1. PIÙ APPASSIONANTE DE “L’ISOLA DEI FAMOSI”, PIÙ INTRIGANTE DI “X FACTOR”, PIÙ FOLLE DI UNA CORSA DI CANI: LA PARTITA DELLE NOMINE SI GIOCA ALL’INTERNO DEL PD E COL BANANA 2. FUORI SCARONI DALL’ENI, BERLUSCONI PUNTEREBBE ALLA POLTRONA DELLE POSTE ITALIANE 3. IERI SCARONI HA PRANZATO CON RENZI E HA CRITICATO LA DIRETTIVA DELL’ECONOMIA SUI CRITERI DI ONORABILITÀ DEI MANAGER PUBBLICI. LA RISPOSTA ROTTAMANTE DEL BULLO: “È VERO CHE GLI ALTRI PAESI NON CE L’HANNO, MA NOI SIAMO CONTENTI CHE CI SIA” 3. DOPO COLAO E GUERRA, ALTRO SCHIAFFO PER RENZI: ANCHE SIMONELLI, QUARANTENNE ALLA GUIDA DI GENERAL ELECTRIC OIL AND GAS, DICE NO AD UN’AZIENDA PUBBLICA 4. IL MISTERO BUFFO DEL DG RAI GUBITOSI CHE VIENE DATO PAPABILE SU TUTTE LE POLTRONE, DA ENEL ALLE POSTE A TERNA, MA NESSUNO SA CHI HA COME SPONSOR POLITICO 5. RENZI VERSO IL RIDICOLO E OLTRE: NOMINA IL CAPO DEI VIGILI URBANI DI FIRENZE ANTONELLA MANZIONE ALLA GUIDA DEL CRUCIALE DIPARTIMENTO LEGISLATIVO DI PALAZZO CHIGI!
1. IMPASSE NEL RISIKO DELLE NOMINE
Roberto Mania per âLa Repubblica'
Dopo Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone, e Andrea Guerra, numero uno di Luxottica, anche Lorenzo Simonelli, manager quarantenne da pochi mesi alla guida di General Electric Oil and Gas, dice no ad un'azienda pubblica. Entrato nella lista che i "cacciatori di teste" hanno stilato con i candidati alla successione di Paolo Scaroni al vertice dell'Eni e consegnato al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, Simonelli ha fatto sapere che non intende lasciare la multinazionale americana.
Lì punta a rafforzare il business - spiegano dal suo staff - anche attraverso le collaborazioni con clienti come Eni. Certo Simonelli rappresentava il manager ideale per la svolta nelle aziende pubbliche immaginata dal premier Matteo Renzi: giovane, curriculum brillante, profilo internazionale, per nulla contaminato dalle cordate che negli ultimi quindici anni si sono spartite le poltrone di quel che rimane delle aziende di Stato.
Dunque la partita delle nomine pubbliche appare tutta ancora aperta. Ma i tempi sono diventanti strettissimi: entro il 13 aprile devono essere presentate le liste dei candidati del Tesoro per i Consigli in vista delle assemblee delle società che si terranno a maggio.
Oggi le due società di cacciatori di testa (la Korn Ferry International e la Spencer Stuart Italia che aveva tra i suoi consiglieri Enrico Letta, dimessosi una volta nominato a Palazzo Chigi, e anche lo zio Gianni Letta) dovrebbero incontrare il ministro Padoan per fare il punto sul lavoro istruttorio che hanno svolto.
Il premier Renzi dice che prima dei nomi il governo vuole decidere la missione industriale dei singoli gruppi, Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Poste e via dicendo. Il momento dei nomi è però arrivato, tenendo conto che le valutazioni degli investitori non sono affatto secondarie dal momento che lo Stato ha partecipazioni di minoranza in tutte le società quotate. «Mi assumo tutte le responsabilità sulle scelte che faremo », ha detto ieri il premier. Che nel prossimo week-end esaminerà i dossier insieme al sottosegretario Graziano Delrio e al fedelissimo Luca Lotti. Per martedì prossimo è attesa la lista per Eni, Finmeccanica e Poste (società non quotata ma in pista per l'avvio della privatizzazione), per sabato 12 aprile quella di Enel e Terna.
Tutto, ancora, ruota intorno al vertice dell'Eni. Il presidente Giuseppe Recchi si è fatto da parte entrando in lista per la presidenza di Telecom. Combatte come un leone Scaroni (classe 1946) che però sembra non aver alcuna chance, tanto più dopo la recentissima condanna in primo grado a tre anni per reati ambientali a Porto Tolle. Ieri ha pranzato con Renzi e ha criticato la direttiva dell'Economia sui criteri di onorabilità dei manager pubblici.
La risposta di Renzi: «à vero che gli altri Paesi non ce l'hanno, ma noi siamo contenti che ci sia». Senza più Simonelli, si rafforza l'ipotesi di Claudio Descalzi (1955), l'uomo che ha in mano oltre il 90% del business di Eni, cioè l'esplorazione e la produzione. à considerato uno "scaroniano" ma la possibile uscita di scena dell'ad che guida il "Cane a sei zampe" dal 2005 lo ha sicuramente rafforzato. Per la presidenza girano i nomi di Franco Bernabè (1948), che ha guidato l'Eni nella stagione della privatizzazione, e di Leonardo Maugeri (1964) che dall'Eni se n'è andato nel 2011 proprio per un dissidio con Scaroni.
Scampato il pericolo di una condanna (era imputato anche lui per i fatti di Porto Tolle), Fulvio Conti (1947), ad di Enel dal 2005, coltiva la speranza di passare alla presidenza del suo gruppo. Per la carica di ceo, crescono le quotazioni di Francesco Starace (1955), attuale ad di Enel Green Power che ha cercato molto in queste settimane il filo diretto con il mondo renziano. Starace rappresenterebbe la discontinuità rispetto a Conti, mentre Luigi Ferraris, responsabile dell'area Finanza, si muoverebbe nel segno della continuità . Il quotidiano spagnolo Expansiòn ha candidato all'Enel Andrea Brentan, ad di Endesa.
Alessandro Pansa (1962) non resterà alla guida di Finmeccanica. In pole position per la sua sostituzione ci sono Giuseppe Giordo (1965), ad di Alenia, e Domenico Arcuri (1963), ad di Invitalia. Per Gianni De Gennaro (1948) non è invece esclusa la conferma alla presidenza. E c'è solo una donna per ora tra i candidati al vertice di uno dei gruppi pubblici: alle Poste potrebbe andare Monica Mondardini (1960), ad di Cir e del Gruppo Editoriale L'Espresso. In pista anche Luigi Gubitosi (1961), direttore generale della Rai, e Francesco Caio (1957), già Mr. Agenda digitale.
2. NOMINE, SFIDA NEL GOVERNO TRA ROTTAMATORI E CONSERVATORI
Sergio Rizzo per âIl Corriere della Sera'
Per conoscere quale delle due anime prevarrà nel governo, se quella che vorrebbe fare piazza pulita ai vertici delle aziende pubbliche come segno di grande cambiamento o quella che al contrario vorrebbe salvare capra e cavoli, è questione di ore. Man mano che la resa dei conti si avvicina, tuttavia, aumenta il vantaggio della prima. Segnale: il prossimo sbarco alla guida del dipartimento legislativo di Palazzo Chigi, un posto decisamente cruciale per le riforme, di Antonella Manzione. Direttore generale nonché capo della polizia municipale di Firenze, per giunta donna. Un fatto senza precedenti, almeno per Palazzo Chigi. Con una sola eccezione: la nomina di Fernanda Contri, che Giuliano Amato volle nel 1992 come segretario generale.
La tabula rasa presenta solo qualche problemino. Il primo riguarda il metodo. Sarà motivo valido per l'avvicendamento dei manager la regola non scritta dei tre mandati di permanenza massima ai vertici aziendali? E anche per le società quotate? Il secondo è quello dei candidati. Mai prima d'ora le istruttorie sono state così accurate. Il tutto in un quadro di regole, quelle scritte lo scorso anno dall'ex ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, mai altrettanto rigorose.
Al massimo entro il 12 aprile il Tesoro e la Cassa depositi e prestiti dovranno presentare le liste per i consigli di amministrazione di Enel, Eni, Finmeccanica e Terna. Ma ancora i nomi delle caselle che contano non si scorgono con chiarezza. Tanti, forse troppi, sono stati i «no, grazie» che il premier Matteo Renzi ha dovuto incassare, dall'amministratore delegato di Vodafone Vittorio Colao a quello di Luxottica Andrea Guerra.
Inutile dire che il toto nomine impazza. Con una frenesia sconosciuta in passato, per un paio di motivi. Intanto il numero delle poltrone: 350. E poi per la prima volta da dodici anni tocca alla sinistra, e nella fattispecie a un rottamatore come Renzi. Che la fibrillazione abbia raggiunto livelli massimi lo testimoniano le scintille di ieri fra Paolo Scaroni e il presidente della commissione Attività produttive del Senato Massimo Mucchetti.
Con l'attuale amministratore dell'Eni che infastidito dalle domande a proposito del suo futuro (le nuove regole escluderebbero la sua riconferma in seguito alla condanna di primo grado da lui subita) ha reagito senza troppa diplomazia: «Quello che farò sono fatti miei». Per inciso, Scaroni ieri ha pranzato con Renzi, che qualche ora più tardi a Otto e mezzo ha chiarito: «à vero, come sostiene Scaroni, che gli altri Paesi non hanno le stesse regole sull'onorabilità . Ma noi siamo contenti di averle».
Quanto dunque sarà profonda questa rottamazione, resta da vedere. Chi si è preso la briga di contare le citazioni raccolte dagli ipotetici candidati sulla stampa a partire dall'inizio dell'anno, potrebbe stilare facilmente una classifica. In base a questa, per il posto di amministratore delegato dell'Eni risulterebbe ampiamente in testa il direttore generale Claudio Descalzi (21 citazioni).
Per la sostituzione di Fulvio Conti all'Enel sarebbe ottimamente posizionato l'attuale amministratore delegato di Enel green power, Francesco Starace (18): tallonato dall'attuale direttore generale della Rai Luigi Gubitosi (17). Per le Poste, scontato che Sarmi lasci il timone, comanda la graduatoria della stampa Francesco Caio (12), anche qui con Gubitosi alle spalle (10).
Il medesimo Gubitosi (7) viene pure dato dai giornali come il più probabile successore di Flavio Cattaneo a Terna. Mentre per Finmeccanica, assodata l'uscita di scena di Alessandro Pansa, da appena un anno amministratore delegato, le previsioni dei media sono per Franco Bernabè (14). In larga misura cortine fumogene, come al solito. E senza nemmeno troppa fantasia.
La sensazione è che i candidati reali siano ben coperti e siano destinati a rimanere tali fino all'ultimo. Vero è che fra i personaggi citati dai giornali compaiono pure alcuni credibili outsider, come quel Domenico Arcuri che oggi guida Invitalia e di cui qualcuno ipotizza un passaggio a Finmeccanica o Terna. Oppure come Matteo Del Fante, direttore generale della Cassa depositi e prestiti indicato come candidato alle Poste: anche se nessuno si stupirebbe di vederlo sulla poltrona del direttore generale del Tesoro, attualmente affidata a Vincenzo La Via.
Non manca nemmeno Monica Mondardini, amministratore delegato del gruppo editoriale L'Espresso , considerata la concorrente più accreditata di Caio alle Poste. Né, soprattutto, Lorenzo Simonelli, fiorentino, capo della General Electric Oil & Gas, sul quale Renzi punterebbe per dare un segnale di rinnovamento all'Eni con un cervello italiano quarantenne che rientra nel suo Paese dopo aver avuto successo all'estero. Le voci che lo riguardano sono sempre più insistenti.
Ma per ora, appunto, sono soltanto voci. Come quelle (tutte di parte, per la verità ), che sottolineano la necessità di cambiamenti sì, ma soft. Per non turbare mercati e investitori. Così c'è chi si ostina a credere nella possibilità che qualche amministratore delegato con più di tre mandati alle spalle possa traslocare alla presidenza, e viene espressamente citato il caso di Sarmi, reduce dall'acquisizione di una quota dell'Alitalia e dell'operazione Poste in Borsa. Non sono da escludere delusioni cocenti.
3. RENZI-SCARONI: DUELLO SU NOMINE E ONORABILITÃ
Luca Fornovo per âLa Stampa'
«Una norma sui criteri per le nomine pubbliche non esiste in nessuna società al mondo. Se non ce l'ha nessuno perché devo averla io?». Davanti all'aula del Senato, Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni in scadenza tra pochi giorni, decide di giocare all'attacco, muovendo critiche alle nuove regole che il Tesoro vorrebbe introdurre negli statuti delle società quotate ma controllate dallo Stato. Il numero uno dell'Eni da nove anni proprio non ci sta a lasciare la guida del colosso petrolifero e si dice sorpreso di «questa norma che non hanno neanche grandi aziende come Esso, Apple, Total o Siemens».
La norma in questione è la direttiva del ministero dell'Economia del 24 giugno 2013, varata dall'allora ministro Fabrizio Saccomanni, che rafforzando i requisiti di onorabilità e di professionalità richiesti agli amministratori prevede «l'ineleggibilità e, nel corso del mandato, la decadenza automatica per giusta causa, senza diritto al risarcimento di danni, in caso di condanna, anche in primo grado, o di patteggiamento per gravi delitti». Una regola che potrebbe gettare ombre sulla riconferma all'Eni di Scaroni che, con un tempismo non dei migliori per lui, ha subito lunedì scorso una condanna a tre anni di carcere e 5 anni di interdizione per la centrale elettrica di Porto Tolle (Rovigo) per reati ambientali.
I fatti risalgono a quando Scaroni era ancora ad dell'Enel e soprattutto va detto che il reato citato dalla sentenza non rientra affatto tra quelli che fanno scattare l'ineleggibilità o la decadenza del manager in carica. Lo conferma alla trasmissione «Otto e mezzo» anche il premier Matteo Renzi: «La regola dell'onorabilità non riguarda Scaroni».
Renzi, che rivela di aver visto a pranzo l'ad dell'Eni (in un clima di cordialità ), tiene però il punto sulle nuove regole: «Scaroni dice il vero, quella norma non c'è negli altri Paesi; ma noi siamo contenti che ci sia, gli altri Paesi non ce l'hanno e su questo ha ragione, ma abbiamo ragione noi a volerla». Sui vertici dell'Eni il premier spiega poi che le scelte saranno fatte partendo dalla valutazione del ruolo del gruppo che «è un pezzo fondamentale della politica energetica italiana, della politica estera e di intelligence cioè dei servizi segreti. Le scelte le faremo entro il 14 aprile».
Su un possibile ruolo all'Eni, per esempio come presidente, Scaroni ha schivato le domande di Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato. «Faccio quello che credo - ha risposto - sono un libero cittadino, ad o presidente, dipendente o indipendente sono fatti miei». Secondo fonti vicine a Palazzo Chigi, Renzi starebbe comunque pensando a un incarico per Scaroni all'Eni. La via della presidenza non è però scontata se si considera che un recente orientamento del Cda dell'Eni ha previsto che il presidente sia «preferibilmente indipendente al momento della prima nomina o che, comunque, rappresenti una figura di garanzia per tutti gli azionisti».
Requisiti che forse potrebbero non combaciare perfettamente col profilo di Scaroni, ad dell'Eni per nove anni su indicazione del Tesoro, l'azionista di maggioranza. Certo resta un manager che come arringa lo stesso Scaroni ha creato grande valore per tutti i soci: «Sono entrato in Eni con un patrimonio netto di 39 miliardi e oggi sono 61, abbiamo generato ricchezza per 22 miliardi e pagati 36 di dividendi di cui 12 allo Stato». E a proposito di cedole nei prossimi quattro anni cresceranno, «se lo scenario resta questo».
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