quelli europei, sebbene la materia non sia competenza della Commissione.
Tocca invece occuparsi delle regole. Dunque del «Safe Harbour». à l'«Approdo sicuro» attraverso il quale le imprese americane aderiscono volontariamente a un regime ispirato sulle medesime tutele previste dalla direttiva Ue sulla privacy varata nel 1995. Assicura parità di trattamento, visto che ora gli europei non hanno neanche la possibilità di rivalsa se qualcosa va storto.
La partecipazione evita alle imprese e alle multinazionali a stelle e strisce di esporsi a possibili interventi europei che potrebbero bloccare i trasferimenti di dati. Attualmente è utilizzato da 3246 società .
La Commissione raccomanda agli Usa 13 interventi per essere più giusti e trasparenti. Fra questi, l'inclusione delle clausole di privacy in ogni contratto; la pubblicazione dei nomi delle aziende fuori dall'Harbour; il diritto alla compensazione; una vigilanza ricorrente su una percentuale predeterminate di società aderenti; il chiarimento delle condizioni che consento alle autorità pubbliche di elaborare i dati del Safe Harbour.
«à importante che le eccezioni siano usate in modo appropriato», avverte la Reding. Sennò l'Ue rinuncerà all'Approdo sicuro. E per le imprese americane, fare affari da noi e coi nostri dati (che nel 2011 valevano 315 miliardi) potrebbe diventare una corsa in salita.




