FELUCHE A TEMPO PERSO - POLEMICHE A WASHINGTON PER LE FIGURACCE, ALL’AUDIZIONE AL CONGRESSO, DI ALCUNI SOSTENITORI-FINANZIATORI CHE OBAMA HA PREMIATO CON UN POSTO DA AMBASCIATORE
Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"
«Non ho altre domande da fare a questo gruppo incredibilmente qualificato di candidati ambasciatori». Il senatore John McCain si risiede ostentando ironia e sconforto al termine della disastrosa audizione di alcuni finanziatori della campagna elettorale di Barack Obama che il presidente ha ricompensato con una nomina prestigiosa. Nulla di nuovo, la Casa Bianca ha sempre utilizzato alcuni incarichi diplomatici per ricompensare personaggi che hanno maturato un credito politico.
Ma nel Paese della trasparenza che sottopone tutte le nomine pubbliche all'esame del Congresso, se i parlamentari esaminatori, desiderosi di mettere in cattiva luce il presidente, si mettono a fare domande appena un po' insidiose e se gli ambasciatori-studenti arrivano all'interrogazione impreparati, la figuraccia planetaria della superpotenza è assicurata.
La prima scena, non l'unica, è di metà gennaio. McCain, il repubblicano che nel 2008 ha conteso la Casa Bianca a Obama, perde la pazienza ascoltando Colleen Bell, una produttrice di soap opera di Hollywood premiata con l'ambasciata a Budapest per aver raccolto mezzo milione di dollari di fondi elettorali, che si impappina davanti a una domanda sugli interessi strategici degli Stati Uniti in Europa centrale.
Ma il peggio arriva quando viene chiamato «alla cattedra» George Tsunis. Imprenditore di successo (è presidente e amministratore delegato della Chartwell Hotels), anche lui premiato con un'ambasciata, quella di Oslo, per aver contribuito con 500 mila dollari al successo elettorale di Obama, Tsunis non deve aver perso molto tempo a studiare la politica norvegese.
Né pare portato al linguaggio diplomatico. Così, quando il «prof» McCain prova, senza nemmeno troppa malizia, a prendere in castagna l'alunno distratto («la Norvegia ora ha una coalizione di centrodestra guidata dai conservatori che comprende anche il partito anti-immigrati: che ne pensa?»), Tsunis si lancia a testa bassa in un attacco contro quelle forze politiche che, grazie alla libertà garantita da una società aperta come quella norvegese, «si appropriano di un microfono e spargono odio. E la Norvegia li ha subito denunciati».
McCain lo interrompe prima che combini guai peggiori: «Il governo li ha denunciati? Ma se sono anche loro al governo!». Tsunis va in apnea, comincia ad arrampicarsi sugli specchi, poi McCain chiude il dibattito. Troppo tardi: le parole dell'ambasciatore «in pectore» provocano una tempesta politica e un'ondata di protesta in Norvegia, fedele e strategico alleato degli Usa nella Nato.
Incidenti tutt'altro che isolati: qualche giorno dopo Noah Mamet, il capo di una società di consulenza premiato con l'ambasciata a Buenos Aires per aver raccolto anche lui mezzo milione di dollari di contributi elettorali, ammette candidamente di non essere mai stato in Argentina e di non parlare lo spagnolo. Del resto a soffrire di scarsa preparazione non sono solo gli ambasciatori-finanziatori: Obama ha premiato anche esponenti politici che hanno lavorato al suo fianco, come l'ex senatore Max Baucus, recentemente nominato ambasciatore a Pechino. Baucus ha già ottenuto il voto di ratifica del Congresso nonostante abbia ammesso di non sapere granché della Cina.
Niente di scandaloso, come detto, in America è sempre successo. Parlando del nostro Paese, rimase celebre - come ha ricordato ieri il Washington Post - l'audizione dell'imprenditore Peter Secchia che, premiato da George Bush padre con l'ambasciata di Roma, durante l'audizione di conferma si lanciò in considerazioni assai poco diplomatiche dell'Italia come patria delle belle donne.
Non bisogna stupirsi troppo se in un Paese abituato a giudicare il valore delle persone soprattutto sulla loro capacità di produrre reddito, questo meccanismo invade anche parte della sfera diplomatica. Ci sono anche molti ambasciatori non di carriera che hanno fatto bene, da Shirley Temple al banchiere Felix Rohatyn. E Caroline Kennedy a Tokio sembra essere partita col piede giusto.
Il problema è il cambio di passo di Obama nel secondo mandato. Prima esisteva una regola non scritta «70-30»: i presidenti si riservavano per i favori politici circa un terzo delle ambasciate. Barack appena eletto, nel 2009, aveva ridotto questa quota addirittura al 10%, scontentando molti dei suoi ricchi «supporter».
Nel secondo mandato, però, il presidente ha cambiato registro: quasi il 60% degli ambasciatori fin qui nominati non viene dalla diplomazia: 24 finanziatori, 25 personaggi scelti per meriti politici, 37 funzionari di carriera. In gran parte destinati ad ambasciate africane, evidentemente poco «gettonate». Mentre dalla Gran Bretagna all'Italia passando per Spagna, Germania e Portogallo, è soprattutto l'Europa a essere usata come ricompensa.
Obama infastidito dalla mosca durante il discorso alla Casa Bianca John McCain Colleen Bell AMBASCIATORE USA IN UNGHERIA noah mamettsunis