JIHADISTI A STELLE E STRISCE - GLI USA NELL’INCUBO DEL “TERRORISTA FATTO IN CASA”
Maurizio Molinari per LaStampa.it
La firma dei fratelli ceceni Tsarnayev sull'attentato alla maratona di Boston evidenzia come nel dopo -11 settembre 2001 la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale americana viene dal terrorismo interno di matrice islamica, nella duplice versione di «lupi solitari» e militanti affiliati a cellule di Al Qaeda.
Il primo a denunciare tale pericolo è l'esperto di antiterrorismo Steve Emerson il quale, all'indomani del primo attacco alle Torri Gemelle, nel 1993, realizza il documentario «Jihad in America» nel quale descrive l'affermarsi di leader e cellule fondamentaliste nella comunità arabo-musulmana degli Stati Uniti. «I nemici fra noi» è il titolo.
Si tratta di un allarme rimasto in gran parte sottovalutato dalle forze di polizia fino all'11 settembre, quando l'Fbi, nella reazione all'atto di guerra di Al Qaeda decide di adottare una sorveglianza più stretta su moschee e centri islamici attorno alle città più a rischio di attacchi. à così che nel settembre 2002 viene sgominata una cellula jihadista nell'Upstate New York.
Da quel momento il Dipartimento di polizia della Grande Mela crea, su suggerimento di Cia e Fbi, una task force segreta che sorveglia le comunicazioni private di gran parte dei giovani maschi musulmani residenti nell'area compresa fra New York, New Jersey e Connecticut, applicando una versione del controterrorismo fatta di infiltrazioni e trappole che porta a sventare numerosi attentati: dal tentativo dell'afghano-americano Najibullah Zazi di attaccare la metro di Manhattan nel settembre 2009 a quello di Quazi Mohammad Rezwanul Ahsan Nafis, immigrato dal Bangladesh, di far saltare in aria la sede della Federal Reserve nel gennaio 2012.
Si tratta di trame terroristiche di natura assai diversa: Zazi è in contatto con elementi di Al Qaeda in Pakistan, mentre Nafis è un «lupo solitario», che ha organizzato tutto da solo, spinto dall'adesione personale all'ideologia jihadista di Osama bin Laden.
Questi diversi filoni di terrorismo interno islamico si ripetono e si sovrappongono a più riprese. Il 5 novembre 2009 il maggiore dell'Us Army Nidal Malik Hasan, americano-palestinese, uccide 13 commilitoni nella base texana di Fort Hood dopo un prolungato scambio di email con Anwar al-Awlaki, l'imam nato in New Mexico divenuto leader di Al Qaeda in Yemen.
Il primo maggio 2010 il pachistano-americano Faisal Shahzad tenta di far esplodere un'autobomba a Times Squadre, davanti a un teatro affollato di bambini, seguendo le istruzioni ricevute durante alcuni viaggi in Pakistan, che includono l'esplosivo in una pentola a pressione. Il soldato Jason Abdo, americano-giordano veterano dell'Afghanistan, viene fermato nel luglio 2011 mentre prepara un'altra strage di militari, pensata e organizzata in solitudine.
Quando Hasan firma la strage di Fort Hood, Obama si è insediato da pochi mesi alla Casa Bianca e sceglie il basso profilo sui jihadisti americani. Ma con il moltiplicarsi degli episodi John Brennan, suo consigliere antiterrorismo oggi capo della Cia, lo spinge a eliminare Al-Awlaki, principale teorizzatore della guerra contro gli Usa condotta dall'interno.
Un drone della Cia lo uccide il 21 aprile 2011 e da allora l'Fbi ha registrato una brusca diminuzione di complotti jihadisti diretti dall'estero. Resta però il pericolo dei «lupi solitari», che vivono in America ma sono imbevuti di ideologia jihadista al punto da odiare la società in cui vivono. à un universo di singoli che va dai somali-americani di Minneapolis, volontari con gli shabaab a Mogadiscio, ai fratelli ceceni Tsarnayev, studenti di ingegneria e medicina nel Massachusetts. Prevenire le loro azioni è la sfida più difficile perché sono microcellule.
Finora l'Fbi ha scommesso sulla collaborazione con moschee e comunità musulmane per identificare all'origine i personaggi più a rischio, affiancandola con la sorveglianza elettronica modellata sull'esempio di New York. Ma quanto avvenuto a Cambridge dimostra che non basta per neutralizzare i molteplici frutti dell'ideologia della Jihad. L'unico indizio che Tamerland e Dzhokhar avevano lasciato erano infatti alcuni post sui social network favorevoli all'Islam.
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