PD, LA RESA DEI CONTI - LA MAZZATA ELETTORALE APRE LE PRATERIE DEL MALCONTENTO: I DIRIGENTI LAMENTANO DI ESSERE STATI EMARGINATI DA UN BERSANI RINTANATO TRA “GLI EMILIANI” CHE COMUNICA LE DECISIONI “SOLO A COSE FATTE” - IL MAGO DALEMIX REDIVIVO SPONSORIZZA LA SUA “BICAMARALE”: IL GOVERNISSIMO CON IL BANANA - I BERSANIANI SOSTENGONO LA TESI CHE ANCHE CON RENZI SAREBBE FINITA NELLO STESSO MODO…

Carlo Bertini per "la Stampa"

La prima scossa del terremoto, per ora ancora di bassa intensità, viene registrata solo dai sismografi del Pd, ma lascia il segno al punto da far dire sottovoce a qualcuno che «il partito non c'è più se la linea viene decisa in separata sede da una cerchia ristretta, se viene comunicata urbi et orbi alle cinque di sera e se gli organismi dirigenti vengono convocati solo dopo a cose fatte».

E sono in tanti a ritenere che questo modo di procedere in un momento così delicato e cruciale sia «quantomeno un po' bizzarro», nella definizione di Matteo Orfini, che pure del segretario non è certo uno strenuo oppositore, anzi. Tanto per dare un'idea, ieri mattina alle dieci Anna Finocchiaro si presenta a Largo del Nazareno, convinta di trovare qualcuno con cui parlare e trova la sede del Pd ancora deserta, il leader è chiuso altrove in riunioni riservate con «gli emiliani» e la capogruppo stizzita se ne va. Altri arrivano più tardi e non sanno che fare se non raccontare che ci sono dirigenti che fanno anticamera fuori la porta del segretario.

Che certo non deve essere dell'umore migliore se nella affollatissima conferenza stampa pomeridiana, alla domanda di un cronista che gli chiede se abbia pensato a dimettersi in queste ore, risponde con una frase sibillina: «Io non abbandono la nave, posso starci sopra da capitano o da mozzo, ma non la abbandono». E quando gli domandano se non ritenga che con Renzi la vittoria avrebbe potuto essere più netta, allarga le braccia: «Non so, certo può darsi tutto, ma con questi ragionamenti non vorrei oscurare un dato ben più profondo sui motivi di quanto è successo...»

Ecco, il clima è questo e il fatto è che la linea di un governo di minoranza con una sorta di appoggio esterno di Grillo, sponsorizzata da Bersani, non è la sola a tenere banco: c'è chi preferirebbe andare a votare subito senza prestare il fianco a inciuci di nessun tipo, contando sulla carta di una candidatura Renzi; chi ritiene debba essere cercata un'intesa anche col Pdl per un governissimo - e varie fonti identificano in D'Alema il principale sostenitore di questa tesi: che fa però diversi proseliti anche se considerata dagli uomini di Bersani «una linea di minoranza».

E c'è perfino chi sponsorizza un governo affidato alla guida di un esponente di Grillo con l'astensione del Pd. Nella fattispecie si spinge a proporlo un fedelissimo di Franceschini come il toscano Antonello Giacomelli. Quindi non sorprende se la linea ufficiale lanciata dal segretario viene interpretata da molti maggiorenti come una sorta di «ponte» per poi arrivare ad un'intesa allargata anche al centrodestra, con una guida tecnica, che traghetti il paese alle urne dopo aver cambiato la legge elettorale e prese le misure necessarie a tenere a bada i mercati.

In questo clima di gran caos si consuma una giornata già densa di incognite sugli sbocchi futuri e col bicchiere colmo di veleni come nelle migliore tradizioni della sinistra. Nessuno nei conversari privati fa sconti sul fatto che il Pd abbia perso più di 3 milioni di voti rispetto al 2008 e nessuno si nasconde la sconfitta.

Quando alle otto di sera va in scena un megavertice con i big del partito, membri della segreteria e del coordinamento nazionale, tutti i segretari regionali, il leader per prima cosa sconfessa qualsiasi volontà di dar vita a un governissimo. «No, perché sappiamo qual è la nostra responsabilità, il che significa saper cogliere l'esigenza di cambiamento, maggiore anche di quella espressa in campagna elettorale. Noi ci rivolgeremo alle Camere. Tocca a noi tirar fuori il Paese dall'impasse».

«Non possiamo diventare ora grillini inseguendoli sul loro terreno», obietta Fioroni. «Ma non possiamo neanche replicare lo schema del 2012, con Pd, Pdl e Monti che sostengono un governissimo», ribatte Orfini. E mentre nelle roccaforti rosse si riuniscono come da tradizione gli «esecutivi provinciali» per un'analisi del voto in cui i bersaniani sostengono la tesi che anche con Renzi sarebbe finita nello stesso modo, nel «caminetto dei big» a Roma Piero Fassino osserva che «serve una riflessione sulla forma tradizionale di partito che forse non funziona più: le primarie sono il massimo momento di vitalità...».

 

bersaniPIERLUIGI BERSANI RENZI E BERSANI MASSIMO DALEMA DIRIGE LORCHESTRA ANNA FINOCCHIARO NON LASCOLTA GIUSEPPE FIORONI BEPPE GRILLO VOTA

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