
DALLA FAVOLA ALLA FAVELA - “IL MONDIALE FA SCHIFO, IL CALCIO NO”: LA PROTESTA DI SANTA MARTA, LA FAVELA ALTERNATIVA DI RIO: “CI USANO SOLO PER LA PUBBLICITÀ. ANCHE SE VINCIAMO, CI HANNO FREGATO”
Giulia Zonca per “La Stampa”
Non è così semplice agghindare un quartiere costruito in verticale. Ma chi vive in una favela sa trovare lo spazio. abituato a trovare spazio che non esiste. Non ci sono strade, solo viottoli minimi e tortuosi, quasi non c’è aria: Santa Marta parte da Botafogo con la teleferica e si inerpica per 7800 scalini, strada che qui facevano a piedi fino a cinque anni fa. Strada che adesso è dipinta di verde e oro «perché il Mondiale fa schifo ma il calcio no».
Il programma di oggi è «prima protesta e poi tifa» anche se da queste parti il pallone non somiglia più alla salvezza: «Lo stadio non è fatto per la gente come noi» e lo dice Rogeiro che in realtà ha la maglietta della nazionale e il naso da clown. Lui si occupa del dopo scuola, fa giocare i bambini in uno spiazzo davanti a un muro crivellato di proiettili. È da lì che è partita la pacificazione, strana parola per un’operazione di guerriglia che ha lasciato per terra tante vittime innocenti finite in mezzo al fuoco incrociato.
Nel 2008 si è presentata la polizia: il giorno prima hanno avvertito i residenti, 6500 persone, e il giorno dopo 500 agenti in tenuta antisommossa, due elicotteri e i blindati all’ingresso del barrio cambiavano la storia. Fuori il narcotraffico, dentro solo i poveracci per bene. Bonifica dalla cima, dove ci sono ancora le case in legno e lamiera, al fondo dove compaiono le prime abitazioni in mattoni considerate persino da classe media.
Escrementi delle favelas finiti in mare
Solo per la statistica, Santa Marta non è più pericolosa, è colorata grazie a un progetto di recupero che ha liberato la vena artistica dei locali, ma resta una favela: una baraccopoli. Diciamo una baraccopoli alternativa: c’è una zona wifi, la luce elettrica e da qualche parte anche l’acqua corrente (per chi paga i 5 real mensili), c’è persino un B&B tutto esaurito per i Mondiali, ma il posto resta precario e si cammina tra i rifiuti.
Sopra c’è una stazione di polizia con gli altoparlanti intorno al tetto, avvertono la gente quando è meglio stare in casa perché loro andranno in giro a dare la caccia a qualche spacciatore di ritorno e danno l’allarme quando invece è ora di uscire perché sta per arrivare un temporale e certe catapecchie potrebbero crollare.
Ogni tanto succede e le lasciano lì fino a che i detriti non si decompongono e attraversano la roggia che affianca ogni casa. È una discarica e anche il posto dove si perdono più palloni. Ma anche in questo caso nessuno si scoraggia, i più piccoli si arrampicano, si infilano a piedi nudi in ogni pertugio ed escono con la palla. Meglio, palleggiando.
Le donne attaccano le bandierine alle finestre, i ragazzi più aitanti stanno a torso nudo. Esibiscono ferite e tatuaggi mentre montano il palco dentro il ritrovo sociale, una cantina, per il party rap in programma dopo Brasile-Croazia. C’è pure uno sponsor per la serata e c’è Joao Felipe, forse l’unico in tutto il Brasile che non guarderà la partita stasera.
«No, non sono il solo, credetemi. Anche la favola dei calciatori famosi che arrivano da posti come questo e dovrebbero renderci orgogliosi inizia a stancare. Quando incassano certe cifre se ne fregano del posto in cui sono nati e ci usano per la pubblicità», lui è un estremista, per dare il suo apporto alle decorazioni ha scritto su un sasso gigante «Copa pra Quem?», Coppa per chi?, «Se pensano di ubriacarci di gol si sbagliano». E su questo sono tutti d’accordo.
Hanno passato gli ultimi giorni ad appendere bandierine, spargere coriandoli dorati sull’immondizia. Da settimane dipingono palloni blu dentro campi gialli sopra i gradini, i muri, le tende.
Su qualche spiazzo c’è la Coppa del mondo, persino uno schizzo di armadillo, la mascotte ufficiale che chissà come si è infiltrata tra le proteste della linea dura, ma nessuna faccia, nessun nome perché questa non è gente da poster. Devono cavarsela da soli e non hanno voglia di fingere un legame con chi andrà in campo. Hanno tutti la maglietta del Brasile e non ce n’è uno che sfoggi un numero. «Il giocatore preferito? A me piace quello che sanno fare. Sono bravi, ma non me ne frega nulla di chi sono» e in un attimo il parrucchiere Pedrito demolisce anni di marketing.
No, qui non si compra la maglietta di un idolo, stanno tutti con la stessa maglietta, per sentirsi uniti, ed è per questo che, dopo aver passato la giornata a manifestare lungo i viali di Rio, si ritroveranno alla Quadra do Santa Marta a guardare il futbol. In una piazza in miniatura. Il maxi schermo non esiste, neanche ci starebbe, però i baracchini disposti a semicerchio appoggiano sui banconi vecchie tv formato gigante. Non vogliono perdersi la festa ma il giorno dopo torneranno a urlare la loro frustrazione: «Pure se vincono, comunque sia ci hanno fregati».
Il giorno dell’assegnazione, il 30 ottobre 2007, a Santa Marta comandava ancora il narcotraffico, ma la gente è salita sui tetti di latta per celebrare. Prima lo avevano fatto solo per Michael Jackson che ha girato un video qui e ora ha una statua di bronzo piazzata tra la città e il Cristo Redentore.
Le favelas a Rio sono nate nellOttocento
Credevano che il Mondiale li avrebbe liberati invece è arrivata la polizia. Hanno sbattuto fuori i criminali ma per sbattere fuori la povertà ci vorranno decenni: «Con i soldi dati al calcio ci cambiavano la vita». Sanno bene che il governo non avrebbe mai investito per loro i milioni destinati agli stadi ma non hanno nessuna intenzione di perdonare questo affronto.
SCONTRI NELLE FAVELAS A RIO DE JANEIRO
Molti sfratti a Rio sono stati eseguiti
PROTESTE FAVELAS RIO