UN PAESE CONDANNATO ALL’UOMO DELLA PROVVIDENZA – ZELIG RENZI FA TUTTI I RUOLI IN COMMEDIA: DESTRA, SINISTRA, SINDACATO E IMPRENDITORI

Mattia Feltri per "la Stampa"

Uno degli aspetti notevoli della vicenda è che il leader della Cgil, Susanna Camusso, si mostrava donna di buona volontà. Con Matteo Renzi, diceva, il dialogo è possibile. Bisogna confrontarsi.

Bisogna vedere le proposte. Una procedura conosciuta sotto il nome di concertazione, soltanto che il presidente del Consiglio non aveva intenzione di concertare alcunché. Nessun incontro a favore di telecamere, niente strette di mano e nemmeno dichiarazioni congiunte di impegno condiviso eccetera. «Renzi deve sapere che se le risposte ai lavoratori non arrivano o se si tolgono risorse ci sarà un problema di risposta al mondo del lavoro».

La dichiarazione non agilissima ma senz'altro belligerante era arrivata dalla Camusso lunedì e già mercoledì, dopo l'eccentrica conferenza stampa di Palazzo Chigi, la medesima Camusso si scappellava: «Sembra il nostro programma». Un programma elaborato dal premier intanto che su twitter avvisava di non essersi mai iscritto alla Cgil: «E' un rischio che non corro, né io né loro».

Alla sfrontatezza un po' grossier di Renzi, la Camusso ha risposto ieri con controllata soddisfazione: «Sembra il nostro programma». E farebbe bene a preoccuparsene: vista l'aria, si faticherebbe a credere a un Renzi che si ispiri alla Cgil; piuttosto si penserebbe che il più grande e prestigioso sindacato d'Italia stia esaurendo l'energia, se le cose vanamente predicate per anni le fa un capo di governo sotto i quaranta (sempre che le faccia).

A due settimane e mezzo dall'insediamento, l'impressione consolidata è che Renzi persegua l'eutanasia dell'avversario. Vuole abolire tutto ciò che non gli appartiene o non gli è utile, e lo fa brutalmente o con tattica melliflua. Confindustria per esempio non ha rimediato successi più corposi di quelli conseguiti dalla Cgil. Renzi aveva definito «penultimatum» quelli di Giorgio Squinzi sulla riduzione dell'Irap, e se proseguissero «ce ne faremo una ragione».

Probabilmente nessun predecessore di Squinzi aveva dovuto sopportare un simile aprioristico disprezzo, e poi incassare una riduzione dell'Irap più marginale di quella dell'Irpef. E intanto, illustrando il suo piano, Renzi spiegava di aver ricevuto l'incoraggiamento di «molti imprenditori», senza pronunciare nomi, tantomeno quello di Squinzi.

Questa è la cura che il premier riserva alle parti sociali e quanto a quella riservata alle opposizioni interne del suo partito si sa: Stefano Fassina, fatto fuori con un pronome di tre lettere (chi), mercoledì si è complimentato col capo per la «direzione giusta» e ieri lo ha addirittura esortato a tirare dritto davanti «alle odierne valutazioni della Bce e alle ricorrenti e fallimentari raccomandazioni della Commissioni europea».

E pure Gianni Cuperlo si è ritrovato all'angolo e ha pensato di intestarsi la linea del governo. «Ci sono molte cose di sinistra», ha detto elogiando la «rotta giusta». Proprio come la Camusso spera di sottolineare il buon calibro della minoranza, quando forse, invece, risalta il passo di un leader con l'ambizione di interpretare meglio degli altri ogni ruolo, governo e opposizione, maggioranza e minoranza, sinistra e destra (formidabile: ieri sia F.lli d'Italia sia il Nuovo centrodestra hanno rintracciato nei propositi del governo tracce profonde del loro passaggio).

A che serve il sindacato? A che servono i dissidenti se la loro linea diventa ufficiale sulle questioni più cicciose? A che serve il Parlamento se il secondo maggior partito di opposizione, Forza Italia, ha stretto un patto sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale? A che serve se c'è una parte di destra (Ncd) che con Renzi governa, una parte di destra (Forza Italia) che con Renzi riforma, una parte di destra (F.lli d'Italia) che con Renzi non fa nulla ma ci trova qualche familiarità?

Alla fine rimane la pattuglia di Sinistra ecologia e libertà, strutturata giusto per la guerriglia, e l'esercito del Movimento cinque stelle impegnato però a discutere di macroregioni, a espellere i dubbiosi e a rifiutare qualsiasi contaminazione, che poi vorrebbe dire condizionamento. Tutto sembra stare in pugno in Renzi. Si prende quel che serve e butta quel che non serve. Reinterpreta il rito sacerdotale della conferenza stampa, lo trasforma in un messaggio alla nazione e, se i giornalisti trasecolano per mancanza di fogli excel, lui si sconcerta giusto un pochino; poi alza lo sguardo e proclama ai «cari italiani» ciò che davvero conta. Si fa l'informazione da sé. E il cronista di sé medesimo come di sé medesimo è controparte e oppositore. Se dura, un fenomeno da studiare.

 

 

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