IN QUESTA CALDA DOMENICA DI GIUGNO, IL DUCETTO PROVA IL COLPO: FA DIMETTERE I MEMBRI DEL CDA CONSIP PER SILURARE MARRONI, L'AD CHE ACCUSA LOTTI E BABBO TIZIANO - LUI NON SI MUOVE: 'MI DEVONO CACCIARE'. D'ALTRONDE, I DUE SONO INDAGATI, MICA LUI - HA IL CODICE CIVILE DALLA SUA: L'ASSEMBLEA CHE DECIDE IL NUOVO CDA E' CONVOCATA DAGLI AMMINISTRATORI RIMASTI IN CARICA. CIOÈ LUI! E NON PRIMA DI 8 GIORNI - MARTEDÌ IN SENATO CI SONO LE MOZIONI SU CONSIP. E MARRONI SI GODRÀ IL PD CHE BRUCIA...
1. CONSIP, IL GOVERNO CONTRO MARRONI LASCIANO DUE CONSIGLIERI DEL CDA
Tommaso Ciriaco per 'la Repubblica'
Un braccio di ferro violentissimo, poi la mossa definitiva del Tesoro che mette all' angolo l' ad Luigi Marroni e azzera l' attuale cda. È ancora il caso Consip a calamitare lo scontro politico. E a chiamare in causa il governo per la scelta di mandare a casa il testimone nell' inchiesta in cui è indagato anche il ministro dello Sport Luca Lotti.
È un sabato infuocato. Da giorni, la priorità dell' esecutivo è sminare il passaggio parlamentare sui vertici Consip. Difendere l' accusatore di Lotti è impossibile, ma sfiduciarlo esporrebbe Palazzo Chigi a critiche feroci. Il Tesoro prova allora a convincere Marroni a dimettersi. Senza esito. E si passa all' artiglieria pesante.
Dopo ore di trattativa, si dimettono i due rappresentanti del ministero dell' Economia nel cda. E salta, di conseguenza, l' intero consiglio. Marroni però resiste. Resta in carica, si considera vittima di un' ingiustizia. Resiste, anche se la sua permanenza ha i giorni contati: da statuto, tocca proprio a lui convocare entro otto giorni l' assemblea dei soci per eleggere il nuovo board aziendale.
Nulla scorre via liscio, in questa storia. La miccia è una mozione di Gaetano Quagliariello, che si propone il reset dell' intero vertice Consip. Quando la discussione viene fissata per martedì prossimo al Senato, nel Pd scatta l' allarme. Il testo, anche grazie al possibile sostegno di Mdp, rischia di essere approvato. Per sminare il caso, il Pd decide di presentare una propria mozione che chiede la testa di Marroni.
angelino alfano saluta luigi marroni della consip
È il segnale, la poltrona dell' ad inizia a traballare pericolosamente. La pressione del governo su Marroni diventa fortissima, ma il risultato resta deludente: non lascio - il senso dei suoi ragionamenti - sono stato corretto e non getto la spugna. Pier Carlo Padoan prende atto e passa al piano B. Il risultato sono le dimissioni di due dei tre membri del cda: Luigi Ferrara, presidente dell' azienda, e la consigliera Marialaura Ferrigno. Da statuto, decade automaticamente l' intero organismo. Ma spetta all' unico membro rimasto in carica, proprio Marroni, la convocazione dei soci per il rinnovo del consiglio.
Sul campo restano soprattutto le scorie di questo duello. L' ad è infuriato. Non si aspettava il "licenziamento" del Tesoro, e infatti domani potrebbe presentarsi regolarmente in ufficio. Ed è pronto a far sapere pubblicamente come la pensa, a costo di scatenare un polverone politico. È proprio su questo fronte che il caso resta caldissimo. Marroni, infatti, è il principale testimone nell' inchiesta che vede indagato Lotti. «Scaricano lui - si fa già sentire il leader di Mdp Roberto Speranza - per salvare Lotti».
La palla passa adesso a Palazzo Madama. Sulla carta, le mozioni su Consip sono calendarizzate per martedì. Ma a questo punto, con un consiglio ormai decapitato e prossimo ad essere sostituito, ha ancora senso? Per il Pd, la partita è chiusa e la discussione ormai inutile. Per le opposizioni, la risposta non è invece scontata.
«Marroni - ricorda Quagliariello non si è ancora dimesso, e comunque alcune delle mozioni sono politiche e sono ancora in piedi. Per questo, decideranno l' Aula e i capigruppo se cambiare programma, oppure se passare direttamente al voto sui testi».
Al Tesoro, intanto, già si ragiona sul futuro. E in particolare sulla figura che dovrà rimpiazzare Marroni al vertice. Tra i nomi, circola quello di Enrico Pazzali, ex ad di Fiera Milano e attuale amministratore di Eur Spa.
2. MA IL MANAGER VA AL BRACCIO DI FERRO: IO NON MOLLO, SE VOGLIONO MI CACCINO
Lorenzo Salvia per il ''Corriere della Sera''
«Non mi sono dimesso e non ho intenzione di dimettermi. Se proprio vogliono mandarmi via, mi devono cacciare». Resiste Luigi Marroni, l' amministratore delegato di Consip, la società al centro dell' inchiesta sugli appalti pubblici. E le richieste di farsi da parte arrivate dal governo e dalla maggioranza sembrano aver sortito l' effetto opposto.
Come pure le dimissioni degli altri due componenti del consiglio d' amministrazione.
Il presidente Luigi Ferrara e il consigliere Marialaura Ferrigno hanno rimesso ieri il loro mandato nelle mani del ministero dell' Economia. Una mossa che nelle intenzioni dello stesso ministero ha l' obiettivo di mettere al riparo dai riflettori una società che ha visto crescere la sua attività portando in dote allo Stato risparmi non trascurabili.
Ma che doveva servire anche a disinnescare le mozioni che martedì saranno votate al Senato e che chiedono il ricambio dei vertici Consip. Il punto è che a martedì Marroni vuole arrivare in piedi. E, nonostante «l' accerchiamento», come lo definisce lui, potrebbe anche farcela. Perché è vero che, con le dimissioni di due componenti su tre, decade l' intero consiglio d' amministrazione.
Ma è anche vero che per la sostituzione dei vecchi componenti i tempi potrebbero essere non così stretti. Come in tutte le guerre davvero feroci, tra le armi in dotazione c' è anche il codice civile. E pure l' interpretazione dello statuto di Consip.
gaetano quagliariello saluta stefano parisi
Per il governo il ricambio dovrebbe arrivare domani, il giorno prima del voto sulle mozioni. E questo perché in caso di decadenza del cda tutte le decisioni, compresa la convocazione dell' assemblea che deve formalizzare il rinnovo dei vertici, spettano al consiglio sindacale della stessa Consip.
Non a Marroni, in sostanza. Ma secondo l' amministratore delegato - che a questo punto viene proprio da immaginare con un metaforico coltello in mezzo ai denti - le cose non stanno così. La sua versione è che se viene meno la maggioranza dei consiglieri, l' assemblea deve essere convocata d' urgenza dagli amministratori rimasti in carica.
Cioè da lui stesso. E prima di convocare l' assemblea devono passare otto giorni. Otto giorni sufficienti per scavallare martedì, per vedere e forse godersi il caos nell' Aula del Senato. Per sentire l' opposizione accusare il governo di aver scaricato lui dopo aver difeso il ministro dello Sport Luca Lotti, coinvolto nella stessa inchiesta ma indagato. Per essere indirettamente difeso dal Movimento 5 Stelle, lui che prima di parlare di pressioni da parte di Tiziano Renzi, il padre dell' ex premier, era considerato vicino al Giglio magico.
A chi gli ha parlato in queste ore, Marroni ha ricordato che tre mesi fa il ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan - rispondendo in Parlamento a un' interrogazione - aveva detto che non c' erano gli estremi per la sua decadenza.
Nell' inchiesta della Procura di Roma Marroni non risulta tra gli indagati, anche se è stato ascoltato come persona informata sui fatti. Dal punto di vista delle indagini nulla è cambiato rispetto ad allora. Sul piano politico, invece, adesso lo schema è un altro. Dopo l' opposizione, anche il Pd ha presentato una mozione per chiedere di cambiare i vertici Consip.
Una mossa tattica per evitare di mandare sotto la maggioranza in un Senato dove i numeri sono quelli che sono. Ma anche un' accelerazione che ha fatto capire a Marroni di essere stato mollato. «Se vogliono, mi devono cacciare», ripete lui. Anche perché se davvero andrà così, e se ci fossero gli estremi, Marroni potrebbe anche chiedere i danni.
Una vendetta. Sempre codice civile alla mano.