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PIDDINI A BRANDELLI: E ORA CHI SALE AL QUIRINALE PER LE CONSULTAZIONI?
Giovanna Casadio per La Repubblica
La "ditta" è prossima al fallimento. Senza più titolare - da ieri sera le dimissioni di Bersani sono esecutive - il Pd si prepara a «un chiarimento». Ma più che di chiarezza, Enrico Letta, il vice, parla della necessità di «fare grande pulizia» e annuncia che con il leader si è dimessa tutta la segreteria: è azzerato l'intero gruppo dirigente. Pochi democratici scommettono che il Pd, così come è stato finora, possa risorgere dalle macerie. Il fantasma della scissione, dicono, è quasi una certezza.
Da un lato c'è l'Opa di Renzi; dall'altro i "gauchisti" che guardano a Barca e a Vendola. Le ultime quarantott'ore, consumate in uno scontro opaco e distruttivo - che l'elezione di Napolitano ieri tenta di riscattare - hanno lasciato una impronta pesante. Forse già martedì ci sarà una direzione per accelerare e convocare subito il congresso straordinario altrimenti fissato a ottobre. Dovrà affrontare la questione governo e larghe intese, su cui il partito è spaccato.
E c'è chi pensa sia più giusto chiedere a Bersani di ripensarci e di restare alla guida del Pd fino al congresso. Luigi Zanda, il capogruppo al Senato, è tra questi. I "giovani turchi" vogliono affrettare. Renzi invita a guardare avanti: «Speriamo possa aprirsi una fase politica nuova». Neppure quando Veltroni lasciò d'improvviso la segreteria nel 2009, dopo la sconfitta del Pd in Sardegna, la situazione appariva drammatica come oggi, osservano in Transatlantico i "grandi elettori" democratici.
Enrico Rossi, il "governatore" della Toscana assicura che il partito sul territorio regge. Dopo occupy-Pd, l'occupazione delle federazioni, la rivolta dei circoli, bisogna «ricostruire la fiducia». Il sindaco "rottamatore" intanto si limita a segnalare l'opportunità che questa fase drammatica può rappresentare: «Adesso il Pd ha l'occasione di cambiare davvero, senza paura ci proveremo». Si candiderà alla corsa per la segreteria? «Vedremo», risponde.
Pesano gli ultimi due giorni, i personalismi, la faida tra correnti irresponsabili, i dissensi che hanno impallinato due "padri" del centrosinistra, Franco Marini prima, Romano Prodi poi. I sospetti montano ancora. «Non si perda tempo a regolare i conti, lavoriamo insieme per costruire una grande sinistra che possa convincere e vincere», esorta Giuliano Pisapia, il sindaco di Milano, vendoliano.
Il Pd è all'ennesimo bivio. Beppe Fioroni difende i Popolari dalle accuse: «Non siamo stati noi i "franchi tiratori" di Prodi», ed è pronto a mostrare le foto del voto. Sandra Zampa, prodiana, denuncia: «Girano foto di schede con il nome di Prodi, ma è solo una. Come si fa a stare in un gruppo parlamentare in cui chi ti siede accanto non sai se è un traditore?».
«I "franchi tiratori"- twitta Franceschini - sono da prendere a bastonate». Per Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, «bisogna ricominciare dai muri portanti, è improbabile si possa costruire un centrosinistra senza trattino». E i "giovani turchi" sono i più agguerriti, convinti che prima si archivia questa stagione e meglio è. Andrea Orlando, che viene dato
in corsa per la segreteria, dice che «il Pd deve riflettere su come si presenta in questa fase nuova».
Anche per le consultazioni al Colle - rincara Matteo Orfini - bisogna cambiare delegazione, non può essere il leader che si è dimesso, Bersani, a rappresentare il Pd. La prossima direzione deve decidere persino questo. Non ci sarà con molta probabilità una reggenza temporanea di Letta, perché la maggioranza del partito preferisce un comitato di reggenti.
«Dopo i 101 terroristi ... c'è davvero molta chiarezza da fare», si indigna Laura Puppato che definisce così i "franchi tiratori", i sicari politici di Prodi. Ritiene che giovedì scorso sia stato il giorno del coraggio, perché si è fatta una battaglia sulla linea politica del partito, ovvero "no" alle larghe intese di governo.
Mentre venerdì, «è stato il giorno della viltà », con coloro che hanno impallinato Prodi fregandosene della stessa sopravvivenza del Pd. Ieri Pippo Civati ha votato scheda bianca e non Napolitano. Francesco Boccia lo critica: «Civati ha iniziato il congresso durante l'elezione del capo dello Stato».
Il franceschiniano Antonello Giacomelli avverte che bisogna rispettare il patto costitutivo del partito e perciò la linea decisa a maggioranza. Nico Stumpo, bersaniano, pensa che non si possa sgarrare su questo, né anticipare il congresso a maggio: «Chi lo dice è uno squilibrato». Il testacoda democratico è appena all'inizio.
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