LETTA SI INSABBIA: NIENTE STOP ALL’IVA E IMU, PDL ALL’ATTACCO E PD INCAZZATO NERO COL PREMIERINO - ORA IL CAINANO HA BUON GIOCO A DIVENTARE LA BANDIERA CONTRO L’EURO-RIGORE

Roberto Mania per "la Repubblica"

Tutti contro Saccomanni. La difficile coabitazione tra Pd e Pdl si scarica sull'ex banchiere centrale, ministro tecnico dell'Economia. L'attacco in pubblico è arrivato, con il loro stile, dai falchi del centrodestra, Renato Brunetta e Renato Schifani, ma il malessere c'è, eccome, anche nelle file dei democratici:

«Saccomanni non può limitarsi a dire che non ci sono le coperture. Deve inventarsi qualcosa. Questo non è un governo tecnico. È un atteggiamento inaccettabile, tanto valeva tenersi Grilli e il governo Monti», si sfogava ieri sera, al termine di una giornata di tensioni, un importante esponente del Pd.

Perché il rischio è che il centrosinistra finisca per interpretare il ruolo dell'ala rigorista della maggioranza lasciando così al centrodestra campo libero nel chiedere politiche sviluppiste, e un cambio di rotta nel rapporto con le autorità di Bruxelles. Un esempio?

Le parole di ieri, durante un colloquio privato con un parlamentare, del leader del Pdl, Silvio Berlusconi: «Noi dobbiamo insistere sull'Iva, sull'Imu, sui giovani. E dobbiamo costringere il governo a fare uno strappo serio con le politiche recessive attuate finora. Ma non sarà facile perché questo è un governo di pavidi».

Dunque il Pdl sta nel governo, ma anche all'opposizione. In costante campagna elettorale, per nascondere le proprie magagne, soprattutto dopo la batosta del "16 a zero" alle amministrative, ha deciso di alzare il tiro per intestarsi le battaglie sulle tasse (Imu e Iva) e sul lavoro.

Pure con l'obiettivo di ricomporre i legami con la sua tradizionale, per quanto delusa, base sociale, a cominciare da quella dei commercianti che non casualmente hanno fischiato due giorni fa alla loro assemblea il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, reo di aver detto quello che tutti nel Pdl sanno bene: le risorse sono scarse, scarsissime. Mentre ci vorrebbero otto miliardi l'anno per abolire la tassa sulle prime case e bloccare l'aumento dell'aliquota dell'Iva dal 21 al 22 per cento dal prossimo primo luglio.

Fabrizio Saccomanni, d'altra parte, l'aveva spiegato dettagliatamente tre sere fa a Palazzo Chigi durante un vertice ristretto con il premier Enrico Letta, il vicepremier Angelino Alfano, e il Ragioniere generale dello Stato,Daniele Franco, convocato per una ricognizione delle cose da fare e dei vincoli finanziari.

Alfano non può non aver informato i suoi anche se poi ieri il capogruppo alla Camera Brunetta, spalleggiato da Schifani, è andato giù duro. A freddo: «Non possiamo sopportare un tale stato confusionale, in un momento delicato per l'economia del nostro
Paese. A questo punto l'unico che può riportare ordine è il presidente del Consiglio, Enrico Letta. Ne va della dignità dell'intero esecutivo».

Alza il tiro, il Pdl, per posizionarsi su una linea border line. Mentre il Pd sa di potersi intestare i provvedimenti sul lavoro, questa volta presumibilmente con il consenso delle parti sociali. L'abbraccio ricercato e plateale di Letta con il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, due giorni fa al Palazzo dei Congressi dell'Eur di Roma, è stato la premessa per l'avvio del dialogo tra il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, e Cgil, Cisl e Uil sul pacchetto giovani. La sponda sindacale, tanto più unitaria, serve anche al partito di Guglielmo Epifani.

Ma al Pd non può bastare il capitolo lavoro. A parte l'Imu, per il cui riordino c'à tempo fino alla fine di agosto, l'eventuale aumento dell'Iva si scaricherebbe su tutta la filiera della nostra distribuzione commerciale, con effetti più pesanti su chi ha meno reddito a disposizione. Anche questo è un pezzo di elettorato di centrosinistra. Da giorni il viceministro dell'Economia, Stefano Fassina, sostiene che non si può togliere l'Imu «alla prima casa di Zio Paperone e colpire famiglie e imprese con l'aumento dell'Iva».

Certo di tempo ce n'è ancora. E a Letta, che ieri ha illustrato al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il cosidddetto "decreto del fare", i democrat rimproverano di aver spezzettato tutte le partite, riducendo al minimo le possibilità di scambio. Per questo sarà soprattutto il premier a dover compiere le scelte. Uscendo da quel che il Financial Times ha definito «la letargia di Letta».

 

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