NON APRITE QUELLA TOMBA! - IL VATICANO NEGA OGNI COINVOLGIMENTO NEL CASO DELLA SCOMPARSA DI EMANUELA ORLANDI - “SE QUALCUNO AVESSE SAPUTO, LO AVREBBE DETTO” - IL RETTORE DI SANT’APOLLINARE: “SE SERVE A TOGLIERE OGNI DUBBIO, BEN VENGANO L’APERTURA DELLA TOMBA DI DE PEDIS” - LE INDAGINI SEMBRANO ESSERSI ARENATE - IL VATICANO NON SPIEGA PERCHÉ DELLA SEPOLTURA DI RENATINO SI OCCUPARONO ADDIRITTURA GLI STESSI ARTIGIANI CHE TUMULARONO GLI ULTIMI PONTEFICI…

1- "MA PER NOI QUELLA TOMBA SI PUÃ’ APRIRE ANCHE SUBITO"
PARLA IL RETTORE DI SANT'APOLLINARE, DOVE È SEPOLTO "RENATINO"
Gia.Gal. per "la Stampa"

Per noi la tomba può essere aperta e trasferita altrove anche domani. Anche la famiglia De Pedis si è dichiarata disponibile». Parola del rettore della basilica di Sant'Appollinare, padre Pedro Huidobro. Il portone sulla piazza è sbarrato. Dal cortile della Pontificia Università della Santa Croce gli studenti entrano alla spicciolata.

«Tutto ciò che può essere fatto per risolvere la questione ci trova pienamente d'accordo e collaborativi - assicura padre Huidobro -. Va compiuto ogni passo che serva a far chiarezza. Per noi sarebbe motivo di sollievo e ci aiuterebbe a ritrovare tranquillità nella nostra attività quotidiana senza che vengano persone in basilica a chiedere di visitare la tomba di De Pedis».

Il rettore della basilica attualmente affidata all'Opus Dei precisa di «non sapere fino a che punto possa esistere una relazione tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e la sepoltura del boss della Magliana». Ma «se serve a togliere ogni dubbio, ben vengano l'apertura e lo spostamento della tomba da Sant'Appollinare». Due mesi fa padre Huidobro aveva incontrato il fratello di Emanuela Orlandi, che per la prima volta in 29 anni mise piede nella chiesa che forse custodisce il segreto della scomparsa di sua sorella 15enne.

Incredibilmente nella cripta è seppellito il boss e la procura di Roma ha avuto nel 2009 dal Vicariato il «nulla osta» all'ispezione sepolcro al cui interno una segnalazione anonima colloca tracce di Emanuela. «Sono vicino a te e alla tua famiglia, per voi le porte di questa chiesa saranno sempre aperte», assicurò padre Huidobro, che è anche medico legale, a Pietro Orlandi che a fine gennaio ha guidato una manifestazione davanti alla basilica.

«Anch'io come te desidero che la tomba venga aperta e che si faccia chiarezza sulla vicenda», aggiunse il rettore, esprimendo «rispetto e partecipazione nei confronti di persone che hanno tanto sofferto». Sant'Appollinare non è una chiesa come le altre. Era la chiesa del Pontificio Istituto di studi giuridici, quattro secoli di storia gloriosa, uno dei principali centri di formazione del clero della città eterna: ne sono stati alunni ben tre papi (Pacelli, Roncalli, Montini).

Vi arrivò prima il Circolo di San Pietro, dedito all'assistenza dei poveri, e poi un rettore pragmatico e abile nei contatti a tutto campo, amico di pezzi da novanta della Curia romana, come don Piero Vergari, che nel suo apostolato nelle carceri era entrato in contatto con esponenti di spicco della mala romana. Nell'annessa scuola insegnavano docenti illustri come il latinista Giovanni D'Anna e un ufficio era riservato ad Oscar Luigi Scalfaro.

Tra i benefattori di don Vergari proprio De Pedis, che, quando finì vittima di un regolamento di conti, ottenne dal Vicariato la sepoltura tra cardinali e principi nella cripta della basilica. Oggi don Vergari è tornato a Sigillo, nella natia Umbra. «A Sant'Apollinare hanno dato indegna sepoltura al boss della banda della Magliana: il vero snodo dell'intreccio tra Stato italiano, Vaticano e criminalità è in quella tomba.

Cosa aspettano ad aprirla?», denuncia Pietro Orlandi. Una petizione da 80mila firme (inclusi Dario Fo, Franca Rame, Dacia Maraini e Marco Lodoli) è stata consegnata a Benedetto XVI e venti parlamentari invocano chiarezza su uno dei misteri della Repubblica. «Vogliamo sapere cosa è successo a Emanuela e non ci arrenderemo mai alla rassegnazione», ribadì due mesi fa Pietro Orlandi all'attuale rettore Huidobro, solidale con lui e favorevole a far luce sul mistero. L'abbraccio finale e una promessa: «La verità è un dovere». Tra pochi giorni De Pedis riposerà altrove.


2- STA PER SCADERE IL TEMPO DELLA VERITÀ
Goffredo Buccini per il "Corriere della Sera"

Sembra una mossa della disperazione. Quando la pubblica accusa alza la voce, tuonando il fatidico «chi sa, parli!», significa in genere che ha ben poco di concreto da portare a processo. Ed è appunto ciò che pare verificarsi nella vicenda della povera Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma nell'83 e tirata in causa, da allora, dentro le trame dei più intricati misteri italiani. Tuttavia i pm dicono qualcosa di ulteriore: circoscrivono l'ambito nel quale la verità sarebbe stata custodita in questi ventinove anni.

«Personalità del Vaticano» saprebbero quale fu la sorte della ragazzina, figlia di un funzionario pontificio. Anche questa sembra un'assoluta ovvietà. In quasi tre decenni, le indagini hanno continuato a ruotare attorno agli stessi protagonisti di alcune tra le pagine più nere della nostra storia: monsignor Marcinkus, con il «suo» Ior, e la banda della Magliana, vera spicciafaccende dei poteri più sporchi della Prima Repubblica.

Che ci fosse in ballo un ricatto alla Santa Sede, che il problema della gang di Renatino De Pedis fosse recuperare soldi investiti nell'allora spregiudicata banca vaticana o che si trattasse piuttosto di coprire qualche leggerezza molto personale dell'atletico cardinale legato a Calvi e Gelli, il rapimento di Emanuela sembra nascere e finire in quello schema. Ed è probabile che la Procura abbia in mano il nome di qualche prelato ancora vivo e a conoscenza dei fatti, pur non essendo in condizioni di fare un passo ulteriore Oltretevere.

Di qui la singolare sortita, che ha acceso di nuovo le speranze della famiglia Orlandi. Quasi trent'anni dopo, però, il tempo sta per scadere, morte e oblio stanno per scendere su un giallo che ancora in queste ore s'è arricchito dell'ennesimo grottesco giro di valzer attorno alla tomba di Renatino, incredibilmente sepolto come «benefattore» a Sant'Apollinare: dopo tante insistenze i pm hanno ottenuto di aprire il sarcofago, ma vi hanno rinunciato.

Solo Benedetto XVI, muovendo archivi e coscienze, può forse cambiare il corso degli eventi. Un Papa che ha avuto il coraggio di scoperchiare il verminaio della pedofilia, potrebbe far crescere una piantina di verità anche in una vigna tanto infestata di rovi.


3- «NON AVEVAMO NOTIZIE LE AVREMMO DATE»
Gian Guido Vecchi per il "Corriere della Sera"

«Se qualcuno all'interno avesse saputo qualcosa, lo avrebbe detto. Eravamo tutti interessati a fare chiarezza». Il cardinale Giovanni Battista Re, 78 anni, era «assessore» e quindi numero tre della segreteria di Stato, all'epoca. Più tardi sarebbe diventato il numero due e, dal 2000 al 2010, prefetto della potente congregazione per i vescovi. È uno dei pochissimi testimoni rimasti, ai vertici della Santa Sede. E sulla scomparsa di Emanuela Orlandi dice che c'è poco da fare, in Vaticano non se ne sa niente: «Altrimenti qualcuno avrebbe parlato. Ma purtroppo le cose non stavano così: non siamo riusciti a capire nulla, a sapere cosa ci fosse dietro».

Se ne sono dette tante, dal 22 giugno 1983, sul rapimento della giovane cittadina vaticana. Ma la versione della Santa Sede non è mai cambiata. Marcinkus, la Magliana: si parlò di un'inchiesta interna, di un fascicolo custodito tuttora in Segreteria di Stato. Ma ufficialmente non esiste, l'unica inchiesta è quella «esterna» della magistratura italiana e quelle contro l'allora presidente dello Ior sono «accuse infamanti» e «senza fondamento». Al massimo, Oltretevere, osservano ironici: «Si può magari dire che Marcinkus fosse un cattivo amministratore, ma un assassino no». Quanto alla tomba di De Pedis, «abbiamo sempre detto che non c'era nulla da scoprire».

Certo che quella vicenda non ha contribuito alla chiarezza. Resta imperdibile ciò che ha scritto sul suo sito internet monsignor Piero Vergari, rettore della Basilica di Sant'Apollinare quando vi fu sepolto Enrico De Pedis. «Mai ho saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza dei suoi familiari. Mi ha aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri».

Non che a Roma fosse arduo sapere chi era «Renatino». Il 2 febbraio 1990 lo ammazzarono in via del Pellegrino, un'esecuzione in pieno centro. «Quando seppi della sua morte ne restai meravigliato e dispiacente». Il monsignore si prodigò con il cardinale Vicario Ugo Poletti perché il boss della Magliana fosse sepolto nella Basilica. E il 6 marzo '90 lo rassicurò: «Il lavoro sarà fatto da artigiani e operai specializzati che hanno già lavorato per la tumulazione degli ultimi Sommi Pontefici».

 

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