CHI HA UCCISO IL PD? LE PRIMARIE! - DOPO IL FLOP PRODI E MARINI, IL PD VUOLE TORNARE AL VECCHIO CENTRALISMO: MA E’ TARDI

1 - IL PD TENTATO DALL'ABOLIZIONE DELLE "PRIMARIE DI PARTITO"
Federico Geremicca per "la Stampa"

C'è qualcuno, come Sergio Cofferati, che è furioso e non lo nasconde: «Ora vogliono abolire le primarie per l'elezione del segretario, ed è una follia».

«In quella trincea - continua Cofferati - non possiamo arretrare nemmeno di un millimetro». C'è qualcun altro, come Arturo Parisi, ulivista della primissima ora, che prima che furioso si dice sconcertato. «Si toccano le primarie che io e Ilvo Diamanti abbiamo definito il "mito fondativo" del Pd: si pensa ad una riforma, insomma, che snatura completamente il Partito democratico».

E c'è chi, come Beppe Fioroni, non si appassiona al tema solo perché ha da lanciare un allarme su una questione che viene prima: «Dobbiamo eleggere subito un segretario, altrimenti rischiamo di restare sotto le macerie del governo Berlusconi-Letta: il Pd deve fare sentire la sua voce, con orgoglio, e anche in dissenso dall'esecutivo, se necessario. Poi parliamo di primarie, che il tempo c'è...».

E questa, dunque, è l'ultima novità che va maturando in casa Pd: niente più primarie per eleggere il segretario del partito e forse niente più primarie (ma questa seconda scelta dipenderà molto dal tipo di legge elettorale con la quale si tornerà al voto) forse niente più primarie, dicevamo, nemmeno per selezionare i candidati al Parlamento. Evocate come elemento costitutivo del Partito democratico ed esaltate come lo strumento capace di favorire il massimo di partecipazione dei cittadini, le primarie rischiano insomma di finire in soffitta. Un po' in ragione delle cose che vanno male, un po' per l'irrompere del ciclone-Renzi, la scelta sembra fatta: ma non passerà senza polemiche, a quanto par di capire sondando gli umori qua e là.

Prima di tutto, però, occorre spiegare le ragioni alla base dell'avviata marcia indietro. Per quanto riguarda le primarie per l'elezione del segretario (le prime le vinse Veltroni, nel 2007; le seconde Bersani, nel 2009) la motivazione è che avendo il Pd intenzione di tornare indietro e sdoppiare le figure di segretario e di candidato-premier (tutt'ora, per Statuto, coincidono) sarà scelto con le primarie solo il candidato per Palazzo Chigi, mentre il segretario tornerà ad essere eletto dal Congresso.

Diverso invece il discorso (meno definito) per quanto riguarda la scelta dei parlamentari da candidare. Qui pesa, inutile dirlo, la prova fornita dai gruppi del Pd durante le votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica: centinaia di franchi tiratori in campo, sull'onda della protesta che arrivava dalla periferia prima sul nome di Marini e poi sulla mancata convergenza su quello di Stefano Rodotà.

Che l'«insubordinazione» potesse nascondere problemi e dissensi politici, è ipotesi finita presto (e consolatoriamente) in secondo piano: l'indice accusatore si è infatti subito puntato verso la debolezza e la permeabilità degli eletti, perchè scelti - appunto - con le primarie.

Pochi hanno annotato l'evidente contraddizione con quanto affermato prima e dopo la campagna elettorale da Pier Luigi Bersani: con le primarie abbiamo ucciso il Porcellum, i nostri parlamentari li scelgono i cittadini ed abbiamo i gruppi più giovani, rinnovati e pieni di donne. Ma tant'è... La revisione pare avviata anche su questo fronte, e poco importa che il Pd sembri somigliare sempre più alla famosa tela di Penelope, dove regole, alleanze e criteri di selezione della classe dirigente vengono fatti e disfatti continuamente, sotto gli occhi perplessi di iscritti ed elettori.

«Si danno questi cambiamenti per scontati, ma non se ne è mai discusso», lamenta Parisi. È vero, ufficialmente il tema non è ancora stato posto, ma solo per la buona ragione che ricordava all'inizio Fioroni: e cioè che c'è da rimettere in piedi, in qualche modo, un gruppo dirigente. E qui, se possibile, la faccenda diventa ancor più confusa e delicata. Che fare? Un segretario-traghettatore fino al Congresso? Un segretario «vero», da insediare ora e confermare in autunno? O addirittura un semplice «comitato di garanti»?

Tutte le ipotesi sono in campo: ma non tutti i candidati in campo sono disposti ad accettare qualunque ipotesi. Guglielmo Epifani, di buona mattina su un divanetto di Montecitorio, per esempio dice: «Sono interessato solo se c'è una prospettiva: non è che voglio finire imbalsamato fino a ottobre e poi chi si è visto si è visto». Gianni Cuperlo è perplesso, molto tentato di tirarsi fuori.

E Anna Finocchiaro, nome forte e in ascesa, attende di capire verso che soluzione si va. La confusione è grande, ma una decisione andrà pur presa: «Ci vuole subito un segretario, per un mese, per tre, per sei, decidano loro, ma ci vuole subito - insiste Fioroni -. Berlusconi la fa da padrone e non abbiamo una voce che dica ai nostri come la pensa il Pd. Dobbiamo ritrovare l'orgoglio di un partito forte e autonomo, altrimenti rischiamo di diventare il partito del governo: una cosa che era inaccettabile già ai tempi della vecchia Dc...».


2 - L'OSSERVATRICE ROMANA
Barbara Palombelli per "il Foglio"

E ora, come dice sempre Michele Santoro, il congresso del Partito democratico può cominciare. Suggerirei al primo punto una riflessione su quanto accaduto pochi giorni fa in Parlamento: la tribù piddina non è riuscita a promuovere l'elezione di un capo dello stato, nemmeno con l'aiuto delle larghe intese. Una tragedia, su cui non si è riflettuto abbastanza. Dopo false unanimità, la sorpresa dei traditori e dei franchi tiratori.

Un naufragio totale. Dal canottieri Aniene alle piccole comunità delle isole di Tonga, tutti gli esseri umani sono capaci di eleggere un capo (anche gli animali sanno decidere immediatamente chi sarà il capobranco). E meno male che il blitz del geniale Giorgio Napolitano ha coperto l'assoluta mancanza di tattica e di strategia dei suoi ex compagni di partito. A che si deve questo disastro? Semplicissimo.

All'importazione del sistema americano delle primarie, laggiù giustificato dalla straordinaria ampiezza di uno stato federale dove i partiti non esistono se non come comitati elettorali a sostegno di singoli esponenti o singole lobby. Qui, è una mia antica fissazione, le primarie non servivano. Anzi, avrebbero distrutto il partito. Così è stato, e mi dispiace che siano state pochissime le nostre voci, le voci di chi aveva capito che non si potevano delegare responsabilità e scelte così significative a cittadini casualmente liberi in un fine settimana. Aggiungo che i costi di una politica incapace di decidere - era facile prevedere - sarebbero stati messi in discussione.

Enrico Letta, acclamato giustamente oltre ogni dire, fallì clamorosamente una partecipazione alle primarie di qualche anno fa. Egli non è televisivo, non fa battute sui giaguari, non è facile da imitare. Un perdente alla riffa nazionale oggi è diventato un leader su cui scommettere. Non vi fa riflettere, cari compagni?

E sarebbe mai candidato sindaco a Roma - con tutto il rispetto - un chirurgo genovese all'opposizione del governo Letta, se si fosse riflettuto a mente fredda in quelle che una volta si chiamavano le riunioni e oggi sono ridotte a pagliacciate in streaming con i copioni scritti per "Ballarò"? Magari, vista la situazione cittadina, senza il concorso, sarebbe sceso in campo un dirigente serio in grado di combattere una buona battaglia e in grado di riconquistare la città senza se e senza ma. Nostalgie? Tante.

Un gruppo di eletti che non sa più decidere, vincere o perdere, adesso è alla prova decisiva: si tratta di mettere da parte le battutine e di dare un segno di maturità, quel colpo di reni che Napolitano ha chiesto a tutti i parlamentari. Mi auguro che i nomignoli, le esibizioni, gli sbattimenti di ciglia, i "segnali" e tutta questa paccottiglia siano sepolti in fretta. Prima possibile. Credo che tutti quelli come me che vi hanno sempre votato si attendano davvero sorprese, dal dibattito che si aprirà nei prossimi giorni.

 

 

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