SEZIONE TAFAZZI – A COSA SERVE LA CONVENZIONE DEL PD? A DARE L’ULTIMATUM AL NAPO-LETTA - RENZI, CUPERLO E CIVATI ASSEDIANO IL GOVERNINO: DOPO L’8 DICEMBRE SI CAMBIA…

Francesca Schianchi per "la Stampa"

«Noi non siamo il volto buono della destra, siamo la sinistra», scandisce Gianni Cuperlo dal palco, tra gli applausi, una frase improvvisata a braccio, non prevista nel suo discorso scritto. «Ha ragione Gianni: non siamo il volto buono della destra, ma non possiamo essere nemmeno il volto peggiore della sinistra», risponde duro Matteo Renzi.

E siccome lui si vuole ricandidare a sindaco di Firenze, Cuperlo gli ricorda che «se ti proponi di cambiare tutto, non lo fai come secondo lavoro», e comunque se vuoi cambiare verso «devi dire dove lo vuoi portare questo Paese e questo partito», perché se il rottamatore pensa «che la via sia privatizzare le ferrovie e la Rai», o nel lavoro «avere un contratto unico e abolire l'articolo 18, tenersi la riforma Fornero al netto degli esodati, sposare la flessibilità» e sulla legge elettorale «passare da un regime parlamentare a una repubblica presidenziale», queste soluzioni «per me sono radicalmente sbagliate».

Si svolge così, tra frecciate incrociate pur con scambi di gesti affettuosi - dalla carezza che Cuperlo fa a Renzi, alla bottiglia d'acqua che il rottamatore allunga a Civati, accaldato a metà del suo discorso («come Coppi e Bartali...», scherza Pippo) - la Convenzione nazionale del Pd, tappa richiesta dal regolamento per ufficializzare davanti a un migliaio di delegati l'accesso alle primarie dell'8 dicembre dei primi tre classificati al voto tra gli iscritti. Cioè Matteo Renzi, che, al netto dei risultati del congresso congelato di Salerno scende dal 46% al 45,34 («se sono in testa io, questo partito è veramente libero e scalabile da chiunque»), Gianni Cuperlo al 39,44% e Pippo Civati al 9,43.

Fuori l'eurodeputato Gianni Pittella, ma con un onorevole 5,80%, che sosterrà probabilmente Renzi. Tre ore in tutto per sbrigare la pratica, al romano Hotel Ergife, una platea in cui colpisce l'assenza di tutti i big tranne l'ex segretario e oggi ministro Franceschini: non c'è Bersani, non c'è D'Alema, non Veltroni né la Bindi, non Franco Marini né Anna Finocchiaro.

Apre il segretario Epifani, a ricordare che «saremo credibili nel chiedere rinnovamento agli altri quando saremo in grado di imporre a noi lo stesso rinnovamento»; interviene tramite una lettera il premier Enrico Letta, per augurarsi una «straordinaria partecipazione alle primarie» dell'8 dicembre - a cui anche lui parteciperà - come risposta al «populismo rabbioso» (nel pomeriggio gli risponderà con la consueta asprezza Beppe Grillo).

Ma proprio al suo governo riservano parole sferzanti tutti i candidati, puntualmente sottolineate dagli applausi: non solo Civati («le larghe intese sono uno schema troppo impegnativo per un partito di alternativa come il nostro»), non solo Renzi («il governo ha usato molto della nostra lealtà, pazienza e responsabilità: ora deve usare le nostre idee, coraggio e passione per essere efficace, o diventa solo il passatempo per superare il semestre europeo»), ma anche Cuperlo: «Il governo non ha più alibi. Deve scuotere l'albero perché i frutti cadano a terra. Ora».

Non c'è bisogno, dice, di aspettare il 9 dicembre, quando, secondo Renzi, «cambia profondamente il rapporto col governo».
Lui, il primo classificato, fa la sua lista di priorità: da una legge elettorale per cui «chi vince vince, e governa 5 anni» (e su quella legge, la discussione va spostata alla Camera, «per fare qualcosa di concreto») al dimezzamento dei costi della politica. Annuncia come prima iniziativa se sarà eletto «una campagna sulla scuola» e avverte che «se i banchieri non verranno a votare alle primarie, sarà contento». «Adesso tocca a noi», conclude il suo intervento con una promessa. Ancora due settimane e si vedrà se la saprà mantenere.

 

 

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