NON PASSA LO STRANIERO - NUOVO STOP AI DIRETTORI DEI MUSEI SCELTI DA FRANCESCHINI: ''UNA DECISIONE GRAVE, ORA DALL'ESTERO CHI SI FIDERÀ PIÙ A VENIRE A LAVORARE DA NOI?'' - T.MONTANARI: ''SE FATE UNA RIFORMA CHE NON STA IN PIEDI SOTTO IL PROFILO GIURIDICO, NON È COLPA DI CHI LA BOCCIA'' - SERGIO RIZZO: ''LEGGI SCRITTE DA CONSIGLIERI DI STATO CHE VENGONO STRONCATE DAI COLLEGHI. FORSE BISOGNA SEPARARE LE FUNZIONI''
1.NON PASSA LO STRANIERO FRENATA SULLE NOMINE DEI DIRETTORI DEI MUSEI
Francesco Erban per ''la Repubblica''
Di nuovo si addensano nuvole sulla riforma dei musei. A tre anni e poco più dal varo, torna in discussione la possibilità che a dirigerli sia un cittadino non italiano. Per ora è in bilico la posizione di Peter Assmann, che è a capo del Palazzo Ducale di Mantova, però se si dovesse stabilire che non un francese o un austriaco come Assmann, ma solo un italiano può guidare un museo o un sito archeologico, entra in crisi l' intero progetto del ministro Dario Franceschini, osteggiato in molti ambienti, esterni e interni al ministero. E così nell' incertezza finirebbero alcuni fra i luoghi d' arte più pregiati, come gli Uffizi, Capodimonte, Brera, Urbino, la Galleria dell' Accademia a Firenze o Paestum, dove siedono direttori provenienti da altri paesi europei.
È il Consiglio di Stato ad aver messo un sassetto nell' ingranaggio dei concorsi che nel 2015 designarono i direttori di venti fra musei e siti archeologici e monumentali, diventati trenta l' anno successivo. Sette di essi furono affidati a storici dell' arte o archeologi non italiani. Esaminando il caso di Assmann, i giudici della VI sezione di Palazzo Spada hanno ritenuto corrette le procedure concorsuali che lo hanno visto vincitore, ma hanno rinviato all' Adunanza plenaria dello stesso Consiglio la questione se, appunto, un non italiano possa o no dirigere un museo statale.
L' orientamento del collegio è contrario a questa possibilità, come contrario si era detto il Tar in primo grado. Ma essendo questa decisione opposta a un' altra decisione sul concorso per il Parco archeologico del Colosseo presa dallo stesso Consiglio di Stato nel luglio scorso e persino dalla stessa VI sezione, ma presieduta da un diverso giudice, ed essendoci nel collegio una divergenza ( di esso fa parte anche il relatore della sentenza di luglio), si è scelto di rimettere la questione all' Adunanza plenaria. L' Adunanza plenaria è un collegio allargato, simile alle sezioni riunite della corte di Cassazione e presieduto dal presidente del Consiglio di Stato.
Assmann resta al suo posto, perché rimane valida la decisione, sempre del Consiglio di Stato, di sospendere la validità di quanto stabilito dal Tar. Ma sulla questione della nazionalità, sollevata dal ricorso di una storica dell' arte del Mibact, Giovanna Paolozzi Strozzi, la sentenza riapre un capitolo che sembrava chiarito. O almeno così si augurava Franceschini.
Il punto in sospeso è se la decisione di ammettere stranieri al concorso per dirigere un museo viola le norme che vietano, per esempio, a un cittadino non italiano di diventare prefetto o magistrato o di assumere incarichi dirigenziali in diplomazia o nelle forze armate. La questione, sostengono molti giuristi, non è però esplicitata nei dettagli. E dunque è soggetta a diverse interpretazioni, persino in una stessa sezione del Consiglio di Stato. E ciò nonostante la legislazione europea sia decisamente aperta alla circolazione e nonostante il Parlamento abbia votato un' interpretazione della norma favorevole al ministero (ma evidentemente non applicabile retroattivamente).
E ora che cosa succede di una riforma che ha investito le fragili strutture del ministero, ha rinnovato le polemiche fra chi sottolinea le ragioni della tutela e chi della valorizzazione dei beni culturali?
Franceschini è in scadenza e non si sa se chi lo sostituirà, appartenente o no al suo schieramento, voglia seguirne i passi o, di nuovo, rovesciare tutto. Intanto da Napoli si fa sentire il direttore (francese) di Capodimonte: «La decisione del Consiglio di Stato», commenta Sylvain Bellenger, «è l' ennesima dimostrazione che la burocrazia in Italia mette in ginocchio il Paese, crea incertezza per le competenze venute dall' estero, dopo aver lasciato solide e prestigiose posizioni professionali per candidarsi alla guida dei musei italiani. Tutto questo è gravissimo». Chissà se i giudici del Consiglio di Stato sono disposti a essere identificati con una generica "burocrazia".
2."DECISIONE GRAVE ORA DALL' ESTERO CHI SI FIDERÀ PIÙ A VENIRE A LAVORARE DA NOI?"
Francesco Erban per ''la Repubblica''
«La telenovela continua». È divertito signor ministro?
«Macché, non scherziamo. Come avvocato e come politico sono rispettoso delle sentenze. Ma a oltre tre anni dalla pubblicazione del bando per selezionare i direttori dei musei, dopo sedici pronunciamenti del Tar e sei del Consiglio di Stato, non è possibile che si debba cominciare daccapo». Dario Franceschini è in macchina, la campagna elettorale incalza, ma la riforma da lui promossa, e che vorrebbe gli tornasse utile per il 4 marzo, inciampa nella decisione del Consiglio di Stato.
La sentenza mina un aspetto decisivo della riforma. O no?
«Da un lato conferma che i concorsi erano regolari. Dall' altro ci fa ripiombare nell' incertezza su una questione cruciale. E attenzione: non chiamiamo stranieri quei direttori, perché oltre che culturalmente è giuridicamente infondato».
paolo baratta dario franceschini
I giudici notano contraddizioni fra le norme. Non si poteva risolverle in anticipo?
«Sono convinto che le nostre ragioni siano fondate e verranno riconosciute. Ma insieme alle questioni di forma, c' è la sostanza: in tutto il mondo ci sono musei diretti da cittadini provenienti da paesi diversi, compresi gli italiani. È possibile che l' Italia debba fare eccezione?».
La sentenza rimette in discussione tutto. Non teme che sia un altro scossone per una struttura già tanto debilitata?
«Mi domando come ci giudicano all' estero, dopo aver salutato con molto favore la riforma. Ho il timore che, dovesse giungere una decisione negativa su Peter Assmann, questa avrà ripercussioni gravissime in generale».
Quali conseguenze? «Come si può pensare che, quando scadranno i contratti, chi ha diretto così bene i nostri musei chiederà di essere riconfermato? Che lo faccia essendo probabile che qualcuno presenti ricorso invocando il fatto che non è italiano? E lo stesso vale per storici dell' arte e archeologi non italiani, ma con fior di curriculum, che volessero lasciare i loro incarichi per venire a dirigere qui».
La sua riforma è stata, ed è, contestata. Questa sentenza non rinfocolerà i dissensi?
«Se le riforme sono vere suscitano sempre dissensi. Solo quelle finte vedono tutti d' accordo. Io sono contento che si sia discusso».
Ma lei è soddisfatto della riforma? Ci sono successi, ma anche carenze che si trascinano da anni, per esempio sul personale. O iniziative controverse.
«Basta andare in uno qualunque dei trenta musei e siti archeologici per apprezzare le differenze rispetto a prima. I servizi, le attività scientifiche e di ricerca. Le mostre ora sono decise dalle strutture interne dei musei e non più appaltate in esterno. E tutto questo senza considerare l' aumento dei visitatori».
Ma la riforma andrà avanti nella prossima legislatura o è possibile che venga ribaltata?
«Io la difenderò qualsiasi incarico assuma. Ma devo rivendicare il fatto che su poche cose, in questi cinque anni, si è raggiunta una convergenza oltre la maggioranza e fra queste poche cose ci sono i beni culturali e lo spettacolo. L' Art bonus e la legge sul cinema sono stati Qui sopra, Dario Franceschini. In alto, visitatori del museo degli Uffizi davanti all' Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano approvati con un consenso ampio».
La sentenza del Consiglio di Stato arriva alla fine del suo mandato. Quanto influisce sul bilancio di questi anni?
«Vediamo come andrà a finire al Consiglio di Stato. Ma intanto vado orgoglioso che i beni culturali e la cultura non siano più un oggetto marginale. Erano centrali nel dibattito scientifico, ma non in quello politico. Ora si litiga sulla riforma o sull' arena al Colosseo. È un buon segno».
Le basta questo per dirsi soddisfatto?
«No. Dopo anni di tagli, il bilancio del ministero è cresciuto del 58 per cento. Quando sono arrivato c' erano disponibili per restauri e tutela 37 milioni. Ora sono 3 miliardi. E con l' Art bonus sono arrivati 230 milioni di soldi privati».
Insisto: in molte soprintendenze ingolfate di lavoro vanno via in tanti e arrivano in pochi.
«Abbiamo fatto tanto, i concorsi per mille assunzioni, per esempio, ma molto bisogna ancora fare. Vorrei fare di più per immettere giovani preparati, che hanno studiato, hanno conseguito dottorati e master. E poi vorrei più investimenti su arte e architettura contemporanee».
3.SE LA RIFORMA NON REGGE AI DUBBI NON FUNZIONA
Tomaso Montanari per ''la Repubblica''
Ieri la sua sesta sezione ha rinviato all' adunanza plenaria del Consiglio di Stato la decisione finale sui direttori stranieri dei grandi musei, nodo centrale della riforma Franceschini: è possibile o no affidare a chi non ha la cittadinanza italiana ruoli dirigenziali in istituzioni di rilevante interesse nazionale?
Dario Franceschini ha reagito chiedendosi, via twitter, «cosa penseranno nel mondo?», e concludendo che è «davvero difficile fare le riforme in Italia».
Ora, escludendo che il ministro volesse resuscitare il repertorio berlusconiano sulla giustizia politica, non si può che concludere che se una riforma non regge all' esame della giustizia amministrativa, significa semplicemente che è stata scritta male.
Dunque, non è difficile fare le riforme: è difficile farle senza competenza, senza dotarsi di collaboratori adeguati. È difficile farle se si cede alla tentazione della fretta e della politica dell' annuncio, o (peggio) se si è accecati da pregiudizi ideologici.
L' allora presidente del Consiglio Matteo Renzi si vantò di aver fatto uscire il bando per i direttori non sui giornali italiani, ma sull' Economist: eppure le domande non provennero certo da affermati direttori di grandi musei, ma da figure di secondo o più spesso di terzo piano. Finì così perché era fin troppo evidente che il bando non era stato preceduto da una riforma organica e sostanziale: era chiaro che i direttori si sarebbero trovati a dirigere scatole vuote di risorse e di personale. Ma allora perché si era scelto di procedere a rotta di collo e di privilegiare gli stranieri? Perché - in ossequio alle idee di Renzi, che aveva scritto che «soprintendente è la parola più brutta del vocabolario della burocrazia» - bisognava far piazza pulita di tutti i candidati interni al Ministero.
Vedremo cosa deciderà ora la plenaria del Consiglio di Stato, ma la questione esiste, e non soltanto sul piano giuridico, come ha dimostrato l' episodio clamoroso che ha visto il direttore degli Uffizi annunciare, a metà mandato, che se ne andrà a dirigere il Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Non è, insomma, ovvio che si possano affidare a non italiani le «funzioni pubbliche» per cui la Costituzione indica che i cittadini che le ricoprono «hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». Un nodo che bisognava affrontare e sciogliere, semmai, prima e non dopo il varo della riforma.
4.L' EQUIVOCO DEI GIUDICI CHE PORTA ALLA PARALISI
Sergio Rizzo per ''la Repubblica''
A proposito della scelta di aprire le porte dei nostri musei a esperti stranieri si possono naturalmente avere opinioni diverse. Sul fatto che in Italia ogni decisione presa con l' obiettivo di cambiare lo status quo finisca inevitabilmente nelle sabbie mobili, invece, non può sussistere alcun dubbio.
Leggi scritte con i piedi, in molti casi. Interpretazioni singolari delle norme, in altri. Per non parlare dei ricorsi pretestuosi che hanno il solo obiettivo di bloccare tutto, grazie anche ai tempi biblici della giustizia italiana. Un male dal quale non è esente neppure quella amministrativa: che sempre più spesso si rivela uno strumento particolarmente efficace a garantire la paralisi.
PALAZZO SPADA CONSIGLIO DI STATO
E in un gioco, quello che è più rilevante, di perenni contraddizioni dovute all' equivoco di fondo che avvolge questo particolare frammento del nostro sistema giudiziario. Cioè quello di trovarsi nelle condizioni di offrire i propri servigi al governo (quindi alla politica) scrivendo le leggi, e al tempo stesso essere il tribunale competente a giudicare gli effetti di quelle stesse leggi.
Capita così che un consigliere di Stato o un magistrato del Tar in qualità di capo dell' ufficio legislativo di un ministro sostenga un principio, giusto o sbagliato che sia, (per esempio che l' incarico di direttore dei musei italiani può essere anche un cittadino di altra nazionalità) e che un collegio di suoi colleghi affermi in giudizio esattamente il contrario.
La giustificazione è che il consigliere di Stato legislatore, quando scrive un provvedimento, assolve una funzione diversa dal consigliere di Stato giudice. Ma resta comunque incomprensibile come la stessa magistratura possa dare della medesima legge interpretazioni addirittura opposte, soltanto perché si è cambiato il cappello.
La faccenda è tanto più delicata per le materie sensibili che la magistratura amministrativa è chiamata a trattare: dai rapporti fra gli apparati istituzionali alle relazioni del mondo privato con le amministrazioni pubbliche.
PALAZZO SPADA SEDE DEL CONSIGLIO DI STATO
Cosucce come gli appalti, le gare, le concessioni. Purtroppo nessuno ha mai voluto risolvere l' equivoco di fondo, separando nettamente le due funzioni. Ed è forse perfino comprensibile, se si considera il potere enorme che ha in mano quel pugno di espertissimi nel manovrare la burocrazia. Ma come questo si possa combinare con la certezza del diritto, resta un dilemma.